Bergamo, Teatro Donizetti, Bergamo Musica Festival 2013
“IL FURIOSO ALL’ISOLA DI SAN DOMINGO”
Melodramma in due atti di Iacopo Ferretti. Prima esecuzione della nuova edizione della Fondazione Donizetti. Revisione sull’autografo a cura di Maria Chiara Bertieri
Musica di Gaetano Donizetti
Cardenio CHRISTIAN SENN
Eleonora PAOLA CIGNA
Fernando LU YAN
Bartolomeo LEONARDO GALEAZZI
Marcella MARIANNA VINCI
Kaidamà FEDERICO LONGHI
Orchestra e Coro del Bergamo Musica Festival
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del coro Fabio Tartari
Regia Francesco Esposito
Coreografia e Assistente alla regia Maria Cerveira
Scene Michele Olcese (da un progetto inedito di Emanuele Luzzati)
Costumi Santuzza Calì
Luci Bruno Ciulli
Nuova produzione Fondazione Donizetti, Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, Fondazione Teatro Comunale di Modena, Teatro Sociale di Rovigo, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Alighieri di Ravenna.
Bergamo, 13 Ottobre 2013
«Il furioso di Ferretti è un perfetto veicolo per consentire a Donizetti di raffigurare un’anima tormentata da disperazione, irresolutezza, strazio, con un fermento, tra divertito e catartico, di autocoscienza. Non è un caso se il soggetto è attinto dal Don Chisciotte di Cervantes». La puntuale definizione di Alexander Weatherson sulla qualità del Furioso all’isola di San Domingo di Donizetti impedisce classificazioni troppo semplicistiche del presunto carattere comico dell’opera (dal saggio nel programma di sala bergamasco, Il furioso: un giovane arrabbiato del 1833). Giustamente, il giudizio fa notare la complessità e la varietà stilistica di un melodramma in due atti che solo l’estro poetico di Iacopo Ferretti avrebbe potuto partorire, arguto e sfumato, come sempre molto curato nelle scelte lessicali e nel fluire delle battute. Le due recite dell’attuale stagione del Teatro Donizetti di Bergamo s’impongono quindi all’attenzione non soltanto per la qualità complessiva dello spettacolo, ma anche perché sono caratterizzate da due compagnie cantanti diverse per i quattro ruoli principali di Cardenio, Eleonora, Fernando e Kaidamà. Dell’allestimento e del complesso dello spettacolo ha già reso conto Andrea Dellabianca, con una cronaca impeccabile e per tutto condivisibile. In questa sede merita dedicare soltanto qualche notazione alla compagnia vocale, alternativa rispetto a quella della prima, senza dimenticare il lavoro del direttore d’orchestra, del coro e dei comprimari. La concertazione di Giovanni Di Stefano è infatti abbastanza precisa; forse in alcuni momenti d’insieme si pretenderebbe un po’ più di brio, ma la verve drammaturgica del serio e del comico intrecciati insieme è comunque presente.
Christian Senn è un ottimo protagonista: canta con bel timbro baritonale, e con voce contemperata tra l’elegia e la signorilità, senza eccedere mai nell’espressione “furiosa”. La sua parte non contempla numeri strutturati secondo l’uso (recitativo, aria/romanza, cabaletta), ma le aspettative del pubblico sono appagate da alcuni momenti di declamato e arioso molto espressivi, come la cavatina del I atto e la sortita parallela all’inizio del II, oltre ai pezzi d’insieme (come il concertato del finale I): si tratta di pagine di grande impegno sinfonico e vocale, di stile adeguato all’opera seria, più che comica. Senn fornisce una prova in crescendo, felicemente basata sull’introspezione rigorosa della pazzia del personaggio, «la più sfaccettata e articolata tra le figure di dementi plasmate musicalmente da Donizetti» (secondo il giudizio di Fulvio Stefano Lo Presti nel saggio del programma di sala, Pazzie maschili donizettiane). Il baritono è espressivo ed enfatico al punto giusto, senza mai trascendere (peccato che talvolta al controllo e alla sollecitazione del fiato la voce non risponda adeguatamente, e l’emissione risulti leggermente velata). Nel duetto del I atto tra Cardenio e Kaidamà («Dei begli occhi i lampi ardenti») le due voci maschili si integrano molto bene, poiché restano sempre riconoscibili e distinte: la fierezza del fraseggio di Senn contrasta con la vena ruvida e comica di Longhi; ed è giusto rilevare la peculiare resa dei cantanti, considerato che questo duetto è uno dei numeri musicalmente più impegnativi dell’intero I atto.
Paola Cigna, nel ruolo della pentita Eleonora, ha voce apprezzabile di soprano leggero, un po’ piccola nel volume ma alquanto raffinata. registro centrale appare fragile, e dunque la cantante tende a forzare nell’emissione; gli acuti, in compenso, sono bene intonati, anche se talvolta velati e non appoggiatissimi e quindi afflitti da un vibrato poco gradevole (secondo un effetto solitamente riscontrabile nelle voci troppo leggere rispetto alla tessitura). Nella cabaletta «No, non piangete» emergono congiuntamente i difetti tecnici e la bellezza del timbro nel registro centrale. L’abilità dei cantanti, e soprattutto il loro orientamento stilistico, in questa e nella scena successiva, sono determinanti, in quanto la musica si eleva in stile, riprendendo da una parte movenze rossiniane (e delle più ambiziose: nella cabaletta di Eleonora riecheggia la grande scena dell’apparizione di Nino da Semiramide, opera che precede il Furioso di dieci anni) e belliniane (nel surreale duetto della scena VII tra Cardenio e Kaidamà, anziché gli stereotipi del dialogo comico, domina una struttura ritmico-melodica risalente a Sonnambula, opera che precede il Furioso di soli due anni). Nella scena finale dell’opera la protagonista musicale è certamente Eleonora, impegnata nella cabaletta «Se pietoso d’un obblio»: Paola Cigna la esegue bene (a parte un certo qual stridore malfermo di alcuni acuti), ma intende concludere con un coup de théâtre (un fa sopracuto, nelle intenzioni), che le risulta però alquanto diafano ed esangue nel suono – e che rischia di compromettere anche quanto di buono precedeva.
Federico Longhi si conferma interprete intelligente e duttile nel saper affrontare parti disparate; soltanto due mesi fa Barone Douphol in Traviata all’Arena di Verona, ora Kaidamà, il personaggio-chiave del versante comico del Furioso: Longhi ne interpreta la difficile parte con studiata professionalità e con impostazione accurata. A volte cede un poco alla tentazione del parlato, ma la sua vena comica, molto rispettosa delle indicazioni verbali di Ferretti, è comunque irresistibile (sa perfino un po’ di latino, il moro Kaidamà, e lo dimostra nel II atto, quando vede Cardenio ripulito e vestito decentemente, ed esclama impaurito: «Il quondam matto in gala!»).
Lu Yuan è un giovane tenore orientale, che nell’interpretare Fernando porge con voce delicata e chiara, con attenzione espressiva, appena penalizzata da un difetto di articolazione di alcune consonanti: la s assomiglia troppo alla f, e la p è pronunciata leggermente aspirata. A parte la cosiddetta “lingua di pezza”, è corretto nelle agilità e nelle mezze voci, e riscaldandosi la voce migliora: l’aria del I atto, «Dalle piume in cui giacea» è completata da due puntature acute (tra cui un re naturale), tenute a lungo, che suscitano l’entusiasmo del pubblico. Molto bravo anche nell’aria del II atto («Se ai voti di quest’anima»), non riesce però a evitare un piccolo incidente d’intonazione (in un brano che richiede del resto agilità sperticate, da tenore contraltino, e in parallelo messe di voce molto impegnative). Lu Yan diventerà certamente un notevole tenore di grazia nel repertorio belcantistico; se è lecito un suggerimento migliorativo, dovrà studiare molto i gruppetti ascendenti all’interno delle colorature, perché al momento essi risultano un poco approssimativi. Marianna Vinci, interprete di Marcella, ha voce fresca e gradevole, impostata correttamente, anche se talvolta l’emissione è soggetta a qualche difficoltà. Il volume sonoro è notevole, perché in alcuni passaggi del duetto con Eleonora dimostra anche più voce del soprano protagonista. Il Bartolomeo di Leonardo Galeazzi ha voce grande e squillante, rende bene il sillabato del personaggio popolare (ma non comico) del contadino, mentre non è sempre a suo agio con le note acute nella scena iniziale. Riesce molto meglio il duetto con Cardenio verso la fine del I atto («Dove mi traggi? – Il voglio»), in cui emerge tutto il suo carattere terenziano, a conferma della distanza dalla comicità. Molto apprezzabile anche il coro maschile di marinai e contadini, in tutti i numerosi interventi che hanno incontrato unanime favore da parte del pubblico, al pari degli interpreti solisti. Alla fine dell’opera gli applausi e le acclamazioni sono stati prolungati, particolarmente per Christian Senn, Lu Yan e Federico Longhi; ma tutti quanti hanno goduto di un meritato successo. Foto Gianfranco Rota Phtotostudio UV