Como, Teatro Sociale:”La finta semplice”

Como, Teatro Sociale, Stagione lirica 2013
“LA FINTA SEMPLICE”
Dramma giocoso in tre atti KV 51
Libretto originale attribuito a Carlo Goldoni, rielaborato da Marco Coltellini.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Rosina SALOME JICIA
Don Cassandro ANDREA CONCETTI
Don Polidoro RAOUL D’ERAMO
Giacinta ELENA BELFIORE
Ninetta BIANCA TOGNOCCHI
Fracasso MATTEO MEZZARO
Simone GABRIELE NANI
Narratrice ANNAGAIA MARCHIORO
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Direttore Salvatore Percacciolo
Regia Elisabetta Courir
Scene Francesco Arrivo
Costumi Anna Cavaliere
Light Designer Giuseppe Ruggiero
Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo
Nuovo allestimento
Como, 17 ottobre 2013

Pensare ad un bambino di appena dodici anni che si mette a comporre un’opera lirica in tre atti, è quantomeno qualcosa di surreale. Eppure “La Finta Semplice” nasce proprio così, scritta precocemente dalla piccola mano di uno tra i più grandi geni musicali che l’umanità conosca. Un titolo poco conosciuto, che certo non trova spazio nell’olimpo dei capolavori immortali, ma ci troviamo pur sempre di fronte all’arte di un giovanissimo Wolfgang Amadeus Mozart la cui impronta compositiva che tutti conosciamo si riesce già a percepire chiaramente. Addirittura scorrendo la partitura si riconoscono motivi ed intervalli che verranno ripresi fedelmente in età matura, come “Porgi amor” dalle Nozze di Figaro o il celebre finale del Don Giovanni. Ma l’inconfondibile firma mozartiana è già ben evidente in tutta la sua freschezza e vitalità fin dalle prime note della sinfonia. Al suo termine, il sipario si apre svelando una piccola casetta bianca e un ampio telo sul fondo. Subito si intuisce la pulizia e l’eleganza che caratterizzeranno l’intero allestimento, affidato per scene e costumi  rispettivamente a Francesco Arrivo e Anna Cavaliere. Per tutta la durata dell’opera si susseguono graziosi giochi visivi basati sul movimento e la varia sovrapposizione di lunghi teli bianchi calati dall’alto, che pur nella loro semplicità riescono a dar vita a suggestioni sempre nuove senza annoiare mai. Su un palco quasi totalmente vuoto – in particolare nel primo atto, più statico rispetto al secondo e al terzo – si inseriscono elementi che vanno a completare i semplici suggerimenti spaziali dati dai teli: oltre ad oggetti d’arredo quali scrittoi, materassi e sedie Thonet, compaiono galleggiando nell’aria una grande mongolfiera bicolore e palloncini coperti di tessuto bianco che restituiscono un senso di gradevole leggerezza, che rimanda all’impronta di spensierata allegria della partitura mozartiana.
Anche gli effetti di luce firmati da Giuseppe Ruggiero sono d’impatto: nonostante nell’allestimento domini il bianco delle stoffe, esse si illuminano talvolta di colori tenui che segnano l’alternanza tra giorno e notte, talvolta di colori vivaci sullo sfondo che delineano deliziosi effetti di controluce. Inoltre si fa uso di interessanti espedienti figurativi, come la proiezione dell’efficace sagoma di una vetrata per dare forma alla dimora di Don Cassandro, oppure un cerchio perfetto per suggerire albe o tramonti avvolti in atmosfere sognanti.
In questo spazio sobrio ed elegante si muovono con vivacità i protagonisti del dramma giocoso, guidati dall’attenta regia di Elisabetta Courir. Spesso l’eccessiva pulizia della scena priva i cantanti degli appigli necessari a rendere un’interpretazione attoriale convincente, ma non è questo il caso: le indicazioni della regista sembrano molto precise ed ogni azione è ben studiata, ma non per questo innaturale o sgradevole. Nondimeno, ogni singolo movimento dei personaggi paga anche dal punto di vista compositivo, restituendo un senso costante di equilibrio e bellezza. Le intenzioni della Courir di evidenziare l’allegra naturalezza giovanile della partitura è riuscita perfettamente, e la resa finale dell’allestimento è luminosa e frizzante, con punte di riso e buon umore davvero efficaci (grazie anche alla simpatica disinvoltura degli interpreti). Tuttavia il troppo stroppia, e la scelta di inserire una Narratrice (ben impersonata da Annagaia Marchioro) che ci guida attraverso la trama e ci racconta cosa stia succedendo sul palco, è parecchio inopportuna. Il risultato è piuttosto fastidioso e invasivo, una continua frattura inserita prepotentemente tra un’aria e l’altra che ci saremmo volentieri risparmiati. Ma nel complesso le luci prevalgono sulle ombre, e “dove sono i bei momenti”? Sparsi un po’ ovunque. Tra i più piacevoli ricordiamo Giacinta che si “costruisce” il marito ideale con cubi colorati, o l’atmosfera magica data da tante piccole mongolfiere bianche che brillano nella penombra azzurrata durante l’aria “Amoretti, che ascosi qui siete”, o ancora i sei drappi annodati nel finale a simboleggiare l’unione in matrimonio delle tre coppie, che chiude in bellezza questa mise-en-scène che non ci scorderemo facilmente.
Indimenticabile è stata anche la prova della protagonista Salome Jicia, che ci ha regalato una Rosina da manuale. La sua bella voce dal timbro dolce e pieno, gestita con incredibile freschezza, ci regala un’interpretazione impeccabile, come raramente al giorno d’oggi capita di ascoltare in teatro quando ci si imbatte in un’opera del “finto semplice” genio di Salisburgo. Dotata di un tipo vocalità sorprendentemente vicino a quello delle grandi dive mozartiane del passato, la giovane e promettente artista georgiana sconvolge di continuo per perfezione esecutiva.
Qualche difficoltà in più si riscontra nella performance di Elena Belfiore (Giacinta), convincente scenicamente, ma non altrettanto dal punto di vista canoro. A partire dalla cavatina “Marito io vorrei”, appare insicura e traballante in alcuni passaggi, probabilmente a causa di un ruolo inadeguato che non valorizza affatto le indubbie qualità vocali di cui è dotata. Troviamo infine nel ruolo di Ninetta una spumeggiante Bianca Tognocchi, eccellente soprano in grado di cesellare una lunga serie di acuti cristallini che costellano le sue arie (tra cui citiamo in particolare “Sono in amore, voglio marito”, ottimamente interpretata).
Passiamo al reparto maschile, di cui il trionfatore indiscusso è indubbiamente Andrea Concetti. Padrone del palcoscenico, con gesti scenici disinvolti e un bel timbro brunito che corre senza problemi per tutta la sala, il baritono interpreta brillantemente un efficacissimo Don Cassandro, burbero, scontroso e divertente al tempo stesso. Buono anche il Fracasso di Matteo Mezzaro, che nonostante qualche imprecisione nelle agilità più complesse, risolte con scarsa fluidità, sfoggia una bella voce tenorile chiara e gradevole che ben si adatta alla partitura. Speriamo invece sia stata una serata “no” quella del tenore Raoul d’Eramo. Totalmente in linea con la personalità dell’impacciato Don Polidoro, ruolo che gli è stato affidato in questa occasione, il cantante è parso in evidente difficoltà non tanto nella performance attoriale quanto in quella vocale, che presenta gravi ed evidenti problemi di intonazione. Chiude il cast Gabriele Nani (Simone), sostanzialmente corretto anche se talvolta grossolano negli attacchi.
Sul podio Salvatore Percacciolo. Nonostante la giovane età, questo promettente direttore è riuscito a dare una  prova di orchestrazione corretta e convincente, dimostrando ammirevole sensibilità e polso. Un personale e meritato successo, salutato al termine della serata da entusiastici applausi da parte di un pubblico – purtroppo – non particolarmente numeroso, forse a causa di un’opera dal titolo così desueto. Sperando di ridurre il numero di poltrone vuote, ricordiamo che La Finta Semplice tornerà in scena al Teatro Fraschini di Pavia (23 e 24 ottobre) e al Teatro Ponchielli di Cremona (6 e 8 dicembre). Foto Elisabetta Molteni