Wagner si era reso conto del fatto che la musica pura aveva esaurito la sua fonte d’ispirazione e avvertiva la necessità di avere un testo poetico per poter esprimere al meglio le sue doti artistiche. Ciò appare evidente nel coevo lavoro per coro, soli e pianoforte, 7 Kompositionem zu Goethes Faust (Sette composizioni sul Faust di Goethe) che non ebbe l’onore di un’esecuzione pubblica, mentre il compositore era ancora in vita, pur essendo l’unica composizione giovanile veramente originale. La sua scrittura, dall’iniziale e marziale Lied del soldato affidato al coro fino al conclusivo Melodram Gretchens, nel quale la presenza di un tremolo nella parte medio-acuta sembra guardare ad una possibile realizzazione orchestrale con il tremolo dei violini tanto caro al Wagner giovanile, rivela una concezione sinfonica rimasta in un semplice abbozzo pianistico. Contemporanee sono anche le prime poco felici esperienze teatrali di Wagner che, tra il 1832 e il 1835, completò solo due delle opere che aveva progettato, Die feen (Le fate), che sarebbe stata rappresentata postuma e Das Liebesverbot oder Die Novize von Palermo (Il divieto d’amare ossia La novizia di Palermo) la cui prima rappresentazione, il 29 marzo 1836, al Teatro di Magdeburgo, fu un fiasco. In questo periodo di faticosa ricerca di una strada propria Wagner colse il suo primo parziale e contrastato successo con un lavoro sinfonico; si tratta dell’ouverture al dramma Christoph Columbus del suo amico Apel, sulla cui genesi il compositore si soffermò a lungo in Mein Leben a dimostrazione dell’importanza da lui attribuita a questo lavoro composto nel mese di gennaio del 1835:
“Verso la fine dell’inverno ricevetti la visita del mio amico Apel, che veniva a riscaldarsi alle mie recenti glorie di direttore d’orchestra. Egli aveva scritto un dramma, “Cristoforo Colombo”, che raccomandai alla direzione. Facilissimo mi fu farlo accettare, anche perché Apel promise di far dipingere a sue spese un nuovo scenario rappresentante l’Alhambra e di procurare in più qualche vantaggio pecuniario agli artisti: costoro infatti continuavano a restare in arretrato nella riscossione degli stipendi, poiché la direttrice si ostinava a favorire Kneisel, il basso. Il lavoro di Apel mi sembrava buono: rappresentava le lotte e i dolori del grande navigatore prima della partenza per il suo primo viaggio di scoperta. Il dramma finiva nel momento patetico in cui il vascello, uscendo dalla rada di Palos, fa vela verso la conquista del nuovo mondo.
Mio zio Adolfo, al quale, per mio consiglio, Apel aveva fatto leggere il dramma, trovava le scene popolari e caratteristiche molto ben riuscite; il romanzo d’amore intercalato gli sembrava invece piuttosto vuoto e insignificante. Composi per l’opera del mio amico un finale per orchestra e un piccolo coro che i Mori scacciati da Granata dovevano cantare lasciando la loro nuova patria. Mi decisi inoltre ad aggiungervi un’ouverture, che scrissi con rapidità quasi presuntuosa. Ne feci l’intero abbozzo una sera a casa di Minna, permettendo ad Apel di trattenersi a suo talento e a voce alta con la mia amata. L’effetto che doveva produrre questo pezzo composto così precipitosamente poggiava su un’idea semplice, ma valorizzata dalla mia attuazione. L’orchestra descriveva, con figurazioni che in verità non avevano nulla di maestosamente originale, l’oceano e il vascello che lo solcava. Un motivo insieme violento, ardente e languido, si innalzava dai flutti armoniosi dell’insieme. Quest’insieme si ripeteva, poi s’interrompeva bruscamente per far posto ad uno strano motivo che, seguito pianissimo sotto il tremolio indistinto dei violini nel registro più acuto, si annunciava quasi come fata Morgana. Avevo ordinato tre coppie di trombe in differenti tonalità, per quelle note che dovevano esprimere le sfumature più delicate nelle più diverse modulazioni: era la terra sperata verso la quale si aguzzava lo sguardo dell’eroe, la terra che egli aveva già creduto di intravedere parecchie volte, che sempre spariva nell’oceano e che finalmente, sotto il cielo del mattino, si mostrava davvero agli occhi dei navigatori, come il mondo immenso dell’avvenire. Le sei trombe si univano allora per far risuonare il motivo principale in una magnifica allegrezza. Conoscendo l’eccellenza dei trombettieri prussiani, avevo giustamente calcolato che l’effetto del finale sarebbe stato travolgente: l’ouverture sbalordì tutti e suscitò una tempesta di applausi” (Ivi, pp. 104-105).
L’ouverture, dopo la prima esecuzione avvenuta il 16 febbraio 1835 allo Stadttheater di Magdeburgo in occasione della rappresentazione del dramma di Apel, fu richiesta in altri concerti e Wagner, confidando in questo successo, ripropose il brano in un concerto che si tenne a Magdeburgo il 2 maggio dello stesso anno e il cui incasso avrebbe dovuto consentirgli di pagare i debiti fin qui contratti. Per l’occasione era stato contattato, come attrazione della serata, il soprano Schröder-Devrient, ma le aspettative di Wagner furono disattese. Lo scarso pubblico intervenuto per la serata rimase quasi atterrito dall’effetto delle sei trombe e, alla fine, l’esecuzione della Vittoria di Wellington di Beethoven con un organico raddoppiato dal compositore fece letteralmente fuggire il pubblico rimasto in sala. La stessa Schröder-Devrient, che, dopo la sua esibizione, aveva preso posto in prima fila andò via prima. La serata si concluse con la sala vuota e l’esiguo incasso non fu sufficiente nemmeno per pagare i musicisti.
Wagner ricordò l’episodio con una forma di autoironia: “L’ouverture del Cristoforo Colombo, con le sue sei trombe, aveva già riempito di raccapriccio il pubblico, quando, per colmo di misura vi si aggiunse la Battaglia di Vittoria [Vittoria di Wellington] di Beethoven! […] L’orchestra con tutta la sua schiacciante preponderanza, si gettò con tale furia sullo scarso uditorio che questo, rinunciando ad ogni resistenza, prese letteralmente la fuga. Per bontà verso di me, la signora Schröder-Devrient era rimasta in una delle prime file per assistere al resto del concerto; ma, sebbene certamente non nuova a terrori del genere, si sentì incapace di sopportare quest’ultimo. Ad un nuovo attacco delle posizioni francesi da parte inglese, si torse le mani e poi anche lei, come gli altri, scappò. Fu il segnale di un vero terror panico: tutti si precipitarono fuor della sala ed io restai solo con l’orchestra per festeggiare la vittoria di Wellington”. (ivi, p. 107)
Nonostante questo esito contrastato, l’ouverture è certamente il lavoro più maturo all’interno della produzione giovanile di Wagner e rappresenta una forma di cartone preparatorio dell’ouverture di Der fliegende Holländer alla quale si può apparentare anche per la situazione extramusicale evocata con il vascello che solca l’oceano, mentre le trombe, insieme agli altri ottoni, danno vita ad un fragorosissimo finale che ricorda la stretta dell’ouverture dell’Olandese, dove l’ingresso degli ottoni è introdotto da un inquietante arpeggio di settima diminuita affidato agli archi. Infine ad accomunare le due ouvertures è ancora l’insistenza sul tremolo degli archi acuti al di sotto dei quali si staglia quel motivo definito da Wagner stesso strano, che si annunciava come fata Morgana (Es. 4), qui poco sviluppato ed affidato soltanto alle due trombe in re nelle prime pagine dell’ouverture.