Già Hector Berlioz, recensendo, con un tono leggermente polemico, alcuni concerti al Théâtre Italien di Parigi tenuti tra il mese di gennaio e il mese di febbraio del 1861 in cui furono eseguiti alcuni brani di Wagner, aveva messo in evidenza con grande acume critico il carattere sinfonico della musica operistica del compositore tedesco:“Dopo fatiche eccessive, spese enormi, prove numerose, ma per nulla sufficienti, Richard Wagner è riuscito a fare ascoltare al Théâtre-Italien alcune sue composizioni. I frammenti tratti dalle opere drammatiche perdono qualcosa ad essere eseguiti fuori dal quadro che gli fu destinato; le ouverture e le introduzioni strumentali vi guadagnano al contrario, perché sono rese con maggiore pompa e splendore di quanto non lo sarebbero state con un’orchestra d’opera ordinaria, molto meno numerosa e meno vantaggiosamente disposta rispetto ad un’orchestra da concerto”. (Hector Berlioz, Concerts de Richard Wagner. La musique de l’avenir, in À travers chants, Parigi, 1862, p. 291.)
Al di là dell’iniziale tono polemico nelle parole di Berlioz si può individuare un fondo di verità rintracciabile nel carattere sinfonico della musica di Wagner, anche se le pagine drammatiche, a giudizio del compositore francese, perderebbero qualcosa senza l’apporto della voce. Il carattere sinfonico della musica di Wagner fu intuito anche da Ildebrando Pizzetti che, in un suo saggio sul Parsifal, facendo un confronto tra Verdi e Wagner, scrisse:
“Tutti abbiamo udito cento e cento volte i più stupendi pezzi delle opere wagneriane eseguiti come pura musica sinfonica, e nessuno di noi, credo, avrà mai sentito che in quelle musiche così eseguite mancava un elemento essenziale, cioè la parola cantata dalla voce […]. Ora, chi potrebbe pensare di fare la stessa cosa delle opere di Verdi, e specialmente delle ultime da lui composte, le più propriamente drammi? Ma – potrà dire qualcuno – ma pezzi delle opere di Verdi, anzi interi atti di esse, sono pur stati eseguiti innumerevoli volte e si eseguiscono tuttavia dalla bande musicali sulle piazze. Vero: ma anche in tal caso la musica di Verdi non diventa affatto sinfonica: rimane quel che è, musica di consistenza drammatica principalmente vocale: e ciò che in essa prevale, ciò che soprattutto conta, è sempre l’espressione vocale di ogni singolo personaggio, anche se la voce di una donna è disgraziatamente surrogata da quella dei clarinetti o di una tromba, e quella di un uomo dalla voce di un altro strumento più o meno adatto. Con questo non voglio però dire che le opere di Verdi, neanche le ultime, siano propriamente drammi: ché in esse permangono, antidrammatiche, le forme strofiche, quelle forme che Wagner giustamente spezzò: e troppo vi permane e vi signoreggia – per tante ragioni che non è ora il momento di esporre – quell’amore della melodia per se stessa che è come il contrapposto e l’equivalente dell’amore di Wagner per le costruzioni sinfoniche” (I. Pizzetti, Il Parsifal di Wagner, in La musica italiana dell’Ottocento, Edizioni Palatine, Torino 1946, p. 229).
Per Pizzetti, a differenza di Berlioz, nessuno, ascoltando un frammento tratto dalle opere di Wagner, si accorgerebbe della mancanza della voce che non rappresenterebbe un elemento essenziale all’interno di una scrittura fondamentalmente sinfonica. L’amore di Wagner per la musica sinfonica, rilevato da Pizzetti, trovò la sua espressione in una produzione non molto vasta che, sebbene poco conosciuta dal largo pubblico, costituisce un’importante testimonianza dell’evoluzione della scrittura sinfonica wagneriana soprattutto se analizzata in rapporto alla sua produzione operistica. Wagner, del resto, fu particolarmente legato a questa produzione sinfonica, come è dimostrato dal fatto che il 24 dicembre 1882, poco meno di due mesi prima della morte che lo avrebbe colto a Venezia il 13 febbraio 1883, diresse alla Fenice una sua giovanile Sinfonia in do maggiore, composta nel 1832 quando aveva appena 19 anni. Stesa in appena sei settimane con il tipico entusiasmo di un giovane in cerca della gloria e di un suo personale linguaggio musicale, questa Sinfonia rivela l’infatuazione di Wagner per la scrittura sinfonica di Beethoven, suo modello privilegiato, del quale aveva trascritto due anni prima per pianoforte a quattro mani la Nona sinfonia. Non mancano però interessanti elementi di novità, già rilevati dalla tredicenne Clara Wieck che, presente alla prima esecuzione della sinfonia, in una lettera del 17 dicembre 1832 al futuro marito, Robert Schumann, allora solo compagno di studi, riportò, con un linguaggio metaforico, l’impressione del padre, secondo il quale la sinfonia:“Ricorda la vecchia diligenza che impiega due giorni per arrivare a Wurzen sempre sullo stesso binario e con il suo stupido cocchiere dal gran cappello che cerca di spingere i cavalli gridando ho hoi. Wagner invece guida un calesse tra gli ostacoli, rischia di ribaltare ogni cinque minuti, ma nonostante tutto arriva a Wurzen in un giorno, magari pieno di ammaccature”
Fuor di metafora la Sinfonia, pur ancora immatura e qualche volta un po’ prolissa come nella sezione introduttiva del primo movimento (Andante e maestoso), rivela già una personalità ben definita e non priva di coraggio nel perseguire una via impervia e, come affermato da Clara, piena di ostacoli. Il modello beethoveniano appare già evidente nella solida struttura del primo movimento, aperto, come accennato in precedenza, da una sezione introduttiva che si impone immediatamente per una serie di accordi eseguiti a pieno organico dall’orchestra, ma all’interno di esso si insinua già il gusto armonico per le dominanti sospese che Wagner avrebbe utilizzato in modo maturo nel preludio del Tristano, ma qui limitato a un timido accordo della triade di dominante di sol maggiore alla quinta battuta. Da questo momento in poi l’introduzione si snoda in una scrittura lirica nella quale emergono sia una solida padronanza del contrappunto sia una scrittura armonica cromatica che conduce a un’altra dominante sospesa, quella di la minore alla fine dell’introduzione. Con una transizione armonica si passa al primo incisivo tema in do maggiore dell’Allegro con brio (Es. 1), strutturato secondo il principio della forma-sonata, in cui, tuttavia, sembra mancare il contrasto dialettico fra i due temi del quale il secondo appare come uno sviluppo del primo piuttosto che un’idea tematica nuova e contrastante.
Nonostante ciò questo primo movimento, oltre a rivelare una certa padronanza dei mezzi orchestrali, presenta in fase di abbozzo alcuni elementi che Wagner svilupperà nei brani sinfonici delle sue opere più mature. Come non notare, infatti, una certa parentela tra questo primo tema e quello di esordio dell’ouverture dell’Olandese volante soprattutto per la presenza del tremulo degli archi al di sotto del quale viene esposto il tema (Es. 2)!
Il modello beethoveniano esercita la sua influenza anche sull’impostazione del secondo movimento, Andante ma non troppo un poco maestoso, il cui tema, per il suo lirismo liederistico, ricorda quello del secondo movimento della Quinta sinfonia di Beethoven sia per la scelta di affidarlo ai violoncelli e alle viole sia per la presenza delle note puntate (Es. 3)
Lo scherzo dell’Eroica di Beehoven costituisce il modello del brillante terzo movimento di questa sinfonia, una pagina, nella quale Wagner mostra, ancora una volta, una solida padronanza della tavolozza orchestrale con la presenza, sempre beethoveniana di contrasti tra blocchi strumentali diversi quali i legni e gli archi che si scambiano la testa del tema in un gioco antifonico. L’ultimo movimento, Allegro molto vivace, è un brillante fugato nel quale appaiono alcuni cromatismi, privi, tuttavia, di quella tensione che Wagner avrebbe dato ad essi nei suoi capolavori teatrali.
Allo stesso anno appartengono altri tre lavori sinfonici: due ouvertures da concerto, una in do maggiore e l’altra in re minore, e l’ouverture per il dramma König Enzio, lavori nei quali traspare, ancora una volta, il modello beethoveniano. L’ouverture del Coriolano, infatti, sembra ispirare l’ouverture da concerto in re minore, che, composta sotto la guida di Weinlig, fu eseguita il 23 febbraio 1832 al Gewandhaus di Lipsia ottenendo una cordiale accoglienza. Il Fidelio, il cui ascolto aveva qualche anno prima rivelato al giovane Wagner la sua vocazione musicale, costituisce, invece, il modello dell’ouverture per il dramma König Enzio di Raupach che venne eseguita il 17 febbraio 1832 a Lipsia sotto la direzione di Heinrich Dorn. Un lavoro senza dubbio minore è l’Ouverture da concerto in do maggiore, il cui fugato conclusivo, alla prima esecuzione avvenuta nel mese di aprile del 1832 sempre a Lipsia, suscitò l’aspra critica della madre che non mancò di affermare come le musiche di Beethoven per l’Egmont l’avessero commossa maggiormente rispetto alla stupida fuga del figlio. Wagner stesso, forse memore di questo lapidario giudizio della madre, inizialmente finse di non conoscere questa partitura quando fu ripresa in un concerto organizzato nel 1873 dalla moglie Cosima in occasione del suo sessantesimo compleanno e alla fine criticò questo suo peccato di gioventù nel quale egli rintracciava sia la solita influenza di Beethoven sia quella di Bellini.
Nonostante le ingenuità giovanili questi lavori, oltre a costituire la testimonianza di un severo apprendistato soprattutto nell’uso dell’orchestra, servirono anche a rivelare a Wagner la sua vera vocazione puramente teatrale. Non è un caso, infatti, che il compositore di Lipsia decise proprio in quel periodo di non completare una progettata Sinfonia in mi maggiore, della quale aveva composto il primo movimento, perché riteneva che dopo Beethoven, nei generi della musica pura, non si potesse scrivere più nulla di buono, come egli stesso affermò nella sua autobiografia, Mein Leben: “Abbozzai anche una Sinfonia in mi maggiore (di cui finii il primo movimento, in 3/4), ispirata alla Settima e all’Ottava di Beethoven; se avessi potuto terminarla e poi conservarla, penso che oggi non ne avrei vergogna. In quell’epoca cominciavo a capire come fosse impossibile, dopo Beethoven, creare qualcosa di buono e di nuovo nel genere sinfonico. L’opera teatrale invece – in cui non vedevo nulla da prendere a modello – mi attirava per la varietà delle sue forme”. (R. Wagner, Autobiografia, a cura di S. Varini, Milano 1983, p. 100).