Como, Teatro Sociale
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti di Arrigo Boito, da William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Otello WALTER FRACCARO
Jago ALBERTO GAZALE
Cassio GIULIO PELLIGRA
Roderigo SAVERIO PUGLIESE
Lodovico ALESSANDRO SPINA
Montano ANTONIO BARBAGALLO
Desdemona DARIA MASIERO
Emilia RAFFAELLA LUPINACCI
Un araldo LUCA VIANELLO
Coro AsLiCo del Circuito Lirico Lombardo
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Direttore Giampaolo Bisanti
Maestro del coro Antonio Greco
Regia Stefano de Luca
Scene e costumi Leila Fteita
Light Designer Claudio De Pace
Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo
Nuovo allestimento
Como, 26 Settembre 2013
Correva l’anno 1813 quando vennero alla luce l’immortale Giuseppe Verdi e il Teatro Sociale di Como. Ci sarebbe stato un modo migliore di festeggiarne il bicentenario se non proponendo un capolavoro del primo sul palco del secondo? Così con “Otello” si è aperta ufficialmente la stagione 2013/2014 comasca, tra meravigliosi fiori bianchi ad adornare i palchi e un trionfo di applausi scroscianti al termine della recita.
La regia di questo grande evento è affidata a Stefano De Luca, artista formatosi e cresciuto nel teatro di prosa. Questa nota sulla sua carriera pregressa traspare in modo chiaro nell’allestimento messo a punto per l’occasione, in collaborazione con Leila Fteita per le scene e Claudio De Pace per le luci. I richiami al Teatro Elisabettiano sono evidenti: la scena è spoglia, minimale, volta a focalizzare l’attenzione sul movimento e la mimica dei protagonisti, vestiti tutti rigorosamente con tradizionali costumi d’epoca. Insomma, ad una prima occhiata potremmo benissimo trovarci al Globe Theatre ad assistere all’Otello shakespeariano. Per l’intero corso dell’opera il palco è occupato da un’enorme piattaforma a scalinata, con due gradini di basamento fissi e tre mobili. Con la rotazione di questi ultimi, De Luca riesce ad elaborare soluzioni di grande impatto, come un efficace “effetto capogiro” durante il brindisi (“Innaffia l’ugola”) o il lento movimento sulle note finali dell’opera che separa con dolcezza i due sposi ormai senza vita. Per contro, non sempre questa rotazione viene sfruttata con originalità, risultando superflua in alcune scene e peccando alla lunga di una certa monotonia. Altra caratteristica fondamentale dell’allestimento è l’interessante uso dei tessuti. Alcune strisce fanno da sfondo alla scena e creano suggestivi giochi di luce riavvolgendosi o dispiegandosi improvvisamente, mentre un enorme telo semitrasparente cala di tanto in tanto sul proscenio, sfocando la visuale con una patina quasi onirica. Memorabile anche il sontuoso telo rosso che domina il quarto atto e delinea un letto nuziale simile ad una cascata di sangue, evocando simbolicamente il presagio di morte che porta al tragico finale. A completare l’impianto scenico compaiono talvolta diversi elementi (trono, lance, candelabri) disposti sempre simmetricamente sul palco, dando un forte senso di staticità che a tratti può apparire eccessiva ma del tutto in linea con la pulizia e l’elegante ordine che caratterizza tutto lo spettacolo.
Ordine presente anche sul versante musicale, grazie alla precisissima bacchetta di Giampaolo Bisanti. La sua direzione è convincente su ogni versante, dai momenti di pathos intimistico alle pagine più impetuose della partitura (unico appunto su queste è il volume eccessivo non sempre ben dosato). Infine, nonostante alcune imprecisioni durante l’impervio concertato che chiude il terzo atto (“A terra…sì…nel livido fango”), Bisanti gestisce i tempi in modo ottimale, riuscendo a coordinare efficacemente solisti, coristi e artisti in buca con grande polso e sicurezza.
La sicurezza non manca nemmeno a Walter Fraccaro, che si cimenta nel ruolo del titolo per la ventesima volta nella sua carriera. L’impeto del suo ingresso in scena (“Esultate!”) non si placa un attimo fino alla fine dell’opera…ed è eccessivo. La sua performance è piatta ed è caratterizzata da una spinta perpetua che oltre a non risultare troppo gradevole non permette al cantante di scolpire efficacemente la complessa struttura psicologica del personaggio che interpreta, facendo emergere solo la rabbia cieca e non il dolore sincero e quell’introspezione malinconica che a tratti dovrebbe palesarsi nel Moro (pensiamo al monologo “Dio mi potevi scagliar” o al finale “Niun mi tema”). Tuttavia stupisce come questo sforzo continuo non faccia scivolare il tenore in errori clamorosi o significativi, e come la voce non risenta di affaticamenti fino all’ultimo, a dispetto di una parte difficile ed estremamente impegnativa come questa, che prevede continui sbalzi all’acuto e discese vertiginose nelle zone gravi.
Buona invece la prova di Daria Masiero nel ruolo di Desdemona. Dotata di una bella voce di soprano lirico, copre tutte le ottave con una padronanza fuori dal comune, regalandoci sfumature che vanno dall’acuto squillante a pianissimi davvero preziosi, tra i quali è doveroso citare il cristallino “Amen” che ha chiuso l’Ave Maria, cui sono seguiti meritatissimi applausi a scena aperta (gli unici della serata). Se il canto è davvero pregevole, non si può dire lo stesso della recitazione in cui risulta ancora un po’ impacciata (analogamente a Fraccaro, più rigido ancora). Questo limite del soprano è stranamente in contraddizione con l’espressività che invece emerge nella mimica del viso e del gesto durante l’esecuzione delle sue arie. Insomma, le doti attoriali sono ancora da sviluppare, ma si riesce a tratti ad intravedere un margine di notevole miglioramento.
Indiscusso fuoriclasse della recitazione è invece Alberto Gazale nei panni di Jago, che cattura costantemente l’attenzione del pubblico grazie alla sua brillante interpretazione, abbinata ad un physique du rôle credibile e appropriato. Con il suo prezioso timbro brunito, il baritono soddisfa anche sul piano vocale, nonostante qualche perdita di smalto che inficia il canto durante alcune incursioni nella parte alta dell’ottava e un’intonazione non sempre impeccabile. Una voce comunque interessante, potente e malleabile piegata con naturalezza alle intenzioni del cantante che sfoggia un sapiente controllo del fraseggio, entusiasmante anche quando cede il passo ad una declamazione calcata ma funzionale. Dopotutto stiamo parlando di una partitura che dista anni luce dal Belcanto ed è sempre più prossima al verismo: Verdi sviluppa qui un senso del drammatico sempre più teatralmente evidente. Completano il cast un perfettibile Cassio (Giulio Pelligra) e un ben cantato Roderigo (Saverio Pugliese). Ben risolti anche i restanti ruoli di comprimariato: convincenti le prove di Alessandro Spina (Lodovico), Antonio Barbagallo (Montano) e assai gradevoli le voci scure di Raffaella Lupinacci (Emilia) e Luca Vianello (un araldo). Ottima infine la prova del Coro AsLiCo preparato e diretto da Antonio Greco, che con la tumultuosa tempesta iniziale ha dato ottimamente il via a questa “prima” memorabile. Foto Elisabetta Molteni © Teatro Sociale di Como