Venezia, Teatro La Fenice
Orchestra Filarmonica della Fenice
Direttore John Axelrod
Gustav Mahler: Sinfonia n. 5 in do diesis minore
Venezia, 16 settembre 2013
Erano anni che tra gli ori e gli stucchi della sala del Selva non risuonavano le struggenti note dell’Adagietto della Quinta sinfonia di Gustav Mahler, una pagina celeberrima soprattutto dopo che Luchino Visconti l’ha utilizzata come colonna sonora per la sua versione cinematografica de La morte a Venezia di Thomas Mann, ad accompagnare il disfacimento fisico e morale del professor Aschenbach, nel quale il sommo regista, modificando il racconto manniano, volle identificare proprio il compositore boemo, protagonista assoluto della vita musicale di Vienna nel periodo della Finis Austriae, idolatrato come direttore d’orchestra, ma pressoché ignorato come compositore. La serata non era allettante solo perché aveva in programma il quinto monumentale lavoro sinfonico di Mahler, ma anche perché segnava l’ottava apparizione, dalla sua fondazione, della giovane Orchestra Filarmonica della Fenice, giovane per l’età degli strumentisti, giovane perché nata nel 2010, nel solco di una tradizione secolare, che vede Venezia una delle grandi capitali, oltre che del melodramma, anche della musica strumentale: dai fasti della Cappella Musicale Marciana, a Vivaldi con le sue orfanelle della Pietà, fino al Festival di Musica Contemporanea, una delle manifestazioni più importanti in questo settore. Un concerto atteso anche perché sul podio della Filarmonica sarebbe salito il maestro di origini texane John Axelrod, attualmente direttore dell’Orchestre National des Pays de la Loire e Principal conductor dell’Orchestra Sinfonica “Giuseppe Verdi”, una tra le più apprezzate bacchette del momento per il suo repertorio estremamente vasto, nonché per la forza espressiva e il gusto per i contrasti, che animano le sue interpretazioni, retaggio forse del grande Lenny (Leonard Bernstein), che fu uno dei suoi maestri: dunque, uno stile direttoriale particolarmente adatto ad affrontare il capolavoro mahleriano in programma.
Composta fra il 1901 ed il 1902 nel periodo cruciale in cui Mahler conobbe e sposò Alma Schindler, la Quinta Sinfonia rappresenta un punto di svolta nella produzione sinfonica dell’autore rispetto alle precedenti Wunderhorn-Symphonien, ancora legate al canto e alla poesia, segnando l’inizio di una nuova stagione creativa che darà origine ad una trilogia sinfonica puramente strumentale. Si tratta di un’opera variegata e complessa: tragicamente funerea nel primo movimento, veemente e tempestosa nel secondo, gioiosamente vitale nello Scherzo, di estenuato lirismo nell’Adagietto, nuovamente concitata e giocosa nel Rondò-Finale. Axelrod ha marcato fortemente questi differenti caratteri, dominando dall’inizio alla fine questa articolata partitura, dove non mancano i contrasti ritmici e il contrappunto domina in molte pagine. Lo ha sorretto un’orchestra, che ha saputo assecondare il suo essenziale ma espressivo gesto direttoriale, sia nel suo insieme sia nei rilevanti interventi solistici, a partire dal penetrante squillo, validamente intonato dalla prima tromba dell’orchestra, che introduce la marcia funebre, Trauermarsch, nel primo movimento, evocando ricordi d’infanzia cari al compositore, probabilmente legati alle parate militari che vedeva sfilare davanti a casa sua. Bel suono, affiatamento, giuste sottolineature dinamiche hanno caratterizzato l’esposizione del tetro motivo – primo episodio del movimento di marcia – affidata ai violini e ai violoncelli all’unisono. Così è avvenuto anche nel successivo episodio, il cui motivo ritorna con qualche variazione nel secondo tempo, Stürmisch bewegt. Mit grösster Vehemenz (Tempestosamente mosso. Con la massima veemenza). Qui Axelrod ha saputo sprigionare dall’orchestra grande energia, anche attraverso un’agogica serrata, fino all’impeccabile, esaltante corale degli ottoni, che ha concluso il movimento, anticipando quello che costituirà il soggetto principale del Rondò-Finale. Come si è già notato, il maestro texano ha saputo sottolineare egregiamente i diversi caratteri presenti in questi primi due movimenti, in cui non si coglie un fluire narrativo bensì una serie di episodi diversi, che si susseguono con enfasi teatrale, legati semmai da una interrelazione tematica.
Un’orchestra scattante ha reso il brio da cui è percorso il lungo Scherzo. Kräftig, nickt zu schnell, che ha la spensieratezza di un Ländler, interrompendo il clima cupo dei primi due tempi, grazie alla fantasiosa invenzione di motivi popolareschi “alla tirolese”, inseriti in una trama contrappuntistica, resa con nitidezza, anche in virtù di un sicuro gesto direttoriale; di particolare fascino il Trio con il corno obbligato di Andrea Corsini, a proporre curiose assonanze tematiche brahmsiane (in particolare, con l’Allegro non troppo della Seconda Sinfonia). Dopodiché si è schiusa l’oasi lirica dell’Adagietto. Sehr langsam, dove Axelrod ha saputo trarre dall’orchestra una dinamica e un’agogica modellate con raffinatezza su ogni singola inflessione della musica, facendo anche apprezzare la contrapposizione tra il suono morbido degli archi e le suggestive puntuali note dell’arpa, che lo accompagnano; un momento di struggimento, di meditazione, di rarefazione timbrica in un’opera dove la gioia e la disperazione si alternano con sonorità poderose, per quanto effimero possa apparire questo allentarsi della tensione.
Ricca di forza espressiva e di contrasti l’interpretazione del Rondò-Finale, in cui il direttore ha evidenziato con precisione tutta l’enfasi virtuosistica della scrittura mahleriana – verosimilmente finalizzata a rendere il carattere illusorio di questa apoteosi trionfale – e dove si sono segnalati i legni, impegnati in episodi di serrata politonalità, e tutta la compagine orchestrale nel complesso fugato, degno della più scaltrita perizia händeliana, culminante nel corale del secondo tempo, riproposto con solenne brillantezza dagli ottoni. Festeggiatissima dal pubblico l’orchestra insieme al suo direttore, che ha segnalato le parti più meritevoli, a partire dai corni e dalle trombe. Vi è stato anche un bis, la Rapsodia Ungherese n. 5 di Johannes Brahms, resa con travolgente vigore.