Arena di Verona:”Roméo et Juliette”

Verona, Arena, 91° Festival  del Centenario 2013
“ROMÉO ET JULIETTE”
Libretto di Jules Barbier e Michel Carré
Musica di Charles Gounod
Juliette MARINA REBEKA
Stéphano NINO SURGULADZE
Gertrude SANJA ANASTASIA
Roméo FRANCESCO DEMURO
Tybalt PAOLO ANTOGNETTI
Benvolio FRANCESCO PITTARI
Mercutio MICHAEL BACHTADZE
Pâris NICOLÒ CERIANI
Grégorio DARIO GIORGELÈ
Capulet  ENRICO MARRUCCI
Frère Laurent GIORGIO GIUSEPPINI
Le Duc de Vérone DEYAN VATCHKOV
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Marko Letonja
Direttore del coro Armando Tasso
Direttore del corpo di ballo Maria Grazia Garofoli
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Lighting designer Paolo Mazzon
Coreografia Nikos Lagousakos
Verona, 31 agosto 2013 

E’ da qualche anno che Romèo et Juliette ha ripreso a circolare con costante regolarità, anche nei teatri internazionali che contano. Merito di voci prestigiose (e mediatiche) che si sono impossessate dell’opera, ma ne hanno anche saputo riportare in auge le gemme nascoste. Non fa eccezione il festival areniano, che dal 2011 ha deciso di riproporre il capolavoro di Gounod annualmente nel cartellone estivo. Scelta doverosa e positiva – pur sulla scia dell’immagine commerciale della vicenda dei due amanti associata indelebilmente alla città scaligera – per un’opera dalla freschezza melodica e dalla sicura vocazione spettacolare che ben si adattano allo spazio interno all’anfiteatro e alle esigenze ‘popolari’ del pubblico che lo frequenta. Un repertorio lirico, quello francese attorno al grand opéra, che in Arena merita di essere ripreso, esplorato e approfondito (Faust in testa) anche per dare nuova linfa ad una proposta che si sta fossilizzando sui soliti titoli.
La ripresa dell’allestimento affidato per la regia a Francesco Micheli conferma la correttezza di lettura dell’opera, per uno spettacolo tradizionale e innovativo al tempo stesso. Complici le scene di Edoardo Sanchi, il cui punto di riferimento principale consiste in una grande struttura mobile a grate e scale interne, un po’ felliniana un po’ a metà tra studio televisivo e scheletro industriale, chiusa a mo’ di gabbia con un giro esterno di alte scale (elementi questi che torneranno lungo tutto il corso dello spettacolo) o aperta a semicerchio a richiamare un avveniristico teatro elisabettiano (e quell’epoca rimandano i costumi di Silvia Aymonino), che poi via via si separa e rimodula a evocare una geometria di spazi libera, colorata e mai sovraffollata nella distribuzione di masse e coreografie nel vasto palcoscenico. Meno di impatto ma sempre suggestiva la presenza di altri macchinari mobili più piccoli su cui si elevano gli uomini di “potere” (Capulet, Frère Laurent e il Duca) e Juliette, quest’ultima entro una sorta di verginale torre, che poi diventa balcone e infine talamo nuziale. Particolarmente divertita e apprezzata dal pubblico – e non può essere altrimenti – la rappresentazione della piccola combriccola di Roméo, che per la parodia di Mab di Mercutio entra con una specie di batmobile (bella trovata), animandosi poi con licenziose e provocatorie allusioni rese chiare nei gesti e nei movimenti anche a chi non conosca testo o lingua francese, da cui poi scene di zuffe e duelli dirette con felice piglio registico, toni qua e là da musical, avvincente brio giovanile e senso dello spettacolo. Peccato per quel finale – con la dipartita delle anime dei due amanti mentre i due protagonisti corrono via fra la platea – che se voleva essere onirico e romantico è risultato ai nostri occhi un tantino banale e di cattivo gusto. La parte musicale vedeva innanzitutto il ritorno sul podio areniano dopo più di vent’anni di Marko Letonja. E si è trattato di un ritorno in grande stile, per un direttore che è sembrato in buona sintonia con le compagini strumentali e vocali areniane, comprendendo e interiorizzando il raffinato discorso musicale di Gounod e il suo particolarissimo tessuto orchestrale, rispettoso di un colore tutto francese entro una solidità di forme consapevoli della civiltà sinfonica e contrappuntistica austro-tedesca, assimilata in maniera assai personale dal compositore. Letonja ha compreso e messo bene in evidenza queste componenti, riducendo (qualora possibile) l’enfasi melodrammatica e ottenendo trasparenze e chiaroscuri entro un suono ora ruvido ora elegiaco ma compatto e palpitante di empiti tardo-romantici. Merito, naturalmente, di un’orchestra insolitamente attenta ed equilibrata nelle dinamiche, sufficientemente ricca nei colori, che ha suonato con eleganza e trasporto, contagiata dalle finezze elargite dalla bacchetta, mentre corretta e senza grossi sussulti si è rivelata la prova del coro. Tra i cantanti ovviamente l’attesa è sempre tutta per i due protagonisti.
Marina Rebeka, giovane e interessante voce emergente, è stata perfetta come Juliette. Nell’incarnare tutte le caratteristiche dell’eroina shakespeariana ha dato vita ad una interpretazione vocale già consapevole e matura, con una tecnica solida e grande sicurezza nella salita agli acuti (pur con qualche durezza ancora da limare). Brillante e controllata nel Je veux vivre, lirica e appassionata nei duetti con Roméo, ha sfoderato temperamento e drammaticità nell’aria del IV atto, per raccogliere alla fine della serata meritatissime ovazioni.
Il Roméo di Francesco Demuro nei primi due atti ha coinvolto solo in parte, dal romanticismo leggermente distaccato e un po’ affaticato nella tenuta vocale. Prova se ne è avuta dalla cautela con cui ha affrontato la celebre aria Ah lève-toi soleil, risolta anche con un certa tendenza a forzare nella zona alta della tessitura. Il tenore sardo ha trovato poi via via il giusto smalto e maggiore consapevolezza stilistica, così da essere premiato dal pubblico e ottenendo un franco successo. Michael Bachtadze  ha dato sfogo ad una partecipata e versatile verve interpretativa, proponendo un Mercutio elegante, misurato e dal gradevole timbro, mentre il bel fraseggio e la voce corposa di Nino Surguladze hanno disegnato un ottimo Stéphano.  Un po’ sfocato all’inizio è risultato il Capulet di Enrico Marrucci, che poi ha trovato un’apprezzabile linea di canto, così come un’incisiva Gertrude si è dimostrata Sanja Anastasia.  Impreciso e con qualche problema di intonazione l’intervento del Duc di Deyan Vatchkov, mentre corretto e stentoreo è risultato il Frère Laurent di Giorgio Giuseppini. Bene il Tybalt di Paolo Antognetti, il Grégorio di Dario Giorgelè, il Pâris di Nicolò Ceriani e il Benvolio di Francesco Pittari. Arena gremita, applausi generosi e accoglienze più che cordiali per tutti. Foto Ennevi per Fondazione Arena