Martina Franca, XXIX Festival della Valle d’Itria, Cortile del Palazzo Ducale
“MARIA D’AVALOS”
Dramma musicale in due parti e quattordici scene per orchestra, solisti e coro
Libretto e musica di Francesco d’Avalos
Prima rappresentazione scenica assoluta e prima italiana
Soprano LIANA GHAZARYAN
Contralto SARA NASTOS
Danzatori
Carlo MARCO RIGAMONTI
Maria GLORIA DORLIGUZZO
Fabrizio RICCARDO CALIA
Gruppo Madrigalistico dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”
Filomena Diodati, Amy Corkery, Candida Guida, Francesco Castoro, Joonas Asikainen
Preparatore gruppo madrigalistico Antonio Greco
Orchestra Internazionale d’Italia
Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Direttore Daniel Cohen
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia e coreografia Nikos Lagousakos
Scene e costumi Justin Arienti
Video artist Matthias Schnabel
In collaborazione con l’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”
Martina Franca, 19 luglio 2013
Se la storia di Maria d’Avalos (ca. 1535-1590), fondata sulla vicenda della travagliata vita matrimoniale con Carlo Gesualdo (1566-1613), si presenta ricca di spunti drammatici, l’opera composta su di lei nel 1992 dal suo discendente Francesco d’Avalos – noto amante del grande sinfonismo tedesco – non poteva che riportare tali “urgenze”, nel suo incedere musicale. La storia è quella di un assassinio feroce e truculento, ordito da Carlo Gesualdo, ai danni della moglie e dell’amante Fabrizio Carafa, duca d’Andria e conte di Ruvo. Entrambi fedifraghi, sconvolsero più da morti, che da vivi, la psiche del principe di Venosa. Ed è su questo tormento che è principalmente incentrata la drammaturgia musicale e teatrale di «Maria Di Venosa», opera andata in scena con buon successo di pubblico al Festival della Valle d’Itria, molto apprezzata anche dai lunghi applausi finali.
Un evento, senza alcun dubbio: la prima e unica esecuzione, finora, era stata andata in scena solo in forma di concerto a Londra nell’agosto 1995, con la direzione dell’autore. Ecco perché quello di Martina Franca si può definire il primo vero allestimento, non foss’altro per l’indispensabile contenuto scenico che ogni opera merita. Il regista Nikos Lagousakos ha immaginato una performance multimediale che colpisce a più livelli la percezione dello spettatore. O quanto meno è il fine che si è prefissato di raggiungere, tra enormi cubi e parallelepipedi semoventi (ormai un “must” di molte regie d’avanguardia, oltre ad essere una necessità per abbattere i costi) e la dimensione onirica della rappresentazione, che fa di questa Maria Di Venosa un melting pot artistico di non facile decodificazione. Tra installazioni, video art, danza e musica, le atrocità maggiori – sembra suggerirci il regista – non sono quelle perpetrate ai danni dei due amanti, ma quelle subìte dall’anima del principe: giustificata, dunque la scelta di tre danzatori per impersonarli – i bravi Marco Rigamonti, Gloria Dorliguzzo e Riccardo Calia – in un’opera dove la mimica conta più del canto appena accennato e pronunciato dal soprano Liana Ghazaryan e dal contralto Sara Nastos.
Tra fantasmi e continui astrattismi, però, la regia convince a tratti (più nel secondo atto – quello dell’uccisione e del tormento a seguire – che nel primo); in un continuo gioco di rimandi e scatole cinesi, l’essenzialità dei simboli sistemati sul palco e il bianco prevalente delle scenografie contrasta con le proiezioni un po’ troppo ossessive: ingranaggi meccanici, radici che si fondano paurosamente nel terreno, il damascato dei palazzi, la partitura, un letto stropicciato. L’equilibrio visivo, insomma, stenta a decollare e la messa in scena offre troppi grandangoli da cui osservare la vicenda. Dal canto suo la musica di d’Avalos si alterna fra uno sperimentalismo che ben si addice al soggetto, e tra continui richiami alla polifonia cinque-seicentesca di Gesualdo, alla furbizia di alcuni leitmotiv e alla dissolvenza delle voci corali, per completare il flashback cinematografico. La mente del principe di Venosa, in alternanza tra stato febbrile e momenti di dolcezze madrigalistiche, è splendidamente “raccontata” in musica dall’Orchestra internazionale d’Italia (con tanto di piccolo ensemble barocco sistemato a lato del palco) e dal Coro del Petruzzelli, che sgorga etereo da una delle stanze del Palazzo Ducale. È il giovane direttore israeliano Daniel Cohen a tenere insieme questo intricato e intrigante puzzle: preciso e molto chiaro nel gesto, accompagna le evoluzioni della storia con grande sensibilità e pragmatismo. La sua giovane età – appena 29enne – fa ben sperare per il futuro, così come non può non colpire l’età media molto bassa di tutto l’allestimento. Seduto su una sedia, nell’ultima fila della platea nel cortile del Palazzo Ducale, c’era anche un Francesco d’Avalos – 83 primavere – visibilmente emozionato. È nell’abbraccio finale – tra lui e i giovani che hanno riportato in musica la storia di Maria Di Venosa – che il Festival della Valle d’Itria ha offerto uno dei suoi momenti più significativi dell’edizione 2013, pur tra luci e ombre di un allestimento drammaturgicamente complicato. Foto Lab.Fotografia © Fondazione Paolo Grassi