Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, Festival International d’Art Lyrique 2013
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti, libretto di Francesco Maria Piave dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto GEORGE GAGNIDZE
Gilda IRINA LUNGU
Il Duca di Mantova ARTURO CHACON CRUZ
Sparafucile GÁBOR BRETZ
Maddalena JOSÉ MARIA LO MONACO
Giovanna MICHÈLE LAGRANGE
Il Conte di Monterone WOJTEK SMILEK
Borsa JULIEN DRAN
Marullo JEAN-LUC BALLESTRA
Il Conte di Ceprano MAURIZIO LO PICCOLO
La Contessa di Ceprano / Paggio VALERIA TORNATORE
London Symphony Orchestra
Estonian Philharmonic Chamber Choir
Direttore Gianandrea Noseda
Regista Robert Carsen
Scene Radu Boruzescu
Costumi Miruna Boruzescu
Luci Robert Carsen, Peter van Praet
Coreografo Philippe Giraudeau
Drammaturgo Ian Burton
Nuovo allestimento. In coproduzione con Opéra national du Rhin, La Monnaie / De Munt in Brussels, The Moscow Bolshoi Theater e Grand Théâtre de Genève
Aix-en-Provence, 4 luglio 2013
Per festeggiare i duecento anni dalla nascita del compositore Giuseppe Verdi, il Festival di Aix-en-Provence ha inaugurato la stagione con il capolavoro verdiano, mai rappresentato ad Aix. La regia è stata affidata a Robert Carsen, che ritorna ad Aix, dopo vent’anni di assenza. Carsen ha trasportato l’azione non certo alla Corte rinascimentale di Mantova, ma in un Circo. Ovviamente “Rigoletto” diventa il clown di turno. L’idea iniziale potrebbe anche apparire interessante, purtroppo però il rapporto tra regia e partitura verdiana non regge. Le invenzioni, le estrapolazioni, non sempre di gusto, hanno il risultato di offrire uno spettacolo complessivamente avvilente dell’opera verdiana.
Nel primo atto, Monterone entra in scena con un grande sacco nel quale si trova il corpo della figlia morta, in una scena che rappresenta una gabbia per domatori, dove le belve sono delle spogliarelliste in giarrettiera e perizoma animalier, mentre Rigoletto gioca volgarmente, con un manichino denudato. Qualche anno fa questo genere di scene avrebbe scatenato l’ira del pubblico che ora invece rimane impassibile. La maschera da clown di Rigoletto lo rende inespressivo, privato delle espressioni ora ciniche o drammatiche del viso. Non va meglio quando si presenta in pantaloni e canottiera: l’esito non è diverso. Chi è il Duca di Mantova secondo Carsen? Il padrone del circo o un semplice artista? I suoi “cortigiani” salgono e scendono dalle gradinate del tendone con in mano bicchieri e bottiglie, facendo un baccano infernale, creando anche delle sfasature con l’orchestra. La casa di Rigoletto è diventata una roulotte che si apre svelando l’angusta camera di Gilda. Nel secondo atto, quando i cortigiani annunciano al Duca che Gilda è rinchiusa nella camera, questi prima di raggiungerla si denuda. Certamente ammiriamo un bel corpo giovanile ma allo stesso tempo non si può considerare questo gesto come una inutile provocazione? Il fatto è che la regia di Carsen non centra l’obiettivo e genera solo indifferenza. L’impianto scenico è fisso, quindi, il terzo atto, che dovrebbe rappresentare la taverna di Sparafucile, non esiste proprio. Si vedono solo una serie di corde che, scendendo dall’alto, sono prese da da alcune prostitute. Gilda muore mentre attorno a lei i cortigiani, seduti attorno alla pista, guardano un’acrobata che, con l’ausilio di una corda, sale e scende dall’alto avvolta in un drappo. Forse vuole suggerire l’anima di Gilda che sale al cielo?
Non si può dire che questa regia sia riuscita, usciamo da questo spettacolo con una sensazione di malessere e perplessità. Un senso di disagio che ci vede anche incerti nel giudicare le prove degli interpreti. George Gagnidze, nonostante sia conosciuto come un celebrato interprete di Rigoletto, qui è parso non all’altezza della sua fama. Quasi certamente la regia non lo ha aiutato, di conseguenza ne risulta un personaggio poco scavato e, sul piano vocale, sono emersi non pochi limiti: i rumori di scena, ma anche una concertazione “pesante” lo hanno soverchiato. A ciò si aggiunga un registro acuto tendenzialmente sbiancato. Gagnidze, solo nel finale dell’opera, è riuscito ad avere il momento più convincente della serata. Arturo Chacon Cruz (il Duca di Mantova) è un giovane tenore di origine messicana con fisico e voce adatte al ruolo, attento nel delineare un personaggio brillante e vigoroso. Senza dubbio, con una maggiore maturazione, la sua voce ci auguriamo, guadagnerà in ampiezza, ma il timbro è buono e capace di affermarsi nella linea musicale. Ha riscosso un vivo e meritato successo. Gàbor Bretz (Sparafucile) si è mostrato perfettamente a suo agio, sotto ogni punto di vista, mettendo in luce una vocalità omogenea e ben impostata. Irina Lungu ci ha offerto una Gilda complessivamente convincente. La voce è chiara e timbricamente gradevole. Certo si sono notate delle incertezze e delle imprecisioni nel “Caro nome”, ma dobbiamo certamente non addurre tutta la colpa alla cantante, costretta dalla regia a cantare questa difficile aria in equilibrio su un trapezio ad un’altezza vertiginosa. In situazioni scenicamente più umane, la Longu ha confermato di essere una Gilda carica di freschezza e spontaneità. Altrettanto convincente, scenicamente e vocalmente, la Maddalena di Josè Maria Lo Monaco. Complessivamente buona la prestazione di tutti gli altri interpreti, così come quella del coro estone che ha mostrato un insieme vocale di buona tenuta, malgrado qualche piccola sfasatura con l’orchestra. Gianandrea Noseda ha diretto la celebrata London Symphony Orchestra. La concertazione di Noseda è parsa spesso troppo forte, poco attenta al canto, a mettere in luce tutti i colori della partitura e adottando tempi non sempre appropriati. Per un’orchestra di questo livello una prova piuttosto disomogenea e discontinua. Ma perché affidare la cura di una partitura d’opera ad un’orchestra a vocazione prettamente sinfonica? In conclusione, un Rigoletto con più ombre che luci, malgrado il grande impegno degli interpreti, salutato alla fine da un discreto successo di pubblico. Foto Patrick Berger © Artcomart