Aix-en-Provence, Théâtre de l’Archevêché, Festival International d’Art Lyrique 2013
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti KV 527 su libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni ROD GILFRY
Leporello KYLE KETELSEN
Donna Anna MARIA BENGTSSON
Don Ottavio PAUL GROVES
Donna Elvira KRISTĪNE OPOLAIS
Zerlina JOELLE HARVEY
Masetto KOSTAS SMORIGINAS
Il Commendatore ANATOLI KOTSCHERGA
London Symphony Orchestra
Estonian Philharmonic Chamber Choir
Direttore Marc Minkowski
Regia e scene Dmitri Tcherniakov
Costumi Dmitri Tcherniakov e Elena Zaytseva
Luci Gleb Filshtinsky
Aix-en-Provence, 8 luglio 2013
Dopo avere assistito a questo spettacolo (la ripresa di una produzione del 2010), ancora una volta dobbiamo tristemente constatare che, se la musica di Mozart ha una sua chiarezza, una sua linearità strettamente legata al libretto di Da Ponte, quello che avveniva sulla scena seguiva un percorso diverso e di difficile comprensione. Di fatto, Dmitri Tcherniakov dà la sua visione e interpretazione del mito di Don Giovanni, trasformandolo in una rappresentazione di una famiglia in disfacimento. Secondo Tcherniakov, Leporello non è più il servo di Don Giovanni ma un suo lontano parente; Zerlina non è una contadina, ma la figlia di un precedente matrimonio di Donna Anna, mentre Donna Elvira è un cugina. Si può facilmente immaginare la confusione e le situazioni improbabili che si vedono rappresentate con un tale concetto dell’opera di Mozart, vista ormai in tutte le più disparate visioni! Inutile, per l’ennesima volta, chiedersi il perché di ciò. L’unica risposta che ci possiamo dare è che è più facile distruggere che creare un capolavoro. Don Giovanni è una figura sciatta, con barba lunga che indossa un vecchio cappotto che lo fa assomigliare al Marlon Brando di Ultimo Tango a Parigi. “E’ un essere stanco, che contiene in sé tutto il Don Giovanni del passato”, afferma Tcherniakov, “la sua unica arma di seduzione è la parola”. Attorno a lui ruotano le figure di Leporello, suo parente, che lo prende come modello di vita e delle donne, più o meno isteriche e nevrotiche. L’unica che sembra colpire realmente questo “seduttore” (perennemente in stato catatonico, steso sul pavimento o abbandonato a ridacchiare su una sedia) è Zerlina. La regia, rispetto a Mozart, adotta tempi diversi, non solo dilatando l’azione nell’arco di diverse settimane, ma trasportando tutto in pochi ambienti: un salone, una sala da pranzo, la biblioteca del Commendatore. Tutto, scene e costumi, sono visivamente accurati, ma lontani dalla visione drammaturgica mozartiana. Ogni scena è scandita dalla rumorosa discesa di un telone a segnare il trascorrere del tempo, ma tutto ciò toglie ogni continuità all’azione. Qui non c’è nessuna statua del Commendatore, nessun effetto soprannaturale: Don Giovanni non finisce all’inferno, ma si annulla, vittima dei suoi stessi eccessi.
Rispetto alla prima produzione del 2010, salvo Leporello, il Commendatore e Donna Elvira, il cast è stato completamente rinnovato. Rod Gilfry interpreta Don Giovanni. Scenicamente è l’indifferente Don Giovanni voluto dal regista ma resta poco credibile. Certamente imbarazzato da questa visione, la sua voce è spesso mal sostenuta, il timbro è piacevole ma si avvertono solo le intenzioni e ci dispiace che possa dare solamente ciò. Più attento al ruolo in scena che al ruolo cantato, assistiamo probabilmente ad una prestazione attoriale. Come nel 2010, ancora una volta Kyle Ketelsen si conferma un Leporello di pregio. La sua voce profonda si mantiene omogenea e timbrata su tutta linea. Cantante musicalissimo, sfoggia anche una dizione perfetta e un carisma interpretativo non comune, nonostante la balzana visione registica. Ketelsen è stato sicuramente il migliore in campo. Il Don Ottavio di Paul Groves manca di sicurezza, anche se si mostra più a suo agio quando gli è possibile cantare in una posizione normale e non allungato al suolo e denudato per metà. Il timbro è piacevole e sa conservare una linea musicale malgrado una voce talvolta manchevole nel canto d’agilità. Il settore maschile del cast è completato da Kostas Smoriginas, un Masetto espressivo e vocalmente corretto, e da Anatoli Kotscherga, un Commendatore ancora di solida vocalità, nonostante la regia che toglie autorevolezza al personaggio.
Il versante femminile vede la Donna Anna di Anna Maria Bebgtsson, interprete non particolarmente accattivante sul piano prettamente vocale: il timbro è acidulo, gli acuti piuttosto duri, scarso il controllo dell’emissione che potrebbe portare ad un più naturale uso del legato e di sfumature. Questa non è certo la Donna Anna di Mozart ma quella del regista: una donna isterica e, da come appare – in abiti sempre succinti – piuttosto volgare. Chiamata a sostituire all’ultimo minuto la prevista Sonya Yoncheva, torna ad interpretare Donna Elvira Kristine Opolais. Conoscendo già questo allestimento, la Opolais si muove con grande naturalezza. Anche in questo caso, la vocalità non è particolarmente affascinante. Dopo un inizio alquanto discontinuo, riesce a trovare nel corso dell’opera un maggiore equilibrio in una voce, anche in questo caso, poco flessibile e povera di colori. La cantante più convincente è Joelle Harvey, una Zerlina dalla voce bella, fresca, stilisticamente inappuntabile e con fraseggio sempre adeguato. In questo delirio registico è parsa un po’ spaesata, ma ha saputo dare un tocco di piacevole vivacità. La direzione d’orchesta è affidata a Marc Minkowski, celebre interprete del Barocco, che qui ha lasciato i suoi Musiciens du Louvre per mettersi a capo della London Symphony Orchestra. Mozart è un compositore che conosce bene e dirige quindi con chiarezza e facendo sentire delle belle sonorità. Si notano dei tempi un po’ troppo allentati, e un rapporto con i cantanti non sempre ben chiaro. La sua è comunque una concertazione che via via si assesta per arrivare ad un finale da “fuochi d’artificio”. Un Don Giovanni comunque deludente che ci lascia con la sensazione di avere perso Mozart per strada. Foto di Pascal Victor/ArtComArt