Bolzano Danza 2013:”Tragédie”

Bolzano Danza 2013, Teatro Comunale
TRAGÉDIE”
COD – Compagnie Olivier Dubois per il Festival d’Avignon 2012, Cloitre des Carmes.
Coreografia Olivier Dubois
Musiche di François Caffenne
Interpreti: Benjamin Bertrand, Arnaud Boursain, Marie-Laure Caradec, Sylvain Decloitre, Marianne Descamps, Virginie Garcia, Karine Girard, Carole Gomes, Inés Hernández, Isabelle Kürzi, Sébastien Ledig, Filipe Lourenço, Thierry Micouin, Jorge More Calderon, Loren Palmer, Rafael Pardillo, Sébastien Perrault, Sandra Savin.
Luci Patrick Riou
Prima nazionale in  esclusiva
Bolzano, 24 luglio 2013 

Nudi, tutti nudi, sempre nudi e in movimento, tutti in movimento, sempre in movimento. Diciotto ballerini: 9 maschi e 9 femmine, occupano ogni spazio del palco per 90 minuti. Non c’è tregua o azione che dia la facoltà di capire chi siamo, cosa facciano e quale sia la loro meta. È la tragedia umana, afferma Dubois nell’incontro con il pubblico avvenuto dopo lo spettacolo, in cui l’essere umano va credendo che la sua esistenza sia l’esito delle proprie azioni e decisioni, che in fine non sono che ciò che gli lascia fare chi l’ha preceduto, chi ha già fatto e deciso prima di lui.
Questo entrare e uscire di scena dei ballerini, dapprincipio in sincrono col loop monotono di un battito (che scandisce il tempo), compiendo 12 passi avanti e 12 passi di ritorno dopo un mezzo giro sinistrorso, senza mai incontrarsi, né guardarsi, per poi, alla fine, incrociarsi e agitarsi scompostamente, significa appunto che “un essere umano non fa una umanità” (Dubois). Ogni vita è un ballerino che fa un proprio percorso, per decisione degli altri. Possiede una propria personalità, un sesso, un colore dei capelli, una fisionomia, un carattere. Tuttavia per il coreografo francese, ciò che interessa è che egli faccia parte di un sistema, in cui fa il suo “dovere” (nel processo) biologico. E non vi è alcun interesse amoroso, né intendimento sessuale tra di loro. Tragédie non riguarda la sfera sentimentale, e se alla fine dello spettacolo vi sono amplessi, ebbene questi sono espressi come bisogni fisiologici in sé. Ognuno, a turno alterno, mima l’amplesso amoroso ma lontano dal/dalla partner. Insomma appaiono volutamente distaccati, ovvero ammucchiati l’un l’altra a rotolare via e sparire nel buio, come le serpi che portano con sé Laocoonte e i suoi figlioli, in fondo al mare. Dubois gioca tra l’Eros e Thanatos e passa dall’organizzazione complessa, alla forma inorganica.

Detto questo, che cos’è Tragédie? E’ una sapiente organizzazione di figure che si muovono in uno spazio: impossibile seguirle tutte; di scrittura attraverso di esse: il 12 è un doppio senario (dodecasillabo, che nella metrica francese è un alessandrino); di segni significanti: il coprirsi il volto (gomito alzato, palmo della mano contrario al viso) e i genitali (braccia incrociate verso il basso) e le urla mute al cielo, ne fanno dei dannati che si scoprono nudi ma col loro peccato addosso, che non può essere dismesso. Ecco, appunto, quell’essere tutti nudi, che costituisce l’elemento d’attrazione (di curiosità) per questa mise en scene della tragedia umana, se da una parte, quella ufficiale, è una scelta che vuol esautorare l’essere umano da sovrastrutture storiche, sociali e psicologiche, da quella non ufficiale si deduce che si è voluto arricchire le coreografie delle forme del corpo umano, anch’esso ricco di significati. Scolpirlo con la luce evidenziandone la bellezza anatomica, che è già un’arte naturale, seppur aiutata dall’esercizio ginnico.
Tragédie è un capolavoro ossessivo e ipnotico a cominciare dalla onnipresente colonna sonora di Caffenne che martella, ad alto volume, con refrain di percussioni e di chitarra elettrica dal suono ricercatamente distorto, qui e là contaminata da organetti che ne sottolineano la ricorsività e la rendono ossessiva. L’andirivieni dei ballerini e delle ballerine con le loro passerelle veloci e uguali, ovvero rallentate e disomogenee e le ricorsive piroette e i baldanzosi saltelli, braccia distese dietro, delle coreografie di gruppo conducono all’ipnotismo, specie quando veniamo abbagliati da luci stroboscopiche che imprimono nella nostra retina le loro pose statuarie. Infatti nulla è casuale o improvvisato. A sentire il regista si tratta di una lavoro di ricerca maniacale della perfezione. I 18 ballerini, con una età compresa tra i 23 e i 52 anni, scelti dopo 1300 audizioni, si muovono, gesticolano e si atteggiano riproducendo ogni gesto che è stato prima pensato, scritto e poi provato dallo stesso coreografo. Ogni suono è il risultato di sei anni di adattamenti. Ebbene, anche se tutto sembra caotico e disconnesso, alla fine si evince che le coreografie hanno raccontato una storia: quella del ciclo naturale della vita dell’essere umano, di colui che vorrebbe decidere diversamente dal perché è stato concepito. Tutto è lineare e regolare, all’inizio, ogni “elemento” percorre deciso la propria strada privo di ogni missione, cioè quella di esistere. Poi qualcuno rallenta, un altro si guarda alle spalle e addirittura c’è chi accenna ad un verso (vagito). Ecco che, come se privi di autocontrollo, questi esseri ignudi e indifesi scardinano l’ortogonalità dei piani fin qui descritti per arrivare ad ammassarsi pur conservando la precipua individualità, del pesce nel branco. Allora ci si incontra e ci si accoppia, sempre a dovuta distanza, perché non vi dovrebbe essere, come s’è detto, alcun sentimentalismo, ma istinto riproduttivo. Ci si raggruppa per sesso e poi di nuovo ci si separa e ci si distanzia nello scatenarsi ad esprimere tutta la propria prorompente presenza, all’incalzare del progressivo e compulsivo sonoro.
Una bella coreografia dello spettacolo è dedicata al girone dantesco, al cerchio di dannati ricurvi sotto il peso del proprio peccato, che girano intorno in cerchi concentrici dimenando le braccia al cielo. Quindi una sorta di sabbah, di ricorrenza tribale, dove stavolta corrono racchiudendo al centro una donna grassa dai capelli rossi, una venere di willendorf che porta con sé l’inequivocabile valore simbolico, ma che costituisce imponenza per l’effetto marcatamente chiaroscurato dovuto alle sue grandi forme.
E’ come se tutto d’essere in qualche modo esorcizzato, come il voler passare dal composto classicismo al variegato barocco, passando per un manierismo che si fa volutamente ricerca estetica. Forti sono i richiami all’iconografia dell’arte: le figure ritorte, carnose e muscolose della sistina michelangiolesca e le sapienti composizioni dei gruppi con la gestione dei pieni e dei vuoti di Géricault (la zattera della medusa).
Grande Dubois! seppure novizio (ha debuttato nel 2006), già direttore del Centre Chorégraphique National de Roubaix (al posto di Carolyn Carlson), considerato tra i cento migliori ballerini-coreografi al mondo, ispiratosi a Nižinskij e ad Angelin Preljoçaj, ha creato coreografie tratte da Sinatra e Ravel. Tragédie è il perfetto risultato di questa neanche decennale ma importante carriera, a costituire un’opera prima degna di ovazioni da parte del pubblico e di cinque bei minuti di sentiti accorati applausi. Foto Francois Stemmer