Arena di Verona:”Il Trovatore”

Verona, Arena, 91° Festival Lirico 2013
“IL TROVATORE
Dramma in quattro parti di Salvatore Cammarano
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna ARTUR RUCINSKI
Leonora HUI HE
Azucena ANNA SMIRNOVA
Manrico CARLO VENTRE
Ferrando ROBERTO TAGLIAVINI
Ines ELENA BORIN
Ruiz PAOLO ANTOGNETTI
Un vecchio zingaro VICTOR GARCIA SIERRA
Un messo CRISTIANO OLIVIERI
Orchestra, Coro  e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Giuliano Carella
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Raimonda Gaetani
Coreografia El Camborio (ripresa da Lucia Real)
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Verona, 6 luglio 2013  

E’ con estremo piacere che si rivede uno spettacolo come Il Trovatore secondo Franco Zeffirelli, che dal 2001 ritorna più o meno frequentemente nei cartelloni estivi del festival areniano (2002, 2004, 2010). E fa effetto ritrovarlo dodici anni dopo ad una nuova celebrazione verdiana e coglierne l’intatta freschezza visiva e la chiarezza di racconto. Che tale è il cuore di quest’opera – felicemente definita anche “dramma della narrazione” – ruotante attorno alla zingara Azucena, vero protagonista e motore drammaturgico dell’opera, con rivelazioni evocate tra il detto e il non detto o nel dormiveglia di un terribile antefatto che si ripercuote come un’ombra nelle vicende ambientate in un Medioevo romantico e dallo spirito quasi fiabesco tra amori, duelli, tradimenti, battaglie, rapimenti. E vendetta.
Tutto compreso appieno e reso con la massima fedeltà dal maestro fiorentino, padrone assoluto del mezzo registico come pochi altri nel panorama teatrale, esemplare nell’esaltare la chiarezza e l’efficacia della recitazione dei cantanti, tra lo sfoggio di sontuosi e colorati costumi (a firma di Raimonda Gaetani) e il consueto movimento delle masse entro la funzionalità e la linearità delle strutture scenografiche. Queste ultime, tolte le monumentali sculture duellanti ai lati del palco ed entro una natura petrosa e lunare, vedevano tre elementi praticamente fissi sulla scena, con armi accatastate a costituire torri e inferriate di un castello che nel II atto aprendosi lasciava ammirare la meraviglia di ori e decorazioni della cappella entro cui Leonora sta per prendere i voti. Per riaprirsi nella scena finale con, questa volta, tutta la desolazione lugubre di un carcere. Quindi elementi di sfondo attenti a rispettare e esaltare la gradinate retrostanti su cui venivano proiettati suggestivi fasci di luce a evocare e dipingere, ad esempio, il balenare rosseggiante della vampa nel duetto tra Azucena e Manrico nel II atto, ripetuto alla fine del III atto durante la pira e ripreso nell’agghiacciante rivelazione finale. Insomma matura e definitiva comprensione e interiorizzazione dello spazio areniano di Zeffirelli che, dopo la magniloquente Carmen del 1995 realizzava questo Trovatore sei anni dopo, avviando una cifra più essenziale ma in giusta misura magniloquente maturata via via anche in tutti i successivi allestimenti.
Ad assecondare le esigenze ‘spettacolari’ areniane – sfruttate in ogni loro possibilità (e come momenti topici potremmo rammentare gli inizi del II o del III atto o l’affollata scena della ‘monacazione’ con la fuga di Manrico e Leonora su quel cavallo bianco con cui l’eroe aveva fatto irruzione) – Zeffirelli era coadiuvato dal gruppo spagnolo “El Camborio” e da Lucia Real, al consueto padroni di coreografie variopinte e balli che davano la giusta tinta iberica allo spettacolo, così come lo spirito guerreggiante era infuso in tornei e scontri sotto la guida del maestro d’armi Renzo Musumeci Greco. All’inappuntabile lettura scenica e registica è corrisposta un’esecuzione musicale tutto sommato più che discreta.
La direzione di Giuliano Carella è sembrata di esperienza e a totale servizio dei cantanti, mai sovrastati dalla massa orchestrale. Dall’altro lato però sembra aver faticato a trovare gli amalgami giusti, i colori o le raffinate sonorità notturne della partitura, poco assecondata dalla prova dell’orchestra areniana, a tratti bloccata dal gesto piuttosto legnoso del direttore e impegnata a trovare un equilibrio e una precisione che qua e là sono sembrati sfuggire di mano, soprattutto nelle sezioni degli archi e degli ottoni. Mentre il coro areniano istruito da Armando Tasso ha offerto una prova maiuscola, di rara compattezza e intelligenza musicale anche nei concertati, oltre che di convinta e spigliata partecipazione scenica. Tra le voci hanno spiccato soprattutto quelle gravi maschili. Artur Rucinski, in particolare. Voce importante la sua, brunita e pastosa, morbidamente duttile e dotata di tecnica sicura. Perfettamente a suo agio nella parte del Conte di Luna, ne ha saputo cogliere le sfumature e ha tornito e cesellato la sua aria del II atto in maniera esemplare, interiorizzandola ma nello stesso tempo comunicando palpiti ed emozioni ad un pubblico coinvolto e prodigo di applausi generosi e meritati. Incisivo e impeccabile si è dimostrato Roberto Tagliavini nel ruolo di Ferrando, risolvendo con sicurezza le difficoltà insite nella prima scena dell’opera e mantenendo sempre un’apprezzabile musicalità negli altri suoi interventi. Carlo Ventre ha dato lo squillo e la cantabilità adatta a Manrico, soprattutto nei primi due atti – davvero convincente il temibile Deserto sulla terra d’esordio cantato fuori scena – rimediando ad un fraseggio piuttosto generico e a una certa staticità attoriale con consumata generosità vocale.  Forse un po’ affaticata è giunta Hui He all’impervia parte di Leonora, ma dopo un inizio con qualche incertezza ha trovato il giusto smalto e la classe che le riconosciamo con una prova in crescendo (davvero coinvolgente il suo D’amor sull’ali rosee) pur con qualche forzatura di troppo nell’emissione. Anna Smirnova ha donato perfetta aderenza scenica e gran temperamento al complesso personaggio di Azucena, ma la sua voce davvero torrenziale non sempre è parsa ben timbrata e controllata al meglio, con qualche molesta oscillazione e alcuni effetti veristici inopportuni. Bene la Ines di Elena Borin e il Messo di Cristiano Olivieri, così come incisivo è parso Paolo Antognetti come Ruiz (soprattutto nel IV atto), mentre alquanto impacciato si dimostrato il Vecchio Zingaro di Victor Garcia Sierra. Arena assai lontana dal tutto esaurito e successo piuttosto tiepido. Foto Ennevi per Fondazione Arena