Verona, Teatro Romano, Festival del Centenario dell’Arena di Verona
“VERDI, NOSTRO SHAKESPEARE” , Viaggio tra musica e parole
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Julian Kovatchev
Soprano Maria José Siri
Tenore Walter Fraccaro
Baritono Marco Vratogna
Voci recitanti Luca Zingaretti, Maria Paiato
Regia Francesco Micheli
Luci Sergio Toffali
Brani da “Falstaff”, “Macbeth”, “Rigoletto”, “Otello”
Verona, 13 giugno 2013
Quest’anno, da Sidney a Stoccolma, i teatri lirici fanno a gara per festeggiare il bicentenario della nascita di Verdi e Wagner, non solo rappresentando le loro opere, ma creando eventi collaterali che aiutino ad approfondire anche aspetti insoliti o poco conosciuti del lavoro e della vita di questi compositori. La Fondazione Arena di Verona, che quest’anno festeggia il centenario di attività in Arena e che ha in Verdi un punto di forza dei suoi cartelloni, tra le numerose manifestazioni che ruotano attorno a questa doppia celebrazione, ha inserito un appuntamento al Teatro Romano, dove si svolge ogni anno un rinomato festival shakespeariano, allo scopo di poter confrontare Verdi a Shakespeare che sappiamo essere stato uno degli autori più amati dal musicista.
Ecco dunque la proposta di una serata intitolata “Verdi, nostro Shakespeare, Viaggio in musica e parole”, che sulla carta poteva rappresentare un momento ricco di spunti e appassionante ma che, nella realtà, ha mostrato più ombre che luci. Sulla scena i protagonisti della serata: il soprano Maria José Siri, il tenore Walter Fraccaro, il baritono Marco Vratogna, gli attori Luca Zingaretti, Maria Paiato e l’ideatore/regista Francesco Micheli in un alternarsi tra brani musicali ed estratti di lettere verdiane. Una visone piuttosto semplicistica e ovvia, che non ha contribuito a fare scoprire una dimensione più profonda o più poetica del collegamento tra i due autori. L’approccio a Shakespeare da parte del noto attore televisivo Luca Zingaretti è parso impacciato se non addirittura espressivamente forzato. Maria Paiato ha dimostrato una maggiore consapevolezza nei suoi interventi, ma sembrava fosse costretta a forzare gli accenti per animare la piattezza dell’insieme. Dignitose le prove dei tre cantanti ma fortemente penalizzate dall’acustica dell’allestimento scenico. Una sorta di grande camera acustica che gravava minacciosa verso il pubblico e che assorbiva completamente gli armonici di cantanti e strumenti, facendo emergere solo le sonorità più scoperte. Nella “Canzone del Salice” dell’Otello non si è sentito l’assolo del corno inglese, mentre l’accompagnamento ritmico degli archi del “Vieni! T’affretta!” di Lady Macbeth era così forte e pesante da sovrastare il canto. D’altro canto, sotto l’anonima concertazione di Julian Kovatchev, l’orchestra è parsa distratta e poco coinvolta. L’unico momento realmente suggestivo della serata è stato l’accostamento delle parole del prologo di Riccardo III, dove descrive le proprie deformità, all’analoga descrizione cantata da Rigoletto: uno stato fisico in comune che condiziona in modo determinante la psicologia dei personaggi. Si sa che Verdi, grande ammiratore e avido lettore di Shakespeare, nutriva il desiderio di scrivere un’opera su Re Lear che non è mai riuscito a portare a compimento: non è impensabile che altri personaggi shakespeariani covino dentro i protagonisti verdiani. Comunque una serata deludente e fiacca, con una gradinata praticamente vuota. L’impressione è stata di una serata messa insieme con superficialità e in modo dilettantesco dove l’aggiunta in cartellone di un nome televisivo famoso avrebbe dovuto fungere da specchietto per le allodole. Foto Ennevi per Fondazione Arena