Firenze, Teatro Goldoni, 80° Festival del Maggio Musicale Fiorentino
Soprano Regula Mühlemann
Pianoforte Tatiana Korunskaya
Franz Schubert: Abenröte D.690 (Schlegel); Die Vögel D.691(Schlegel); Der Fluss D.693 (Schlegel); Der Knabe D.692 (Schlegel); Ellens Gesang I (da “The Lady of the Lake” di W. Scott); Ellens Gesang III “Ave Maria” (da “The Lady of the Lake” di W. Scott).
Ottorino Respighi: Quattro Rispetti toscani P.103 (Birga)
Claude Debussy: Quatre Chansons de Jeunesse: Pantomine (Verlaine), Clair de lune (Verlaine), Pierrot (Banville), Apparition (Mallarmé)
Maurice Ravel: Cinq Mèlodies Populaires Grecques (Calvocoressi)
Felix Mendelssohn-Bartholdy: Auf Flüglen des Gesanges op. 34 n.2 (Heine); Suleika op. 34 n.4 (Willemer); Neue Liebe op. 19a n.4 (Heine); Schilflied op. 71 n.4 (Lenau); Der Blumenstrauss op. 47 n.5 (Klingemann); Frühlingslied op. 34 n.3 (Klingemann)
Firenze, 5 giugno 2013
Con il recital del duo Mühlemann – Korsunskaya si è concluso il ciclo di quattro concerti liederistici che sono stati inseriti nella programmazione di questo 80° Festival del Maggio Musicale Fiorentino. Il teatro Goldoni di Firenze non era gremito di pubblico come è avvenuto per gli appuntamenti delle due star Antonacci e Werba. Il giovane soprano Regula Mühlemann, come pure i tre artisti dei concerti precedenti, ha presentato un programma costruito molto classicamente intorno all’alternanza tra repertorio tedesco e repertorio francese, aggiungendo lei sola una piccola isola dedicata alla nostra lingua. La sua voce, decisamente molto “giovane”, ancora manca di alcune sicurezze tecniche che le permetterebbero di affrontare tutti gli stili e i diversi fraseggi. Il colore è molto bello e chiaro, la buona capacità di articolazione del testo le permette di rendere sempre con ottima dizione tutte e tre le lingue in cui si è cimentata stasera. Tuttavia, mancando ancora di un solido appoggio sul fiato, la voce risultava insufficiente a reggere il fraseggio lungo delle frasi più lente e legate e spesso il volume non era sufficiente a mettersi alla pari con le sonorità più piene del pianoforte. La pianista Tatiana Korsunskaya ha dimostrato grande senso musicale nel trovare questi delicati equilibri con la voce del soprano leggero. Forse alcune scelte dei tempi sono state fatte proprio per facilitarle il compito quando le melodie richiedevano un lungo e sicuro sostegno da parte della voce: quindi i tempi lenti sono stati quasi sempre estremamente accelerati, tradendo la sostanza poetica intrinseca alla musica.
I sei Lieder di Schubert in apertura di concerto si suddividevano a loro volta in un gruppo di quattro testi poetici di Friedrich von Schlegel e due brani dalla “Donna del Lago” di Walter Scott, nella traduzione tedesca di Adam Storck. Nei Lieder con testo di Schlegel l’interpretazione del duo è stata molto buona, sia per la capacità di eseguire con freschezza e brillantezza le parti più spigliate e giocose come in “Die Vögel” (Gli uccelli) e “Der Knabe” (Il fanciullo), sia per la capacità di rendere le atmosfere crepuscolari del canto del tramonto (“Abenrote”) e quelle sognanti dello scorrere di un fiume (“Der Fluss”). In quest’ultimo, forse, mancava una certa cura nella qualità del suono da parte della pianista. Invece, i due canti di Elena Douglas (dal famoso romanzo di Scott) a me sono sembrati stranamente “affrettati” e letti in maniera piuttosto superficiale, sia perché portati a dei tempi più veloci di quelli richiesti dal compositore, che perché confinati a dinamiche e colori abbastanza limitati. Penso, come dicevo prima, a causa dell’immaturità vocale della Mühlemann a reggere quel tipo di fraseggio più lirico e disteso. Infatti, il primo dei due Lieder mancava quasi totalmente delle differenze di agogica tra le sezioni in cui si compone, in forma simile a un rondò, restando sempre in un sicuro mezzo piano. La celeberrima “Ave Maria” (nella sua veste originale e pura di Lied) è stata eseguita praticamente ad un ritmo di Andante quando Schubert chiede chiaramante “Sehr Langsam” (molto lento), banalizzando così le linee melodiche belcantistiche e rendendo nervosi e irregolari gli ornamenti della linea vocale, oltre a togliere il senso di intimità di questa preghiera.
Lo stesso tipo di problema si è presentato nel gruppo dei Quattro Rispetti Toscani musicati da Respighi: non il Respighi migliore, va detto. Qui la presenza del pianoforte è, per volere dell’autore, piuttosto ingombrante, molto descrittiva e quasi orchestrale, e per quanto la pianista abbia cercato di alleggerire il più possibile, alla fine in molte frasi centrali la voce tendeva a scomparire. Nel primo e nel quarto brano ho trovato più adatto l’approccio vocale e interpretativo della Mühlemann, proprio perché il testo brillante e spiritoso unito alle linee vocali agili e aeree inventate dal compositore si sposavano meglio con le possibilità del soprano. Invece, nella dolcissima ninna-nanna del secondo brano e nella profonda nostalgia del canto della lontananza del terzo il duo non ha trovato la giusta chiave di lettura: la ninna-nanna mancava di serenità e magia per una scelta di tempo ancora una volta più veloce del previsto; così come la malinconia della separazione dall’uomo amato non veniva eseguita con sufficiente tensione su una lunga e sostenuta vocalità all’italiana.
Con le melodie del giovane Debussy la scrittura andava in una direzione più consona alla natura vocale del soprano, e in effetti i primi tre brani del gruppo delle “Chansons de jeunesse” sono stati i più convincenti: le delicate e soffuse atmosfere lunari c’erano tutte così come le brillanti colorature delle maschere della commedia dell’arte. Invece, l’ultimo brano proprio non appartiene alle capacità vocali di Regula Mühlemann. Per me questo gruppo di quattro brani (messi insieme dall’editore Durand, non trattandosi in alcun modo di un ciclo, anche se ormai vengono eseguiti sempre insieme nei concerti) possono essere resi insieme solo dal soprano leggero che ha la vocalità per cantare la parte di Manon nell’opera omonima di Massenet: infatti servono la leggerezza e la coloratura per scene come l’ingresso del personaggio o la celebra gavotta, ma anche gli slanci lirici di grande intensità dei duetti con il tenore o della scena del “picciol desco”. Ora, davvero la poesia di Mallarmé è stata messa in musica da Debussy con l’espressività e la vocalità della Manon lirica e non leggera. La parte pianistica ha lo spessore sonoro di un’orchestra proprio nel fraseggio più acuto e teso della voce, e anche le note in “pianissimo” devono avere la sonorità rotonde di una voce da teatro, per rendere la struggente nostalgia del poeta che fa coincidere il ricordo della “apparizione” della donna amata con lontani ricordi di infanzia in cui la madre (persa molto presto) gli appariva come una fatadal cappello luminoso che spargeva scintille di stelle profumate… Tanto valeva espungere questo brano e sostituirlo con uno degli altri che Debussy ha composto in quel periodo, per esempio “Nuit d’étoiles” su testo di Bourget oppure il meno conosciuto ma molto interessante “Romance d’Ariel”, da un manoscritto conservato a Parigi, entrambi brani ben scritti per il tipo di voce e di approccio tecnico della Mühlemann.
Il breve ciclo di poesie e melodie popolari greche, tradotte in francese da Calvocoressi e riscritte musicalmente da Ravel, è stato ben interpretato dal duo Mühlemann- Korsunskaya. La vocalità del soprano ha reso bene i cinque diversi registri che ogni situazione poetica propone, dalla serenata brillante e allo stesso tempo dolce dello sposo che viene a svegliare la sposa con i doni di rito, alla processione per il ricordo dei soldati morti (qui forse un tempo poco più lento avrebbe giovato all’atmosfera religiosa del brano), al canto e alla danza dello spavaldo macho man greco per la prima volta innamorato, alla canzone da lavoro delle raccoglitrici di lentischio fino alla danza vivace e sfrenata ballata sul tavolo alla fine di un banchetto di festa.
Nel gruppo di sei Lieder di Mendelssohn ho trovato che i problemi di ordine vocale che si erano manifestati già precedentemente si presentassero in situazioni inverse: sono infatti stati molto ben risolti i brani lenti e sognanti, mentre quelli più dinamici e brillanti hanno sofferto di una vocalità non sufficientemente intensa. Il celebre “Auf Flügeln des Gesanges” ma anche “Der Blumenstrauss” e soprattutto “Schilflied” hanno trovato in entrambe le artiste una realizzazione musicale molto buona: la voce, galleggiando sulle linee dolci e leggere che viaggiano verso i paesi lontani o che leggono nei fiori l’intima sensibilità dell’innamorata o che trova una magica atmosfera crepuscolare nel canneto, ha trovato un equilibrio sonoro migliore ed ho apprezzato la bella dizione e la grazia nel porgere i testi poetici. Quando, invece, serviva più intensità e vigore, il soprano ha avuto “contro” di sé la scrittura pianistica sonora e colorita espressa dalla Korsunskaya. La forte malinconia e lo struggimento d’amore di Suleika richiedevano maggiore legato e sostegno, la vivace ma energica brillantezza della scena magica di “Neue Liebe” avrebbero voluto una articolazione spigliata maggiormente appoggiata sul fiato, e la tessitura media del canto di primavera non permetteva al timbro chiaro del soprano di emergere sul contro-canto della sinistra del pianoforte (forse un trasporto in tonalità più acuta poteva giovare?) che simula un solo orchestrale di strumenti d’ottone.
A conclusione del concerto, al pubblico, che non ha lesinato applausi, sono stati regalati tre bis: la famosa “Die Forelle” (La trota) e “La Pastorella al prato” (canzonetta di stile tardo-barocco, su testo di Goldoni) di Schubert, e il “Tripatos” (canzone greca da ballo, in greco) di Ravel, tutti e tre brani perfettamente consoni alla voce leggera e alla spigliata graziosa comunicativa della Mühlemann.