Firenze, Teatro della Pergola, 80° Festival del Maggio Musicale Fiorentino (1933-2013)
“MACBETH”
Opera in quattro atti di Francesco Maria Piave, dall’omonima tragedia di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Macbeth LUCA SALSI
Banco MARCO SPOTTI
Lady Macbeth TATIANA SERJAN
Dama della Lady ELENA BORIN
Macduff SAIMIR PIRGU
Malcolm ANTONIO CORIANÒ
Un medico GIANLUCA MARGHERI
Un domestico ALESSANDRO CALAMAI
Un sicario CARLO DI CRISTOFORO
Prima apparizione GIOVANNI MAZZEI
Seconda apparizione SARA SAYAD NIK
Terza apparizione LORENZO CARRIERI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore James Conlon
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Graham Vick
Scene e costumi Stuart Nunn
Luci Giuseppe Di Iorio
Coreografia Ron Howell
Firenze, 19 giugno 2013
Nei giorni in cui le voci della liquidazione del prestigioso e antico festival del Maggio Musicale Fiorentino diventano sempre più consistenti, è paradossalmente triste scrivere una recensione per l’ennesima prova di eccellenza che questo ente ha potuto dimostrare, ancora una volta, anche con una formazione ridotta per gli spazi più ristretti del Teatro della Pergola. Come tutti i fiorentini, spero che possa essere trovata la soluzione giusta per salvare il teatro e tutti i suoi ottimi artisti. Lo spettacolo di stasera non avrebbe potuto trovare migliori interpreti di questa stupenda orchestra e del suo magnifico coro.
La regia creata da Graham Vick è impegnativa quanto bella. L’ambientazione è un’epoca moderna che richiama gli anni ’60 e ’70 negli stili della scenografia e dei costumi e ci racconta una storia sempre attuale di delitti e attentati cruenti per la scalata al potere e le conseguenti ribellioni represse nel sangue. Lo spazio contenuto del Teatro della Pergola (lo stesso luogo della prima esecuzione del 1847) realizza una scatola di tipo quasi “televisivo” in cui la prospettiva è ristretta a scorci di piccole parti di un cielo chiuso dal cemento o da enormi cartelloni di propaganda politica. Non c’è spazio a nessun vero tipo di “regalità”: Macbeth e Banco rientrano dalla guerra con la tuta mimetica, la coppia dei protagonisti ma anche tutta la classe dirigente espressa da Duncano in giù sembrano uscire da uno sceneggiato della TV. Il punto forte di questa lettura registica è decisamente il gruppo delle streghe. Vick può contare su una ventina di artiste del coro dal grande talento scenico che riescono a essere, ognuna allo stesso tempo, individui ben caratterizzati sia fisicamente che scenicamente e a offrire un esempio di ottima arte vocale e musicale. A loro il regista chiede di diventare un gruppo di prostitute tossicomani del tutto scatenate e dominanti: nella prima scena oscenamente provocanti nel prendere in giro Macbeth e Banco che tornano dalla campagna di guerra pieni di orgoglio e regalando loro il beffardo vaticinio; nella seconda scena vere e proprie protagoniste di un’orgia di droga e sangue nella quale Macbeth soccombe per poi risorgere più feroce. In effetti, avendo adottato la versione del 1847, questa parte è musicalmente migliore nell’altra versione, quella di Parigi del 1865: grazie all’invenzione di Vick e alla bravura degli artisti, la lunga serie di deliri di re Macbeth acquista una logica teatrale molto viva e convincente fino alla trovata finale di farci vedere in scena la morte della moglie e dei figli di Macduff. I quadri in cui si rappresenta l’intimo della camera da letto della coppia malvagia sono realizzati con una serie di pannelli che compongono di volta in volta spazi “modulabili” a cui questa sera mancava solo un po’ d’olio a lubrificare le rumorose e cigolanti rotelle. La festa del terzo atto si svolge in un back yard plastificato con piscina che esprime bene l’intrinseca inadeguatezza di un Macbeth “parvenu”, appartenente ad una classe sociale e una posizione di potere del tutto al di sopra della sua tenuta di nervi. La sua morte, che in questa versione avviene in scena, infatti non ha nulla di eroico, anche se in negativo: muore per una ferita d’arma bianca in quella stessa camera da letto dove con la sua signora aveva architettato il regicidio. Interessante anche il gesto di coronare la famosa tirata finale sull’inutilità della vita e della gloria con il gesto di sparare a bruciapelo alla Dama che viene ad annunciare la morte della Lady. Così come la vittoria degli inglesi perde ogni sfumatura positiva quando vediamo Malcolm con le gambe a cavalcioni sulla poltrona assistere alla morte del rivale sorseggiandosi un scotch con la stessa volgare nonchalance di un futuro “tiranno”. La realizzazione scenografica e i costumi di Stuart Dunn sono stati molto ben armonizzati a questa lettura dissacrante e claustrofobica del regista Vick.
La direzione musicale di James Conlon è stata molto asciutta ed essenziale, lavorando soprattutto su una grande varietà di colori che l’Orchestra del Maggio, sia nel suo insieme che nelle ottime parti solistiche, ha saputo rendere in maniera estremamente efficace. L’acustica della Pergola non regala nulla agli strumenti ma neppure alle voci: Conlon ha saputo reggere bene con grande maestria i delicati equilibri favorendo così una fruizione di tutta la partitura che presenta alcune interessanti novità per chi, come me, conosce meglio la seconda versione del ’65. Anche le parti corali, eseguite con un organico ridotto, sono state molto ben interpretate dalla qualità vocale piena di colori e sfumature e dall’intensa recitazione del Coro del Maggio Musicale Fiorentino, uno dei migliori cori lirici italiani.
Nel cast due artisti si sono distinti, l’ottimo Macbeth di Luca Salsi e la superba Lady di Tatiana Serjan. Di Luca Salsi in questa parte abbiamo apprezzato la grande energia scenica (a cui concorre una prestanza fisica adattissima alla lettura del regista) e la qualità di fraseggio, in una varietà di colori e di dinamiche: bravo soprattutto a reggere con continuità e crescendo di pathos la grande scena delle apparizioni e nella bellissima aria dell’ultimo atto. A Tatiana Serjan sono andati meritatamente le più lunghe ovazioni della serata: in effetti, a parte una dizione su cui potrebbe ancora migliorare, il soprano ha dimostrato una grande musicalità, una voce solida e dall’accento verdiano autentico, oltre a una recitazione molto intensa e commovente, specie nella difficile scena del sonnambulismo. Da lodare anche la sua capacità di tenuta vocale nella difficilissima cabaletta del secondo atto, presente solo in questa versione del ’47 (poi sostituita dalla bellissima aria “La luce langue” nel ’65): in effetti la musica di questo brano è brutta quanto difficile, e il bravo soprano ha saputo vincerne con sicurezza le impervie colorature. Anche Marco Spotti è stato convincente e solido nel disegnare la figura di Banco, dotato com’è di bella voce e sicura tecnica: di certo è stato bravo a reggere la sua scena del secondo atto in un’ambientazione per nulla misteriosa e notturna (come previsto dalla drammaturgia musicale), ma trovandosi in mezzo a camerieri-sicari che preparavano un party mondano nel cortile di una villa borghese. Meno riuscita la parte vocale e scenica di Saimir Pirgu che è sembrato molto rigido e incolore, nonostante sia evidente che sarebbe in grado di cantare con facilità questo breve ruolo: forse anche a lui la regia meno “eroica” ha tolto un punto di riferimento interpretativo certo, senza trovarne però uno suo come il collega basso. La sua aria mancava di un fraseggio regolare e omogeneità di timbro vocale, così come nel recitativo precedente non ha dato un accento ben scolpito adatto al momento tragico a cui appartiene. E a fianco a lui anche il Malcolm di Antonio Corianò è sembrato piuttosto timido, anche se il giovane tenore ha una voce di colore molto bella che promette bene. Nelle altre parti spiccava un ottimo Dottore, molto ben disegnato sia vocalmente che scenicamente da Gianluca Margheri, che ha sorretto l’intensa scena del sonnambulismo, affidabile “spalla” della Lady. Con una voce piuttosto chiara e leggera, la Dama di Elena Borin si faceva notare soprattutto per la sua presenza scenica equilibrata e una figura ben caratterizzata dal trucco da segretaria con tanto di chignon e grandi occhiali. Bravi, pur nei brevi interventi, sia Alessandro Calamai nel ruolo del Domestico che Carlo Di Cristoforo nelle vesti del Sicario, entrambi ottimi attori. E va segnalata anche la coraggiosa e solida interpretazione della Prima Apparizione da parte di Giovanni Mazzei che ha ricevuto dal regista il difficile compito di mescolarsi al gruppo delle streghe-prostitute quale inquietante travestito che domina scenicamente la scena centrale del terzo atto. Così come i due giovanissimi Sara Sayad Nik e Lorenzo Carrieri, voci bianche, hanno saputo aggiungere anche una buona presenza scenica alla loro apparizione. Foto Gianluca Moggi, New Press Photo Firenze