Arena di Verona:l'”Aida” del Centenario

Verona, Arena, Festival del Centenario 2013
“AIDA”
Opera in quattro atti, libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re d’Egitto ROBERTO TAGLIAVINI
Amneris, sua figlia GIOVANNA CASOLLA
Aida, schiava etiope HUI HE
Radamès, capitano delle guardie
FABIO SARTORI
Ramfis, capo dei sacerdoti ADRIAN SAMPETREAN
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida AMBROGIO MAESTRI
Una sacerdotessa ELENA ROSSI
Un messaggero CARLO BOSI
Coro, Orchestra e corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Omer Meir Wellber
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Carlus Padrissa, Alex Ollé/ La Fura dels Baus
Scene Roland Olbeter
Costumi Chu Uroz
Assistente alla regia / coreografa Valentina Carrasco
Luci Paolo Mazzon
Verona, 14 giugno 2013

Si apre la stagione del centenario areniano con il debutto del team spagnolo de “La Fura dels Baus” nel nuovo attesissimo allestimento di Aida, in un anfiteatro gremito da oltre quattordicimila spettatori.  Un breve antefatto mette in scena una spedizione archeologica che riscopre l’imponente scultura di due amanti egizi abbracciati e quasi intrappolati nella pietra, la quale non appena riportata alla luce dà nuova vita alla vicenda in sé “fossilizzata”.  Il ponte tra il mondo antico e la modernità rappresenta l’idea centrale dell’avveniristica regia, che volutamente crea un’ambientazione atemporale in cui i caratteri dell’antica civiltà sono rivisitati e proposti in una chiave ultramoderna pur rimanendo riconoscibili. Un Egitto antico ma futuristico in cui il bottino di guerra di Radamès assume la forma di un enorme pannello solare parabolico -chiaro qui il riferimento al dio sole Ra- che durante i primi due atti viene progressivamente costruito a blocchi come una piramide, e che come una piramide diverrà infine tomba calando sui protagonisti nella scena finale.  Chiara è la dichiarazione della Fura: far rinascere nel teatro lirico più grande al mondo l’opera che cent’anni orsono lo inaugurò attraverso la ricerca di nuovi spazi espressivi, in un’operazione di rinnovamento radicale scevra da ogni riferimento alla tradizione.  Non è mancata da parte della compagnia catalana la consueta ricerca di forte suggestione: geroglifici infuocati, dune gonfiabili (non si poteva prepararle già gonfiate in principio invece che disturbare il canto di Aida nel primo atto?) e ballerina sospesa in aria, fino al suggestivo fiume Nilo -con tanto di palme, barca e coccodrilli- ricreato nel terzo atto coprendo d’acqua il palcoscenico, ai notevoli giochi di ombre e all’utilizzo di un profluvio di comparse che hanno letteralmente invaso la platea alla fine del primo atto. Il risultato di tale complesso di espedienti spettacolari impiegati è forse un po’ eccessivo, ed ha in parte rischiato di distrarre lo spettatore dal testo musicale, ma non si può in questo non vedere un arguto riferimento all’ottocentesca megalomania del progresso che ha dato vita ad opere come il canale di Suez e che trova una certa affinità con l’architettura gigantista e smisurata dell’antico Egitto.  Qualche fischio durante il trionfo, dove forse è mancata la perfetta sinergia tra musica e rappresentazione scenica e in cui la regia ha eliminato l’unico momento di ballo di Aida lasciando trasparire un’attitudine volutamente pungente, anche nel portare in scena alcuni elefanti e cammelli meccanici come provocatorio riferimento all’iconografia tradizionale dell’opera.
Il cast si è dimostrato complessivamente  all’altezza del grande appuntamento. Il soprano cinese Hui He ha fatto del personaggio di Aida il suo cavallo di battaglia. I suoi punti forza risiedono in  un canto vibrante e appassionato ma anche languido e tenero, unito ad una grande sensibilità di fraseggio. Il soprano Giovanna Casolla, al contrario, non si è mostrata a proprio agio nei panni di Amneris, a causa di una zona centrale alquanto impoverita a differenza del registro acuto ancora piuttosto solido e svettante. Quanto al personaggio che dovrebbe mostrare connotazioni aggressive e dominatrici, esce ben poco. Fabio Sartori al suo debutto areniano, ci ha offerto un Radamès dalla vocalità solida e bene amministrata, mettendo in luce un  fraseggio ampio ed espressivo, unito a belle intenzioni drammatiche. Fiero e scenicamente ben caratterizzato l’Amonastro di Ambrogio Maestri, che ha dato sfoggio di un timbro vocale potente e pienamente maturo. Il suo approccio stilistico al personaggio è stato però connotato da effetti marcatamente “veristi”. Buona prova per il giovane basso rumeno Adrian Sampetrean come Ramfis: disinvolta presenza sul palcoscenico, di emissione pulita anche se non sempre imponente in fatto di volume. Roberto Tagliavini (Il Re), anche  se non dotato di una vocalità possente, ha cantato con emissione omogenea in tutta la gamma. Precisi e misurati Carlo Bosi (Il Messaggero) e Elena Rossi (La sacerdotessa). Il direttore Omer Meir Wellber, inesperto degli spazi areniani, ha mostrato una scarsa sensibilità interpretativa e disomogeneità ritmiche.  Si sono altresì notate difficoltà da parte di Wellber nel tenere insieme coro e orchestra, in ragione di un gesto direttoriale poco chiaro. Buona la prova dei complessi areniani. Un allestimento che farà certamente discutere, cui però va senza dubbio riconosciuto il merito di aver creato una vera novità all’interno di un contesto quantomai insidioso e con un soggetto assai complesso nonché delicato e difficile da reinventare. Foto Ennevi per Fondazione Arena