Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2012/2013
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Pablo Mielgo
Violoncello Zoltan-Zsolt Szabò
Violino Günther Sanin
Giorgio Battistelli: Pacha Mama
Heitor Villa- Lobos: Concerto n.2 per violoncello e orchestra
Béla Bartók: Rapsodia n.1 per violino e orchestra
Johannes Brahms: Sinfonia n. 1 in do minore op. 68
Verona, 27 aprile 2013
Due filoni culturali, già portati avanti nei precedenti concerti della stagione sinfonica al Teatro Filarmonico di Verona, erano presenti anche nel penultimo concerto della stagione: l’esecuzione di un pezzo di musica contemporanea, in questo caso Pacha Mama di Giorgio Battistelli, e uno o più pezzi appartenente a una scuola nazionale, in questo programma rappresentata dal Concerto n.2 per violoncello e orchestra dal brasiliano Heitor-Villa Lobos, e Rhapsody n.1 per violino e orchestra dal compositore ungherese Béla Bartók. La seconda parte del concerto invece, è stata dedicata alla prima sinfonia di Johannes Brahms.
Pacha Mama, ispirata alla divinità Inca, simbolo dell’agricoltura e della fertilità e in prima esecuzione italiana, si avvale di un’organico molto nutrito, che oltre le file complete di archi e fiati, comprende anche contrafagotto, clarinetto basso, quattro percussionisti, arpa, celesta e pianoforte. Con una scrittura limpida, rigorosa e comprensibile al primo ascolto, Battistelli inizia col creare delle atmosfere rarefatte affidate soprattutto agli archi, prima di introdurre in modo graduale sonorità più corpose, e aggiungere via, via, elementi che si sovrappongono nella creazione di un luminoso e vibrante mondo sonoro che riflette le dinamiche che esprimono la fertilità della Madre Terra. All’apice della partitura un tappeto sonoro di archi, legni e ottoni, sul quale si sovrapponevono i ritmi e i suoni primitivi delle percussioni, utilizzati con grande ricchezza espressiva. L’orchestra ha reso in modo efficace e coinvolgente questa pagina e il pubblico si è dimostrato attento e partecipe. Alla tematica etnica del pezzo d’apertura si sono collegate due pagine solistiche, (affidate a due prime parti dell’orchestra areniana) intrise di forti influenze folkloristiche dei paesi d’origine dei compositori. Il primo brano, il Concerto n.2 per violoncello e orchestra è un’opera matura di Heitor Villa-Lobos: coniuga espressioni idiomatiche brasiliane impiegate in modo molto personale, con il linguaggio compositivo dell’avanguardie europee degl’anni 20-30.
Il concerto, dai tratti a volte melanconici e sentimentali, e a volte carica di intensità ritmica e ricchezza timbrica, è stato eseguito dal violoncellista Zoltan-Zsolt Szabò, che con grande naturalezza ha saputo fraseggiare con suono morbido e caldo la linea più cantabile, e affrontare con slancio e precisione i passaggi di bravura e sfoggio rendendo con eleganza lo spirito musicale. La rapsodia n.1 per violino e orchestra di Bela Bartók, del 1928, dedicato al suo amico, il violinista Josef Szigeti, grande virtuoso con il quale Bartok si esibiva occasionalmente in concerto e con il quale ha registrato una registrazione dell’edizione originale per violino e pianoforte, adopera materiale autentico della musica popolare transilvano-tzigana (ampiamente usate e valorizzate nelle sue composizioni). Tipico della forma rapsodica è l’accostamento di due tempi, uno moderato di stile lirico e cantabile “Lassù”, e l’altro “Friss” d’andamento danzante vivacemente punteggiato dai colpi d’arco dello strumento solista.
Il solista, spalla dell’orchestra dell’Arena, Günther Sanin, ha eseguito il pezzo fedelmente, ma senza dare rilievo agli impeti e ai colori che ne caratterizzano lo stile e senza l’abbandono tipico sia della musica tsigana e della forma rapsodica che ne sono la forza propulsiva e la carica espressiva. Purtoppo va ancora una volta evidenziata la tendenza, da parte dell’orchestra, ad “inghiottitire” i solisti con un’accompagnamento troppo presente. Nel corso della serata si è poi sempre più evidenziata una mancata intesa fra direttore e orchestra, soprattutto nell’esecuzione della partitura brahmsiana. Fin dall’inizio della Sinfonia n.1 di Brahms, dove gl’insistenti colpi di timpano che dovevano risultare inesorabile e drammatici, come una sentenza senza appello, sotto una lenta, tesa e struggente linea tematica, sono suonati come i morbidi tocchi di timpano che ricordavano l’incipit del concerto per violino di Beethoven: questo ci ha fatto intuire che si era partiti con il piede sbagliato. Coerentemente, anche la linea tematica era senza nervo. Tutto è scivolato via, senza emozione, ignorando i numerosi spunti per risaltare i momenti di forti tensioni armonici e contrasti timbrici, che fanno di questa sinfonia del grande romanticismo, una delle opere più emozionanti. I fiati risultavano sempre forti e invadenti, disomogenei tra loro e con il resto dell’orchestra. I corni in particolare, di solito così precisi e misurati, sovrastavano l’equilibrio sonoro a ogni loro intervento. Il dolce assolo del primo violino non è riuscito ad aleggiare perchè schiacciato dai fiati. Si è apprezzata la sinfonia per la sua intrinsica bellezza e non per questa esecuzione. A parte un rumoroso dissenso alla fine del primo tempo, il pubblico ha tributato un successo cordiale alla serata. Foto Ennevi per Fondazione Arena