Salerno, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2013
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti. Libretto di Francesco Maria Piave, tratto da Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova CELSO ALBELO
Rigoletto LEO NUCCI
Gilda DESIRÉE RANCATORE
Sparafucile / Monterone CARLO STRIULI
Maddalena FRANCESCA FRANCI
Giovanna NATASHA VERNIOL
Marullo ARMANDO GABBA
Matteo Borsa FRANCESCO PITTARI
Il Conte di Ceprano / Un usciere ANGELO NARDINOCCHI
La Contessa di Ceprano / Un paggio ELENA MEMOLI
Orchestra Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi
Coro del Teatro dell’Opera di Salerno
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Luigi Petroziello
Regia e Luci Lorenzo Amato
Scene e Costumi Alfredo Troisi
Salerno, 21 aprile 2013
Il Rigoletto verdiano apre la Stagione Lirca 2013 del Teatro Giuseppe Verdi di Salerno, a suggellare l’apporto salernitano alle celebrazioni per il bicentenario della nascita del Cigno di Busseto. La serata si apre con un colpo di scena a sipario chiuso: l’annuncio dell’assenza di Daniel Oren per indisposizione. E’ l’ultima recita, il pubblico rumoreggia, contestando chiaramente, anche con fischi e con supposizioni di vario tipo su questo improvviso cambiamento ma, all’entrata di Francesco Ivan Ciampa, direttore musicale di palcoscenico, risponde prontamente all’incitamento che viene dalla buca che bene fa a sostenere il giovane Maestro chiamato alla sostituzione ‘dell’ultimo minuto’. Il Preludio iniziale resta, a mio avviso, la parte musicalmente più interessante di tutta l’esecuzione, ben eseguito sotto una direzione non sempre chiarissima nel gesto ma efficace nel risultato d’insieme. Il primo Atto, per contro, è deludente, soprattutto nella scena prima, quella della festa nel Palazzo del Duca, in cui manca del tutto l’evocazione musicale della frivolezza libertina che invece è descritta in palcoscenico da gesti esplici dei figuranti: un andamento più ‘in avanti’ avrebbe probabilmente meglio accompagnato lo svolgimento dell’azione. L’ aria di sortita del Duca, “Questa o quella per me pari sono”, presenta Celso Albelo sottotono, letteralmente parlando, con errori di intonazione piuttosto sparsi, forse proprio a causa di questo tempo ‘slargato’o forse magari perché non completamente in serata. Poco baldanzoso, poco ‘a fuoco’ anche come personaggio in questa scena di presentazione del potente della vicenda. Gli interventi di Francesco Pittari (Matteo Borsa), Elena Memoli (La Contessa di Ceprano), Armando Gabba (Marullo), Angelo Nardinocchi (Il Conte di Ceprano) e dei Coristi-Cortigiani, si inseriscono in questo clima generale di grande e monotona staticità. Nulla da segnalare. Leo Nucci, Rigoletto naturalmente, apre qui uno spiraglio di maggiore interesse, grazie all’uso di una dizione chiara che favorisce sicuramente l’azione e la fluidità. L’unico, in questo senso. L’arrivo di Monterone, Carlo Striuli che troneggia per voce ma non per accento, che con il suo carico di gravità avrebbe dovuto, quindi, frenare la concitazione della festa e l’euforia derivante dell’invito del concertato appena eseguito in cui tutti, in scena, esplicitano a godere in quella che è ‘la reggia del piacere’, sembra inserirsi in un’atmosfera già austera e non da nessuna particolare varietà. L’Atto continua poi con l’incontro tra Rigoletto e Sparafucile, Carlo Striuli ancora, il Monologo di Rigoletto diviso tra il turbamento procuratogli dalla maledizione scagliatagli da Monterone e il tormento per quello che è, suo malgrado, costretto a fare: divertire i cortigiani che odia profondamene. Piacevole il successivo duetto Gilda- Rigoletto, malgrado diversi errori di intonazione di Desirée Rancatore, la Gilda in scena, appunto. In “Caro Nome”, il soprano alterna momenti non ‘a fuoco’ vocalmente parlando, quasi sempre nel centro, a piani interessanti in zona acuta e ad una registro grave piuttosto disomogeneo rispetto al resto della voce, quasi a cercare forse un colore innaturale, accompagnato da vibrazione anomala, presentando, nell’insieme, il suo personaggio in maniera sufficientemente corretta, non priva di qualche leziosità superflua e manierata.
Il secondo atto è dominato dalle due grandi scene con le Arie dei personaggi maschili: Celso Albelo si difende bene nella temibile Aria che apre il secondo atto “Parmi veder le lagrime”, con la puntatura alla fine della cabaletta, non scritta ma di tradizione e Leo Nucci mostra tutta la sua arte consolidata nel corso degli anni e in tante recite nei panni del Buffone, nella sua “Cortigian, vil razza dannata” trascinando il pubblico e ottenendo calorosi e meritati applausi. Anche il duetto Gilda-Rigoletto, con cui si chiude questo Atto, ben coinvolge il pubblico che richiede un bis prontamente concesso a sipario chiuso, in forma di concerto. Il terzo risulta essere l’Atto ‘più giusto’, scorrevole, musicalmente più ricco di tensione. Bello il quartetto finale, timbricamente le voci si amalgamano bene e l’orchestra accompagna con molta pertinenza. Il momento musicalmente più riuscito insieme al Preludio. Francesca Franci (Maddalena), ascoltata spesso in questo teatro, sembra essere più vicina ad un’idea reale di canto rispetto ad altre occasioni, pronuncia un po’ meglio e la voce è meno piena di buchi e afonie, associando a questo migliore approccio vocale una perfetta credibilità scenica nei panni della sorella, alter-ego noir, di Sparafucile. Non mi entusiasma la “Donna è mobile” di Celso Albelo, meglio l’ intonazione, le note ci sono tutte, ben tenuto il si naturale finale ma non ottiene l’ovazione che tutti quasi ci aspetteremmo. Tutto scorre meglio, dicevo, La Tempesta, il sacrificio di Gilda, il ritrovamento nel sacco della figlia agonizzante da parte di Rigoletto, che credeva compiuta la sua vendetta e, invece, spinge indirettamente Gilda al sacrificio estremo. Panta rei nell’Atto terzo, dunque, tutto scorre, dicevo, ma siamo molto lontani dalla commozione che queste scene potrebbero potenzialmente procurare. Registicamente la novità più rilevante è l’utilizzo, con il contributo di Jean Baptiste Warluzel, di immagini astratte video-proiettate sulla scenografia, il sangue, soprattutto, un effetto che ritengo non dia né tolga nulla ma che menziono per dovere di cronaca. Belli i costumi, soprattutto quelli della scena-orgia iniziale e le luci che suggeriscono le atmosfere giuste, nelle varie scene. Ultimo piccolo cenno al Coro che non mi sembra, in queste ultime produzioni particolarmente brillante mentre l’Orchestra fa il suo dovere in maniera piuttosto ‘anonima’, con qualche dovuta eccezione legata a momenti già menzionati. Forse questa ‘apatia’ è anche da imputare al fatto che i Maestri lavorano praticamente senza percepire alcun compenso, da mesi….e questo, scusate, anche in presenza di forte motivazioni artistiche, può anche fare differenza. Foto Massimo Pica