Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2012-2013
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Stefano Montanari
Flauto Angelo Moretti
Arpa Nabila Chajai
Federico Costanza: Il canto di un Mangiasuono (prima esecuzione assoluta)
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per flauto, arpa e orchestra in do maggiore KV 299 (KV6 297c); Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550
Venezia, 8 maggio 2013
Prosegue con grande partecipazione e successo di pubblico la stagione sinfonica 2012-2013 del Teatro La Fenice, che si caratterizza – oltre che per la presenza di interpreti di alto livello – per tutta una serie di progetti, sottesi alla programmazione dei concerti, che si concentrano prevalentemente sui nomi di Mozart e Čajkovskij, ma aprono anche ai giovani compositori. Il programma della serata al teatro Malibran ne era una conferma: le due composizioni inserite nel progetto Mozart, comprendente – come abbiamo già segnalato – le ultime quattro sinfonie coeve alla trilogia dapontiana, erano precedute da un brano per orchestra eseguito in prima assoluta: Il canto di un Mangiasuono, del trentasettenne Federico Costanza, seconda delle tre partiture originali commissionate dalla Fondazione Teatro La Fenice a giovani talenti nell’ambito del progetto “Nuova musica alla Fenice”, promosso con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice.
Quanto agli interpreti, poi, un direttore come Stefano Montanari, una delle presenze più gradite e apprezzate a Venezia, musicista poliedrico, che spazia dal repertorio barocco al melodramma ottocentesco, al jazz, non ha bisogno di presentazioni; ma anche i due solisti, impegnati nel concerto per arpa, flauto e orchestra, non sono sconosciuti in laguna: si tratta del flautista Angelo Moretti e dall’arpista Nabila Chajai, entrambi prime parti dell’orchestra del teatro veneziano, che hanno rivelato assoluta padronanza del rispettivo strumento e sensibilità interpretativa.
Di tutto rispetto il curriculum del promettente Federico Costanza, diplomatosi in pianoforte, composizione e musica elettronica presso il Conservatorio “Benedetto Marcello” di Venezia, che ha inoltre partecipato a numerosi corsi e masterclasstenuti da prestigiosi compositori e direttori, e le cui opere sono eseguite in teatri e festival di musica contemporanea in Italia e nel mondo.
Il canto di un Mangiasuono (“ovvero sulla spensierata melodia divorata”) prende spunto dalla leggerezza e spensieratezza delle melodie di Mozart e Čajkovskij per un lavorìo sulla campitura sonora, sul “drone” (ronzìo) e la sua continua variazione: un suono continuo che suggerisce e mostra un canto, una melodia e il suo “residuo”. Riverberi di spazi e personaggi sonori del Flauto magico e dello Schiaccianoci sono costantemente messi a confronto con lo sfondo, generando una sorta di “melodia masticata”. Due flauti, due corni, due trombe, un trombone tenore, un trombone basso, due timpani, percussioni, otto violini I, sei violini II, quattro viole, tre violoncelli, due contrabbassi: così è composto l’organico previsto per questo pezzo di sicuro effetto, a suo modo esempio di “musica pura”, in cui l’elemento timbrico prevale su ogni altro in un continuum sonoro, costituito da note tenute e glissandi, in cui si alternano ed intrecciano i vari strumenti, dagli ottoni agli archi, ai timpani, ai metallofoni, ricreando a tratti, pur trattandosi di strumenti tradizionali, certe atmosfere evocate negli anni Sessanta da Maderna e Berio con le pionieristiche apparecchiature dello Studio di Fonologia della RAI a Milano. Pregevole la prestazione degli strumentisti dell’orchestra. Autorevole, preciso, espressivo il gesto di Stefano Montanari. Applausi alla fine anche per il compositore e per il socio della Fondazione Amici della Fenice Antonio Pagnan, il cui speciale contributo, assieme al sostegno della Fondazione nel suo insieme, ha reso possibile il buon fine di questa nuova commissione.
Scritto per due musicisti dilettanti, Adrien-Louis de Bonnières, duca di Guînes, ottimo flautista, e per sua figlia, arpista di talento, nonché allieva di composizione di Mozart durante il suo deludente secondo soggiorno parigino (1778), il Concerto per flauto, arpa e orchestra KV 299 deve il suo organico così insolito alle esigenze del committente, che intendeva eseguirlo privatamente insieme appunto alla figlia. Ne nacque una “musica di società”, ricca di idee tematiche, in cui si rispecchia la joie de vivre – per quanto un tantino anacronistica o incosciente – che ostentava l’aristocrazia francese nell’epoca di Luigi XVI. Un lavoro in cui, come avviene sempre nel geniale salisburghese, gli aspetti virtuosistici non scadono mai nel decorativismo fine a se stesso, e dove l’arpa e il flauto – che alternativamente conducono la melodia o l’accompagnano, oppure insieme intrecciano le proprie linee melodiche in un continuo dialogo “galante” tra di loro e con l’orchestra – creano una serie di sonorità incantevoli che impreziosiscono questo concerto scritto in un grazioso stile rococò. Brillantissimi e musicalissimi i due solisti, Angelo Moretti e Nabila Chiajai, che nell’Allegro iniziale hanno ampiamente saggiato tutte le possibilità tecniche e le diverse sfumature timbriche dei loro rispettivi strumenti, senza mai perdere di vista le esigenze espressive. Il che si è potuto constatare soprattutto nel successivo Andantino (paragonato da Alfred Einstein a un delicato quadro di Boucher e da Giovanni Carli Ballola a un prezioso arazzo Gobelins), dove hanno saputo rendere la soave mestizia tardo settecentesca che pervade questa pagina. Notevole la loro prestazione nell’Allegro finale, un rondò in tempo di gavotta, che presenta un tema principale, più tardi ripreso da Mozart, con qualche variazione, nella romanza della celeberrima serenata Eine Kleine Nachtmusik. Montanari li ha accompagnati con appassionata partecipazione, attento ad assecondare le loro delicate sonorità, guidando la contenuta compagine orchestrale con un gesto che coinvolgeva un po’ tutto il suo corpo attraverso movenze esplicitamente espressive, sprizzando la sua pressoché incontenibile gioia di fare musica. Festeggiatissimi, i due solisti hanno concesso un bis, lo spagnoleggiante Entr’acte per flauto e arpa di Jacques Ibert, un pezzo squisitamente brillante, che ha mandato in visibilio il pubblico.
Il temperamento esuberante del direttore si è potuto apprezzare appieno nella conclusiva Sinfonia n. 40 in sol minore, di cui ha proposto un’interpretazione vitalistica, energica, asciutta, mettendone in valore la mirabile coerenza strutturale e tematica, la straordinaria sapienza compositiva più che l’intima mestizia, che pure pervade certe pagine di questo monumentale lavoro, composto di getto, insieme alle Sinfonie n. 39 in mi bemolle e n. 41 in do maggiore, nell’estate del 1788. Del resto pare che ormai un’interpretazione del Mozart sinfonico, comprese le composizioni della maturità, come quella, ad esempio, di Karl Böhm (tanto osannata negli anni 70) sia oggi improponibile in base al gusto imperante: il Mozart proposto dal grande direttore austriaco – ritenuto statico, titanico, squadrato – non piaccerebbe più neanche in ambito austro-tedesco. Si preferirebbe una visione più asciutta ed essenziale, ritmica e danzante, più adatta ad esprimere la freschezza e l’innocenza tipica della genialità mozartiana, anche attraverso una scelta di tempi mediamente più veloci che in passato: ne è un autorevole esempio l’interpretazione di Harnoncourt. Di questa nuova concezione ci pare abbia tenuto conto Stefano Montanari, che tuttavia, come abbiamo sottolineato, ha voluto puntare sulla forza, il vitalismo, sottesi a questa musica, senza alcuna sdolcinatura o ridondanza, evidenziando la solida impalcatura strutturale dell’opera, come l’economia di mezzi, di ascendenza haydniana, con cui è costruita, a costo di arrivare talora – ci permettiamo di notare – ad una secchezza monosillabica del suono, ad una stringatezza forse eccessiva. Spettacolo nello spettacolo, ancora una volta, la gestualità del maestro, ora danzatore di flamenco, ora spadaccino: in ogni caso dominatore della partitura e dell’orchestra, che lo ha seguito con precisione e comunanza d’intenti. Grande successo finale.