La musica va in scena al Malibran

Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2012-2013
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Rinaldo Alessandrini
Corno Andrea Corsini
Stefano Alessandretti: Pantomima (prima esecuzione assoluta)
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per corno e orchestra n. 3 in mi bemolle maggiore KV 447; Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore KV 543
Venezia, 16 maggio 2013 

Al Teatro Malibran di Venezia, terzo ed ultimo appuntamento, per quest’anno, con il  progetto Nuova musica alla Fenice, che prevedeva la commissione di tre partiture originali su un tema legato agli autori in cartellone per la stagione sinfonica. Argomento: il rapporto tra la musica di Mozart e quella di Čajkovskij, i due compositori che ricorrono maggiormente nella programmazione. Dopo “Neve” di Edoardo Micheli e “Il canto di un Mangiasuono” di Federico Costanza, era la volta di “Pantomima” di Stefano Alessandretti,trentatreenne musicista umbro, anch’egli in possesso di un invidiabile curriculum: un brano, che secondo le indicazioni dei committenti doveva basarsi, come i due precedenti, su un organico “mozartiano” ed avere la durata di circa 6 minuti. Il giovane compositore si è concentrato sui tratti salienti di questi due genî della musica, di cui ha evidenziato – come suggerisce lo stesso titolo del brano – gli aspetti più “teatrali”, esasperando, come in una caricatura, di volta in volta, il carattere serio, quello grottesco, quello scherzoso.
La musica, dunque mima ed enfatizza il gesto teatrale, che si concretizza nell’imitazione continua tra le varie sezioni dell’orchestra, mediante l’uso di alcune tecniche compositive, che vanno dal tema con variazioni alla serie dodecafonica (nella parte centrale), in una sorta di rapido excursus dal Settecento ad oggi. Particolare rilevanza assumono gli strumenti a fiato – impegnati anche nell’emissione di suoni multifonici –  e in particolare il dialogo tra il flauto e il clarinetto, che si segnalano nella trama contrappuntistica, su cui si innestano le citazioni e le imitazioni (peraltro dissimulate dal “divenire” cui viene sottoposto ogni organismo sonoro), mentre gli archi stanno in secondo piano (come una sorta di strumenti-ombra). Ed è proprio questo gioco di problematici, di più o meno consci riconoscimenti, a cui viene invitato l’ascoltatore (sensazioni che forse hanno qualcosa a che spartire col déjà vu) che costituisce la cifra distintiva di questa sonora Pantomima, salutata, dopo la sua conclusione, da convinti applausi del pubblico, a cui ha  certamente contribuito l’impeccabile prestazione degli esecutori, sotto la guida di Rinaldo Alessandrini, per la prima volta sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice. Specialista di musica antica, clavicembalista, organista e fortepianista, oltre che fondatore e direttore dell’ensemble Concerto Italiano, il maestro ha mostrato anche in questo brano contemporaneo un gesto di icastica e, per così dire, chironomica chiarezza (dirige senza bacchetta), che denotava sicura padronanza della partitura e determinazione nella scelte interpretative, come poi avrebbe ampiamente confermato nei due pezzi successivi, tappa ulteriore del progetto Mozart. Nel frattempo gli applausi si sono ripetuti in occasione della semplice cerimonia, in cui la socia della Fondazione Amici della Fenice Marina Gelmi di Caporiacco – che con il suo generoso contributo ha reso possibile la nuova commissione –  ha consegnato un riconoscimento a Stefano Alessandretti, dopo aver brevemente illustrato gli obiettivi di Nuova musica alla Fenice.
Se il concerto era iniziato all’insegna del teatro, un’implicita teatralità hanno rivelato anche le due composizioni mozartiane con cui è proseguito, sorta di contraltare strumentale alla parallela stagione drammaturgica di Mozart, al pari, peraltro, di altre importanti realizzazioni sinfoniche. Come molti concerti per strumento solista del Grande Salisburghese, anche quelli per corno rivelano assonanze con la produzione operistica, soprattutto per la straordinaria capacità di conciliare l’elemento drammatico con il virtuosismo strumentale. Ma questo gruppo di composizioni si segnala anche per la prodigiosa invenzione melodica, l’originalità di alcune soluzioni armoniche e l’impeccabile scrittura orchestrale. Il Concerto n. 3 in mi bemolle maggiore KV 447 è di gran lunga il più importante dei quattro concerti per corno di Mozart sia per la ricchezza della scrittura solistica, sia per il morbido colore orchestrale, ottenuto sostituendo le tradizionali coppie di corni e oboi con due clarinetti e due fagotti. Le difficoltà tecniche di questo concerto risultano ancora oggi sorprendenti: se affrontare la parte a lui affidata è tutt’altro che facile anche per un moderno cornista, questo doveva apparire estremamente arduo in un’epoca in cui era disponibile il solo corno naturale. Con tutta evidenza l’amico Ignaz Joseph Leutgeb per cui Mozart scrisse questo e gli altri concerti per tale strumento,  doveva essere davvero un esecutore eccezionale.
Omogeneo e rotondo il suono di Andrea Corsini, primo corno dell’orchestra del Teatro La Fenice, che si è rivelato ottimo solista nei passaggi virtuosistici come in quelli cantabili: dall’Allegro iniziale dove ha intessuto un intenso dialogo con l’orchestra, alla Romanza centrale in cui ha saputo far emergere le qualità melodiche dello strumento, al finale, in forma di Rondò che evoca una scena di caccia, scandita un incalzante motivo di note ribattute. Festeggiatissimo Corsini, una volta conclusa la sua performance, al pari dell’orchestra e del direttore che lo hanno assecondato con precisione. Anche l’introduzione lenta e drammatica con cui si apre la Sinfonia n. 39 in mi bemolle maggiore KV 543 rivela aspetti “teatrali”: nel periodo in cui scrisse questa sinfonia Mozart stava lavorando al Don Giovanni, di cui questa pagina evoca certe cupe atmosfere. La sinfonia, terzultima delle 41 composte da Mozart, costituisce, insieme alle notissime K 550 e  K 551, Jupiter, il vertice della sua maturità creativa, della padronanza della forma e delle potenzialità espressive degli strumenti. Nella sua luminosa tonalità di Mi bemolle maggiore, espressione di nobiltà d’animo, molti hanno individuato un’allusione alla simbologia massonica, infatti i tre bemolli costituenti l’armatura di chiave formano un triangolo, simbolo appunto legato alla società segreta, mentre gli accordi ribattuti all’inizio del primo movimento ricordano il modo di bussare tipico dei massoni. Caratteristica importante di questa partitura è la presenza dei clarinetti (strumenti che all’epoca non erano normali nell’orchestra) al posto degli oboi; il che le conferisce una particolare morbidezza timbrica. A questo proposito, ci sembra che l’interpretazione di Rinaldo Alessandrini abbia puntato ad una particolare cura del suono, cercando purezza, trasparenza, brillantezza, e insieme ad una lettura chiara ma anche sintetica del gioco contrappuntistico. Si è potuto ascoltare un suono adamantino, che nasceva soprattutto da un uso estremamente contenuto del vibrato da parte degli archi, insieme a una varietà di colori e a un allargamento, per non dire esasperazione, della gamma espressiva (ancora una volta, dunque, faceva capolino la “teatralità”). Del resto Mozart – stando ai giudizi alquanto negativi dei suoi contemporanei – quando suonava, era capace di forti contrasti: sapeva essere intimo e toccante, e un momento dopo pieno di vitale spensieratezza; queste antitesi espressive, che all’epoca erano ritenute fastidiose, sono oggi tornate in auge, dopo un periodo nel quale erano state attenuate. Dunque, forte sottolineatura dei contrasti nell’interpretazione di Alessandrini, anche attraverso una scelta di tempi piuttosto mossi. Questo forse non ha funzionato appieno nei movimenti lenti, ma si è rivelato di irresistibile effetto nel Finale, nel corso del quale si contrappongono i due temi principali che si assomigliano fino a confondersi in un impetuoso sviluppo, chiudendo questa imponente opera sinfonica, definita da Hans Joachim Moser “la dolce sorella del Don Giovanni”. Grande precisione e affiatamento nell’orchestra. Scroscianti applausi finali.