Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2012-2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Daniele Rustioni
Pianoforte Evgenij Bozhanov Robert Schumann: Manfred. Ouverture dalle musiche di scena op. 115
Ludwig van Beethoven: Concerto n. 3 in do minore op. 27 per pianoforte e orchestra
Robert Schumann: Sinfonia n. 1 in si bemolle maggiore op. 38 Frühlings-Symphonie
Torino, 24 aprile 2013
Un’altra coppia di giovani e affermati artisti arricchisce la stagione dell’OSN RAI di Torino, per mezzo di un programma tutto tedesco, di solidissimo impianto. A leggere la locandina, l’ascoltatore scaltrito difficilmente si attenderebbe grandi sorprese; e invece il concerto è una rivelazione molto interessante di almeno due prospettive interpretative, una per ciascun autore della serata; a cominciare dallo Schumann del breve brano d’avvio, l’ouverture per le musiche di scena del Manfred (risalenti al periodo 1848-1851). Rustioni sceglie di dilatare i tempi dell’introduzione, in modo che risalti meglio il contrasto con la sezione contenente i temi portanti della pagina. E le dinamiche di tali temi costituiscono il parametro su cui il direttore lavora con molta chiarezza: il suono è corposo, a tratti massiccio, ma mai indistinto; Rustioni riesce sempre a mantenere le diverse venature cromatiche delle varie famiglie strumentali, anche nei passaggi di più forte intensità. Molto suggestive le sonorità spente, in piano, delle trombe nel finale.
La ricerca analitica sul suono, contrapposta a quella sintetica che persegue l’omogeneità e la solennità, può avere una duplice funzione: da un lato presentare sempre in primo piano gli elementi costitutivi della strumentazione schumanniana (su cui grava tuttora un equivoco critico), e dall’altro fornire una chiave esegetica tragica della vicenda di Manfred, come se la musica tendesse a disgregarsi di per sé nei propri elementi di base, al pari di quanto accade all’eroe byroniano.
Al centro del concerto, secondo la più tipica delle tradizioni, è collocato il brano solistico che ha per protagonista il pianista bulgaro Evgenij Bozhanov. Si profila sin da subito originale la modalità con cui il solista si accosta al III concerto beethoveniano per pianoforte, perché le sonorità sono marcate e quasi metalliche. A tutta prima (nell’Allegro con brio, tempo d’apertura) l’effetto sonoro è più quello di un fortepiano amplificato nel volume che non di un pianoforte usuale. Nei passaggi più virtuosistici Bozhanov cerca di alleggerire il suono, a volte semplificando un poco le relazioni interne alle agilità; il risultato è di grazia settecentesca (gli anni di composizione sono del resto quelli tra 1798 e 1803), molto pregevole all’ascolto, e certamente lontano dalle abitudini della maggior parte degli ascoltatori. Quello di Bozhanov è un Beethoven scorrevolissimo ma senza nerbo, scattante ma non mai nervoso; insomma, un Beethoven poco o per nulla romantico. Il Largo è una dimostrazione della coerenza con cui solista e direttore concertano il lavoro; anziché il tormento esistenziale è prediletta la grazia espressiva. Molto più vivace il finale (Rondò. Allegro), con il suo attacco scoperto alla fine del II movimento; anche il direttore sprona l’orchestra a comunicare con enfasi fanfare e temi portanti, cosicché persino la grazia riveli un suo volto energico (più che un impeto romantico, a questo punto non necessario). Il pubblico torinese apprezza moltissimo l’interpretazione di Bozhanov, segno che la musica beethoveniana non debba necessariamente essere vincolata a un modello esecutivo precostituito (e che parrebbe irrinunciabile: lo stile romantico). Il pianista corrisponde all’entusiasmo degli applausi con un brano fuori programma, che – per converso – non potrebbe risuonare più languido e romanticheggiante, ma di un romanticismo esasperato e ricercato, come una pagina di Rachmaninov.
Nella seconda parte – per obbedire a un collaudatissimo copione dei programmi concertistici – tornano protagonisti orchestra e direttore; e certamente il pubblico è molto curioso di riascoltare Schumann secondo la lettura di Rustioni; quest’ultimo in Italia è associato soprattutto al teatro musicale e al melodramma, più che al sinfonismo tedesco (un appuntamento molto atteso è infatti il Ballo in maschera che il direttore condurrà in luglio alla Scala). Molto irruente l’attacco del I movimento (Andante un poco maestoso – Allegro molto vivace – Animato), come se Rustioni volesse cancellare tutte le perplessità che solitamente la critica solleva a proposito del laborioso incipit della sinfonia Primavera. Con l’enunciazione del tema principale, del flauto di Dante Milozzi, ripreso poi da altre sezioni, il direttore stacca tempi più rapidi, ma mantiene sempre quell’approccio “analitico” già adottato nel Manfred, alla ricerca delle fonti costitutive del suono. Molto apprezzabile la resa della climax che conduce alla coda del I movimento, anche grazie all’incalzare delle percussioni (forse un po’ troppo “secche” le sonorità metalliche del triangolo). Il Larghetto è il tempo che Rustioni dedica all’espressione della solennità, con ottoni squillanti e ottimamente intessuti ai disegni di legni e archi, mentre nello Scherzo con doppio Trio la sinfonia si distende in ritmi danzanti e resi con la giusta leggerezza. L’attacco del finale (Allegro animato e grazioso – Andante – Poco a poco accelerando) è un tripudio di colori, anche se predominano le tinte scure, e una certa pesantezza nella sottolineatura dei volumi sonori; il direttore, in altre parole, fa suonare con grande forza tutte le parti dell’orchestra, perché intende sottolineare ancora una volta l’esito sinfonico a partire dagli elementi di base. E ancora una volta il tutto risulta dall’analisi di quel che lo compone per somma. Ottima la prova dei corni e del flauto, impegnati a ri-enunciare il tema principale, variato più volte. Nella coda sovrastano invece le trombe, assertive e liberatorie, perché soltanto alla fine la sonorità diviene omogenea e limpida. Il percorso è dunque molto chiaro, motivato, procede per ricomposizione; e per un musicista geniale, cangiante, sempre imprevedibile nell’orchestrazione come Schumann, la prospettiva razionale offerta da Rustioni è del tutto persuasiva.