Modena, Teatro Comunale, Stagione Concertistica 2012-2013
Orchestre des Champs-Élysées
Collegium Vocale Gent
Direttore Philippe Herreweghe
Soprano Christina Landshamer
Tenore Werner Güra
Basso Florian Boesch
Franz Joseph Haydn: “Die Jahreszeiten” (Le stagioni) Oratorio in quattro parti per soli, coro e orchestra Hob.XXI:3
Modena, 9 aprile 2013
L’oratorio Le Stagioni (1801), l’ultima grande fatica di Haydn, chiude il Secolo dei Lumi con uno sguardo nostalgico al passato. Mentre l’Europa è sconvolta dalle guerre napoleoniche e la Rivoluzione Industriale è alle porte, il vecchio Haydn inneggia ancora alle bellezze di una natura amica, alle gioie della vita contadina e ai valori famigliari e ci assicura che il lavoro sarà ricompensato, in questo mondo come nell’altro, con un ottimismo incrollabile che davvero spezza il cuore, specie se visto con gli occhi di oggi. Temo che le Hanne, i Lukas e i Simon del 2013 non solo non vadano ad arare i campi fischiettando un tema di una sinfonia haydniana, ma che non abbiano nemmeno un lavoro, nè una famiglia. E quanto al rapporto con la natura, probabilmente hanno anche un certo numero di allergie ed intolleranze alimentari e vivono in squallide periferie circondati di inceneritori che li faranno ammalare di cancro… Il libretto di van Swieten, spesso ridicolizzato per la sua povertà poetica e i suoi intenti descrittivi, ha sollecitato una delle partiture più belle e più complesse dal genio di Haydn, particolarmente in sintonia con i temi trattati, che diede prova di un geniale polistilismo, dal semplice Lied tedesco venato di un gusto popolare pre-romantico ad un impiego innovativo dei colori orchestrali in pezzi descrittivi ai più impegnativi cimenti del contrappunto con fughe trattate con maggiore o minore liberto, con più di un ricordo di quell’altro straordinario scrigno di varietà, il Flauto magico di Mozart, cui l’ultimo numero di questa partitura fa esplicito riferimento.
L’esecuzione del Collegium Vocale Gent e dell’Orchestre des Champs-Elysées diretti dal loro fondatore Philippe Herreweghe è stata semplicemente perfetta. Gli strumenti “antichi”, con le loro “imperfezioni”, sono assolutamente ideali per quest’opera così ricca di colori orchestrali e danno una palpabile consistenza al soggetto, centrato sull’importanza del lavoro manuale e artigianale. Il ronzare del controfagotto antico e il barrire dei corni naturali (impegnati nel cambiare ritorte con tempistiche degne del miglior pit stop) creano un’eccitazione che difficilmente è riproducibile coi più perfetti ed omogenei strumenti moderni. D’altra parte il livello tecnico di questi musicisti è tale che le “imperfezioni” vere e proprie sono quasi assenti. Pochissime orchestre su strumenti moderni saprebbero realizzare degli accordi di legni e ottoni così intonati come quelli che si sono uditi da questa orchestra di “antichi”. Nè meno perfetti sono stati i quaranta coristi del Collegium Vocale Gent, dalla vocalità pulita ma mai “fissa” o intubata e dall’intonazione immacolata, adamantini nelle agilità e capaci di una grande gamma dinamica. Le stesse qualità si possono lodare anche nell’idilliaco terzetto di solisti, tre voci tedesche perfette per i rispettivi ruoli e ben assortite tra loro: il radioso soprano lirico-leggero Christina Landshamer (Hanne), il basso-baritono Florian Boesch (Simon), dal ricco registro grave che si schiarisce piacevolmente in alto, ed infine l’amabile tenore Werner Güra (Lukas), nome più noto che sostituiva il più giovane Maximilian Schmitt, indisposto. Tutti e tre di sonorità contenute ma presenti in tutta l’estensione (che, nel caso del tenore soprattutto, si estende particolarmente in basso). Philippe Herreweghe ha diretto una performance vivace e ben caratterizzata, attenta a realizzare le indicazioni haydniane, forte di una conoscenza vera (e non presunta) della prassi esecutiva: le appoggiature erano al posto giusto, così come gruppetti e gli altri abbellimenti (ivi incluso il portamento, ove esplicitamente richiesto dall’autore, come nel coro autunnale degli etilisti), l’articolazione parlante, le cadenze sobriamente ornamentate, il vibrato rarissimo (ma presente ad esempio per realizzare alcuni accenti), il continuo, realizzato su uno splendido fortepiano, eccellente nell’accompagnamento dei recitativi ma anche nei “tutti” orchestrali. A ciò si uniscono tempi giudiziosamente studiati e realizzati con un controllo ammirevole e un’attenzione al bilanciamento dei piani sonori. Grazie anche alla maggiore “umanità” degli strumenti “antichi” sia i solisti che il coro sono stati sempre perfettamente in primo piano, una condizione che ormai pensiamo si possa ottenere solo nei dischi, abituati come siamo a sentire le voci più potenti sommerse dall’esuberanza delle orchestre moderne. Quantunque il mondo dell’opera sia probabilmente la parte più tradizionalista della musica, nessuno avrebbe da guadagnare di più dall’introduzione di corde di budello e di fiati d’epoca anche negli “enti lirici” che i cantanti e gli amanti del canto. Un grazie al Teatro Comunale di Modena che ha saputo puntare su questo titolo incredibilmente poco eseguito (è grottesco dirlo, visto che si tratta di un capolavoro universalmente riconosciuto, ma è così!) e su questo ensemble eccezionale, che speriamo di riascoltare presto. P.V.Montanari Foto Rolando Paolo Guerzoni