Zurigo,Opernhaus:”Parsifal”

Zurich, Opernhaus, Stagione Lirica 2012/2013
“PARSIFAL”
Dramma sacro in tre atti, libretto e musica di Richard Wagner
Amfortas DETLEF ROTH
Titurel PAVEL DANILUK
Gurnemanz JAN-HENDRIK ROOTERING
Parsifal STUART SKELTON
Klingsor TOBIAS SCHABEL
Kundry ANGELA DENOKE
Cavalieri del Graal DMITRY IVANCHEY, ERIK ANSTINE
Quattro scudieri SEN GUO, DARIA TELYATNIKOVA, ANDREAS WINKLER, BOGUSLAW BIDZINSKI
Fanciulle Fiore IVANA RUSKO, HERDÍS ANNA JÓNASDÓTTIR,  DARIA TELYATNIKOVA, SEN GUO, SUSANNE GROSSSTEINER, IRÈNE FRIEDLI, IRÈNE FRIEDLI
Orchestra Filarmonica di Zurigo
Coro dell’Opera di Zurigo
Direttore Mikko Franck
Maestri del Coro Jürg Hämmerli, Ernst Raffelsberger
Regia Claus Guth
Scene Christian Schmidt
Luci Jürgen Hoffmann
Videoproiezioni Andi A.Müller
Coreografia Volker Michl
Drammaturgia Ronny Dietrich
Zurigo, 23 marzo 2013
Alla Opernhaus di Zurigo felicissima ripresa di uno spettacolo del 2011, “Parsifal” di Richard Wagner per la regia di Claus Guth. Nell’anno del bicentenario della nascita di Wagner un meraviglioso omaggio al compositore mediante una realizzazione di uno spettacolo riuscito in tutte le sue componenti. L’affermatissimo regista tedesco Claus Guth, autore di numerose rielaborazioni, non uniformemente apprezzate da pubblico e critica, come il recentissimo Lohengrin scaligero, ha invece determinato molti consensi con il ritorno sulla scena di questo Parsifal zurighese. La destrutturazione e rielaborazione di un’opera nasce con il cosiddetto “Regietheater”, corrente di pensiero che inizia in ambito germanico, già dal periodo successivo alla Seconda guerra mondiale e di cui Guth può essere considerato un appartenente ma molto più per una ispirazione che non per una reale adesione. Infatti il lavoro compiuto dal regista sull’opera di Wagner è stravolgente: l’immensa sacra rappresentazione scenica del Parsifal, che evoca un mondo lontano, sovrannaturale, viene trasformata dal regista in un mondo temporale, terreno, molto più vicino alla nostra odierna sensibilità. Così le cinque ore e mezza della durata dello spettacolo sembrano volare via in modo trascinante e l’attenzione del pubblico è sempre molto viva. Si potrebbe obiettare che Wagner ha scritto un’altra cosa desiderando quelle atmosfere irreali che hanno costituito per decenni il fulcro delle sue rappresentazioni ma l’arte di Claus Guth è tale che riesce a creare un legame così profondo tra la musica e la scena da valorizzare ancora di più l’unicum della storia del teatro che è il Parsifal. L’opera si apre con un preludio in cui è narrato un antefatto: vengono mostrati i due fratelli Amfortas e Klingsor con il padre Titurel e il violento abbandono del castello da parte di Klingsor, non in sintonia con l’autorità del padre. Così il castello di “Monsalvat” delle nordiche regioni spagnole ci viene presentato come l’esterno di un edificio che si apprende essere l’esterno di un sanatorio dove vengono curati da medici e infermiere zelanti i reduci di una guerra che potrebbe essere la Prima guerra mondiale e tra cui si trova anche il re ferito Amfortas. Questo particolare periodo storico della Germania oppressa dalla disfatta bellica e dalla crisi successiva evoca nella messinscena sinistri presentimenti di ciò che sarebbe avvenuto successivamente. Gurnemanz, il capo dei custodi del Graal è raffigurato come un sacerdote autorevole della Chiesa cattolica, nella sua apparente bonarietà gia si intravede comunque il potere esercitato dalla Chiesa sullo Stato. In questo sanatorio lavora anche Kundry, donna misteriosa che esegue gli ordini del “malvagio” Klingsor di cui è alle dipendenze. Nella visione di Guth la figura di Kundry è forse la più umana di tutti i personaggi, questa donna che viene violentata nell’anima, che è teleguidata da un Klingsor che somiglia molto a Freud, evocando nella donna i più intimi dolori passati, la donna che è stata Erodiade e poi Maria Maddalena, subisce sconquassamenti interiori sulla sedia dove si contorce o negli angoli della scena in cui spesso trova rifugio. Gli angoli!! Creazione geniale di Guth che grazie alla scena girevole realizzata dallo scenografo Christian Scmidt sono il punto di fuga per Kundry ma anche per Parsifal, il puro folle qui rappresentato come un ingenuo ragazzo, forse anche con qualche problema mentale che spesso si nasconde come fanno i bambini impauriti. Parsifal che apre, con timore, la porta dove si trova il re Amfortas malato, Parsifal che spia, sempre da una porta, il vecchio Titurel che sale a fatica la scala per raggiungere il figlio Amfortas. Sarebbero tantissimi i momenti da citare, in cui un brivido percorre lo spettatore durante l’opera, ma la grandezza di Guth si realizza ancora di più nella imprevedibilità di ciò che accadrà sulla scena in ogni istante successivo; e così nel secondo atto la bellezza decadente di un festino anni Trenta con le fanciulle fiore avvinghiate a uomini in doppiopetto ma con il cappellino a punta delle feste di Capodanno, ci mostra improvvisamente l’apparizione alla sommità di una scala, con un repentino cambio di luci, una Kundry ambiguamente somigliante a Marlene Dietrich, verosimilmente tenutaria di una “maison” particolare , pronta a sedurre il fanciullo Parsifal con un rapporto praticamente edipico di madre sensuale. Ma lo sconvolgimento maggiore dello spettacolo è nel terzo atto dove tra le rovine della struttura del castello viene a poco a poco realizzato, quasi in maniera subliminale la trasformazione di Parsifal da puro folle a “Redentore dei Redentori” con una chiara allusione alla ascesa del Nazismo, facendogli indossare gradualmente degli abiti di regime culmine il cappello, che Parsifal molto fanciullescamente toglie per poi rimetterlo e salutare dal balcone affiancato da un personaggio che dirige il coro di uomini festanti al di sotto. E in questo delirio di folla la scena nuovamente gira e toglie l’onore della fine alla festa di regime mostrandoci invece Kundry che parte con una valigia e Amfortas guarito dalla piaga ma disilluso dal nuovo corso della storia, che abbraccia il fratello Klingsor. La fine così semplice ma così profonda donata da Guth allo spettacolo è stato qualcosa di superiore alla retorica che spesso traspare dal finale del Parsifal.
La realizzazione di un capolavoro simile è stata possibile naturalmente per il contributo altrettanto felice della parte musicale. Il giovane direttore finlandese Mikko Franck ha offerto una lettura della partitura molto lirica che ben si adattava alla messa in scena, con evidenza di turgori orchestrali molto passionali quasi a rimarcare la “humanitas” dei personaggi, con particolare rilievo nelle caratterizzazioni delle figure di Kundry e di Parsifal. Le introduzioni agli atti sono state eseguite dall’Orchestra guidata dal Maestro con una precisione negli attacchi, con sfumature sognanti nel primo e nel terzo atto mentre l’introduzione al secondo atto ha perso quella dinamica sovrannaturale del castello incantato di Klingsor per condurla verso una più terrena armonia. I Maestri del Coro Jürg Hämmerli e Ernst Raffelsberger hanno guidato le formazioni corali ad esprimersi con un realismo del tutto insolito per questa partitura e anche nelle parti più celestiali è sempre stata confermata una interpretazione peculiare pure nella sublimità di tali momenti.
Ottimo il protagonista, che già aveva preso parte alla produzione del 2011, il tenore australiano Stuart Skelton, dotato di un bel timbro virile da “heldentenor”, capace di piegare la voce a bellissimi chiaroscuri e con una zona acuta squillante, unita a una presenza scenica magnifica. Il lavoro con il regista ha creato momenti di grande impatto emotivo, memorabile la smorfia di dolore alla notizia della morte della madre. Bellissimo anche il monologo “Amfortas! Die Wunde!” dove il tenore riesce a comunicare lo strazio della carne per la riapertura della piaga di Amfortas con un dolore espresso dalla voce, di toccante commozione. La serata ha avuto comunque come protagonista indiscussa il soprano Angela Denoke, perfetta nei panni di Kundry. Attrice magnifica ha recitato con tutto il corpo dall’inizio alla fine dello spettacolo: nel secondo atto la calda voce sensuale di questa cantante ha evocato delle atmosfere così erotiche da far cedere il “virtuoso fanciullo” per poi accoglierlo nel suo seno all’annuncio “und Herzeleide starb”, agghiacciante poi il grido “Ich lachte” con una discesa magnifica da note acutissime alla regione più grave del pentagramma. Nel terzo atto dopo aver emesso due rochi singulti e le parole “Dienen” la cantante pur non avendo più da esprimersi vocalmente ha dominato letteralmente la scena da trasmettere la sua arte con la recitazione. Magnifica!! Il teatro l’ha letteralmente inondata di un uragano di applausi. Molto bravo anche il veterano Jan-Hendrik Rootering che ha donato a Gurnemanz un timbro vocale scuro, profondo fornendo anch’egli una prestazione scenica di tutto rispetto. Forse un po’ usurato il baritono Detlef Roth nella parte di Amfortas che ha mostrato la corda nell’esecuzione dei due monologhi, soprattutto nel primo dove con un’emissione un po’ flebile, è stato spesso soverchiato dall’orchestra. Comunque dal punto di vista scenico ha contribuito alla serata in modo egregio. Giovane nell’aspetto e dalla vocalità un po’ acerba il Klingsor di Tobias Schabel. Affetto da un po’ di vibrato ma confacente al personaggio il Titurel di Pavel Daniluk. Da lodare infine nell’insieme i due gruppi delle Fanciulle Fiore, i Cavalieri del Graal, qui vestiti da medici e gli Scudieri, di cui le donne rappresentavano le infermiere e gli uomini due soldati convalescenti. Alla fine della serata trionfo meritatissimo per tutti gli interpreti. ( Le foto non corrispondo al  cast di questa rappresentazione)