Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli”, I Concerti del Lingotto 2012-2013
Swedish Radio Symphony Orchestra
Direttore Daniel Harding
Joseph Martin Kraus: “Symphonie funébre” in do minore VB 148
Gustav Mahler: Sinfonia n. 5 in do diesis minore
Torino, 17 marzo 2013
Il 16 marzo 1792 re Gustavo III di Svezia fu gravemente ferito nel corso di un ballo in maschera; morì il 29 dello stesso mese, e nelle esequie che ebbero luogo il 13 aprile la solenne liturgia contemplava la Symphonie funébre di Joseph Martin Kraus, un brano articolato in quattro brevi movimenti (Andante mesto – Larghetto – Chorale – Adagio), improntati su un rigore funerario trattenuto e solenne, d’uno stile sospeso tra Gluck e Mozart. Daniel Harding, aprendo il concerto torinese con questa pagina rara e severa, non indulge mai al forte, e sono pochissimi i passaggi in cui imprime un’accelerazione (minima) al ritmo di marcia funebre o al corale del III movimento. Predomina il colore scuro dei violoncelli e dei corni, per una musica tutt’altro che facile da eseguire, come si arguisce dagli attacchi leggermente disallineati, anche presso il finale, in cui il suono è del tutto nudo, scoperto, affidato a poche voci strumentali.
La marcia funebre guidata dal timpano solo in Kraus ha un’ideale prosecuzione nella V Sinfonia di Gustav Mahler, composta tra 1901 e 1904 (ma più volte ritoccata in seguito), a causa del suo attacco in ritmo e stile analoghi. Ma se Kraus rendeva omaggio alla memoria di un sovrano, Mahler rappresenta l’idea stessa della morte, e poi dell’esistenza, con un linguaggio che mutua strutture musicali consolidate (appunto il Kondukt) per distorcerle fino all’irriconoscibilità e all’enigma; Daniel Harding sa bene tutto questo, tanto è vero che cerca di risolvere l’enigma della sinfonia, e ci riesce in modo più che persuasivo.
Squilla alla perfezione la tromba che apre l’opera da sola, nitida e cupa al tempo stesso, e dunque avvia l’articolazione del I° movimento (Trauermarsch. In gemessenem Schritt. Streng. Wie ein Kondukt); il tempo staccato dal direttore è solenne ma non troppo dilatato, mentre la marcia vera e propria è così delicata e pausata da avvicinarsi prodigiosamente alla forma del valzer, o comunque a un passo danzante. Nel II° movimento (Stürmisch bewegt. Mit größter Vehemenz) è stupendo il dialogo tra gli archi in mezza tinta e i legni, tutti distinguibili uno a uno, dall’oboe al clarinetto al corno inglese. L’intensità brunita del suono degli archi (vera cifra sonora e cromatica dell’Orchestra della Radio Svedese) è mirabile, al pari della loro leggerezza. Il primo blocco si conclude senza che l’ascoltatore abbia percepito nulla dell’usuale pesantezza di un corteo funebre.
Il valzer che apre lo Scherzo (Kräftig, nicht zu schnell) è pieno e contegnoso come la marcia funebre d’apertura, cui si richiama per più aspetti; anzi, gradatamente esso diviene la trasposizione grottesca di quel corteo funerario. E infatti le frasi del valzer sono interrotte da squilli e fanfare degli ottoni (quelli del movimento d’apertura): la direzione di Harding permette di capire molto bene la ripresa stravolta dell’avvio, e dunque di collegare prima e seconda sezione della sinfonia in termini di riscrittura deformata, di metafrasi stilistica. Con i pizzicati e le frasi singhiozzate dei legni si comprende altrettanto bene come, secondo Harding, il brano più doloroso dell’intera sinfonia sia proprio lo Scherzo: la sofferenza più autentica – pure mascherata da una larva grottesca – si riversa con più intensità al centro dell’opera, pur avendo preso le mosse da una marcia funebre nel I movimento. Nel finale del III° gli ottoni sono spettacolari nel tentativo di celare il dolore precedentemente espresso, che ritorna anche nella coda della sezione. Nell’esecuzione di Harding lo Scherzo risulta dunque chiaramente strutturato in due parti: quella autentica, di espressione della sofferenza, per prima; la seconda è invece falsa, mascherata di derisione, di interventi reboanti e contraddittori (scriveva il compositore alla moglie: «lo Scherzo è un tempo maledetto! […] il pubblico, mio dio, che faccia può fare di fronte a questo caos che continua a partorire un mondo che dura un istante per tornare subito a dissolversi?»).
Il celebre Adagietto (Sehr langsam è l’indicazione di tempo) costituisce ancora una variazione di stile rispetto alle parti precedenti: dopo la morte, l’amore; o meglio, dopo la disperazione per la consunzione fisica, quella elegiaca per la passione e gli affetti. Harding collega le frasi di violini e viole in arcate lunghissime, proponendo così una lettura molto discorsiva dell’Adagietto, equilibrato soprattutto dalle sonorità congiunte degli archi e dell’arpa.
Grazie al piglio baldanzoso di corni e legni, l’attacco del finale brilla per le sue frasi legate e scorrevoli. A questo punto, dopo una lettura così coerente e riconoscibile dei primi quattro tempi, l’ascoltatore s’interroga su come Harding possa affrontare il problematico finale (Rondò. Allegro), una pagina che taluni studiosi considerano stilisticamente incongrua nella costruzione della sinfonia, altri addirittura un errore di impostazione del compositore. Si tratta quasi certamente di gioia e di positività convenzionali, di facciata, ma il direttore sembra suggerirne una diversa giustificazione, basata sulla specularità dei tre blocchi che compongono l’intera sinfonia (i primi due movimenti, lo Scherzo isolato al centro, e poi gli ultimi due). Come convenzionale è la rappresentazione della morte nella Trauermarsch iniziale, così è convenzionale la gioia serena del V movimento, che riesce anche a “fare il verso” al precedente Adagietto. Musica rappresentativa della realtà e dell’esistenza, dunque, più che esistenza artistica assoluta e autonoma? Ogni nervo è scoperto, ogni segno rispettato ed enfatizzato; tutto è evidente, in primis l’entusiasmo posticcio del trionfo. Le ragioni della rappresentazione diventano ancora più importanti del vero da rappresentare: forse è il mistero della musica di Mahler, la sua grande “inattualità”, che lo rende il più contemporaneo dei sinfonisti di tardo Ottocento e del Novecento (o addirittura dell’intero sinfonismo). E sono semplicemente fantastici i tromboni che squillano nella coda, con una lievissima (l’unica nel corso di tutta l’esecuzione) accelerazione di ritmo: un ultimo sprizzo di vitalità e di sorriso forzato. Nella gioia che tutto suggella, creda chi vuole illudersi.
Appalusi straordinari hanno salutato la conclusione della sinfonia mahleriana, gli strumentisti e il direttore d’orchestra; poi Harding ha preso la parola, per ricordare l’anniversario dell’assassinio di Gustavo III, ricorrenza sempre rispettata dalla cultura svedese, e ha introdotto uno splendido fuori-programma, il Preludio dalla più famosa opera ispirata al fatto storico: Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Dopo tanti ritmi funesti e disorientante grandeur, i temi del melodramma italiano sono risuonati come l’augurio di un’esistenza appassionata, ma molto più serena e propositiva; con il tono robustissimo della grande orchestra sinfonica, ma anche con l’intonazione elegiaca di una triste storia d’amore.