New York, Metropolitan Opera, Stagione lirica 2012 /2013
“PARSIFAL”
Dramma sacro in tre atti.
Libretto e musica di Richard Wagner
Amfortas PETER MATTEI
Gurnemanz RENÉ PAPE
Titurel RÚNI BRATTABERG
Parsifal JONAS KAUFMANN
Klingsor EVGENY NIKITIN
Kundry MICHAELA MARTENS
Primo e secondo Cavaliere del Graal MARK SCHOWALTER, RYAN SPEEDO GREEN
Quattro scudieri JENNIFER FORNI, LAUREN McNEESE, ANDREW STENSON, MARIO CHANG
Una voce MARIA ZIFCHAK
Fanciulle-Fiore di Klingsor KIERA DUFFY, LEI XU, IRENE ROBERTS, HAERAN HONG, KATHERINE WHYTE, HEATHER JOHNSON
Coro e Orchestra del Metropolitan Opera
Direttore Asher Fisch
Maestro del Coro Donald Palumbo
Regia François Girard
Scnee Michael Levine
Costumi Thibault Vancraenenbroeck
Video proiezioni Peter Flaherty
New York, 5 Marzo 2013
La nuova produzione di Parsifal del Metropolitan Opera (inaugurata il 15 febbraio), in coproduzione con l’Opéra de Lyon e la Canadian Opera Company, ha rappresentato il debutto di François Girard, il regista canadese (Trentadue piccoli film su Glenn Gould, Il violino rosso), iniziando così una feconda collaborazione con le compagnie di Toronto e Lione. Qualcosa di allarmante poteva essere rappresentato dal rapporto di Girard col Cirque de Soleil, compagnia che ha fornito al Met un alto regista, Robert Lapage, che ha allestito un controverso ciclo del Ring che ha incontrato molti più detrattori (incluso chi scrive) che ammiratori. Fortunatamente, la messa in scena di Girard si è dimostrata meno ingombrante e circense.
Immaginare Montsalvat come un appartamento ubicato su un altopiano desertico ha un qualcosa di beckettiano e concentra immediatamente lo spettatore sugli elementi essenziali di questa storia: l’utilizzo di semplici costumi moderni (camicie bianche e pantaloni neri e i cavalieri del Graal a piedi nudi) traduce la complessa mitologia Wagneriana in qualcosa di quotidiano e che potrebbe accadere a chiunque di noi tra il pubblico (casualmente, anche io indossavo una camicia bianca e pantaloni neri a questa rappresentazione). Sul fondo, le video proiezioni di Peter Flaherty solo raramente suggeriscono dei brevi momenti letterali (il cielo nuvoloso) a favore di aspetti più astratti o metafisici (un’eclissi lunare). Questo Montsalvat è attraversato da uno squarcio che può apparire come un ruscello arido ma poi si apre, si illumina di rosso e si presenta come una rivisitazione della ferita di Amfortas. L’elemento del sangue lo ritroviamo anche nel secondo atto, ambientato in una gola profonda. Sul palco, sangue ( in una piscina poco profonda) che macchia le semplici e bianche vesti delle fanciulle-fiore. Il terzo atto è caratterizzato da un senso di smarrimento, di caos, di morte. I cavalieri hanno perso la loro identità che si esprime in un uso di costumi diversi. La promessa di rinnovamento della primavera e riferimenti diretti del libretto ai fiori rimangano lettera morta in quello che Girard fa svolgere in un arco di tempo piuttosto significativo ( la scelta in questo stesso atto di fare portare a Kundry lo scrigno dove è conservato il sacro Graal ha creato un certo sconcerto). Questa produzione di Parsifal ha sicuramente segnato una svolta radicale rispetto alla precedente produzione riccamente tradizionale, molto simile a una fiaba illustrata, di Otto Schenk (che aveva anche prodotto il precedente ciclo del Ring), ma nel contempo è lontana da estremismi.
Sotto il profilo musicale, questo Parsifal difficilmente avrebbe potuto essere eguagliato. Il conduttore israeliano Asher Fisch, che sostituiva Daniele Gatti (che ha inaugurato la prima e alcune repliche), ha seguito l’esempio del maestro italiano con una lettura che poco assomigliava a ciò che i newyorkesi hanno ascoltato dal direttore musicale del Met, James Levine, che ha diretto l’opera fino al ritiro per problemi di salute. Nel suo periodo di massimo splendore, Levine ha espresso la musica di Wagner con risultati che potevano essere (dipende a chi chiedete) o brillanti o insopportabili; Gatti (ascoltato alla diretta radiofonica) e Fish hanno restituito alla musica una dimensione umana senza per questo sacrificare il sublime.
I cantanti hanno risposto con una prova notevole. Il baritono svedese Peter Mattei, come Amfortas, è stato la rivelazione di questa produzione: ha dispiegato un timbro dolcemente brunito che in qualche modo ha acuito l’angoscia del proprio personaggio. Come unico personaggio “sano di mente” dell’opera, il basso tedesco René Pape ha tratto maggiori vantaggi dai costumi contemporanei di Thibault Vancraenenbroeck e ha caratterizzato il personaggio di Gurnemanz con grande nobiltà; è semplicemente uno dei migliori artisti viventi. La voce ricca e baritonale del tenore Jonas Kaufmann e la sua presenza scenica giovanile hanno dato vita ad un Parsifal la cui saggezza matura sarebbe potuta essere scontata, ma è stato un piacere poter ascoltare questo ruolo cantato con una forza così naturale e facile. Sostituendo l’indisposta Katarina Dalayman, il mezzosoprano americano Michaela Martens ha rivelato grande musicalità, gridando solo quando veniva richiesto (cosa che càpita a non a molte Kundry…) e producendosi in una caratterizzazione che ben si adatta all’aspetto seduttivo e materno del personaggio. Come Klingsor, il basso-baritono Evgeny Nikitin ha evitato una teatralità gigionesca (difficile da fuggire quando si è costretti a sguazzare nel sangue…) ma il suo canto ha mancato in mordente e potenza. Il grande coro del Met, interprete delle partiture di Wagner più impegnative, ha sorpassato se stesso in quest’occasione. Foto Ken Howard/Metropolitan Opera