New York, Metropolitan Opera, Stagione 2012–13
“OTELLO”
Opera in quattro atti, libretto di Arrigo Boito, basato sulla tragedia di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Otello JOSÉ CURA
Desdemona KRASSIMIRA STOYANOVA
Jago THOMAS HAMPSON
Emilia JENNIFER JOHNSON CANO
Cassio ALEXEY DOLGOV
Roderigo EDUARDO VALDES
Lodovico ALEXANDER TSYMBALYUK
Montano STEPHEN GAERTNER
Un araldo ALEXEY LAVROV
Coro e Orchestra del Metropolitan Opera
Direttore Alain Altinoglu
Maestro del Coro Donald Palumbo
Produzione Elijah Moshinsky
Regia David Kneuss
Scene Michael Yeargan
Costumi Peter J. Hall
Coreografie Eleanor Fazan
New York, 11 marzo 2013
La penultima opera di Verdi è tornata al Metropolitan per tre sole repliche, dopo un’assenza di molti mesi. (Le rappresentazioni dello scorso autunno vedevano in cartellone Johan Botha, Renée Fleming e Falk Struckmann; una di queste è stata trasmessa in diretta in HD e verrà trasmessa in streaming e pubblicata in DVD.) Nessuno dei tre cantanti protagonisti, José Cura, Krassimira Stoyanova e Thomas Hampson, aveva cantato questi ruoli prima d’ora al Met e dato che l’incisione dell’Otello di Cura è stata acclamata in tutto il mondo, l’attesa era alle stelle.
I primi due atti hanno visto il tenore argentino ansioso desideroso di arrivare alla fine dell’opera il prima possibile. Mentre il direttore d’orchestra, il francese Alain Altinoglu, si sforzava invano di stargli al passo, Cura continuava ad accelerare. La voce di Cura suonava quanto mai logora e instabile nell’intonazione. Dopo l’intervallo, a partire del terzo atto, Cura ha recuperato abbastanza la padronanza del suo strumento vocale e si è dimostrato più attento a seguire il direttore d’orchestra e i suoi colleghi. Ormai alla fine della rappresentazione, ha dato vita ad un quarto atto efficace sia dal punto di vista musicale che da quello drammatico. Certamente non basta a dire che abbiamo assistito a una esecuzione di prim’ordine. Un’opportunità mancata per i newyorchesi e per Cura stesso, giunto un po’ tardi a questo appuntamento.
Essendo stato in alcune occasioni direttore d’orchestra e anche regista, Cura potrebbe aver voluto personalizzare questa ripresa di Otello di metà stagione, che quasi sicuramente non avrà avuto molte prove. In tal senso non è chiaro, ad esempio, se si è semplicemente dimenticato di gettare a terra Desdemona, nel terzo atto, o se credesse che Desdemona è ormai talmente psicologicamente provata da lui che si prostri a terra al solo guardarla (rigirando il discorso, non sappiamo se Desdemona sia stata colpita dal comportamento di Otello o se la Stoyanova sia stata impressionata dal tentativo fallito di Cura di spingerla a terra). Cura è parso poi curiosamente debole nei confronti dello Jago di Hampson, verso il quale non ha saputo o voluto opporsi in modo convincente. Quanto ad Hampson, nonostante la grande ammirazione che provo per lui, questo non è un ruolo che gli è consono. Il suo Jago è stato sicuramente condotto nel segno dell’intrinseca eleganza del suo canto che bene si adatta a tratteggiare un personaggio intrigante che appare più che mai insospettabile. Nella sua attenta lettura della musica, il suo Jago è apparso come la rappresentazione di “nobile” e razionale perfidia. Peccato però che il “Credo,” Hampson lo abbia interpretato con un rabbioso fragore, troppo carico di fremiti velenosi.
La prova complessivamente più soddisfacente è stata quella di Krassimira Stoyanova ( Desdemona). Lo strumento vocale del soprano bulgaro è così pienamente lirico che l’ascoltatore a malapena ne nota anche la potenza, in ragione dei tempi forzatamente accellerati del primo e del secondo atto. Solo alla fine, nella “canzone del salice”, la vocalità della cantante si abbandona, mettendo in luce un fraseggio elegante, che l’ha portata a un successo di pubblico particolarmente convinto. Drammaticamente parlando, è più aggressiva di molte altre Desdemone e la sua supplica per conto di Cassio è sembrata quasi un rimprovero (dolcemente musicale) — una scelta interessante e valida, se non proprio decisiva. Grazie al supporto di Domingo e James Levine (quest’ultimo ha diretto ottantadue performance di Otello al Met, più di qualsiasi altra opera), l’orchestra del Met ha una conoscenza profonda di questa partitura. (Fra gli altri che di recente hanno diretto Otello al Met vi sono Valery Gergiev e, all’inzio di questa stagione in occasioni delle esibizioni con Botha e la Fleming, Semyon Bychkov.) In questa produzione, Antinoglu ha dovuto maggiormente preoccuparsi di evitare rischi che dell’espresione artistica; questo dice molto dei musicisti del Met che sono riusciti a rispondere in maniera solerte ai segnali del direttore d’orchestra e a fornire una prova ragionevolmente coordinata e coerente – non molte orchestre riuscirebbero nella stessa impresa.
La produzione di Moshinsky, nata nel 1994 con Plácido Domingo nel ruolo del Moro, porta la monumentalità a vette grandiose. Con le scenografie di Michael Yeargan che fanno apparire i cantanti quasi come dei nani, questa Cipro non appare certo come un avamposto sperduto nel mar Meditteraneo. Con la regia di David Kneuss, le scene cambiano rapidamente (almeno per gli standard del Met) e l’azione drammatica rimane chiara e coerente. Solo l’immensa camera da letto di Desdemona sfida lo sconcerto (è un miracolo che Otello riesca anche a trovarla). Ma arrivati a quel quarto atto la musica di Verdi ha lanciato il suo incantesimo e anche l’impetuoso José Cura non può che soccombervi. Foto Ken Howard/Metropolitan Opera