Milano, Teatro alla Scala, Stagione di Balletto 2012/2013
“NOTRE-DAME DE PARIS”
Balletto in due atti
Coreografia e libretto Roland Petit
Musica Maurice Jarre
Esmeralda LUSYMAY DI STEFANO
Quasimodo CLAUDIO COVIELLO
Phoebus MARCO AGOSTINO
Frollo ANTONINO SUTERA
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro alla Scala
Direttore Paul Connelly
Supervisione coreografica Luigi Bonino
Assistente alla coreografia Gillian Whittingham
Scene René Allio
Costumi Yves Saint-Laurent
Luci Jean-Michel Désiré
Produzione Teatro Bol’šoj, Mosca
Milano, 1 marzo 2013, recita pomeridiana
Per chi ama il balletto, il Notre-Dame de Paris scaligero si è rivelato un appuntamento molto atteso. Più in generale, per la scarsità di proposte di reale interesse e di richiamo da parte delle fondazioni lirico-sinfoniche italiane che, soprattutto per quanto riguarda la danza, “navigano a vista” limitandosi spesso e volentieri al grande repertorio. Ma in particolar modo per i vari cast, quasi tutti al debutto nelle rispettive parti, che la Scala che ha saputo raccogliere per questa ripresa del titolo in ricordo di Roland Petit, scomparso nel 2011. Il nome che ha destato più attenzione (mediatica e non) è stato ovviamente quello dell’étoile scaligera Roberto Bolle, impegnato nelle prime tre recite nel ruolo di Quasimodo, dopo aver interpretato nel 1998 Phoebus; la sua Esmeralda è stata Natalia Osipova, principal del Teatro Mikhailovsky di San Pietroburgo e dell’American Ballet Theatre, anch’essa al debutto nel ruolo. La Osipova tornerà poi sul palco del Piermarini ne Il lago dei cigni (danzato recentemente con grandissimo successo a Londra) e ne L’histoire de Manon. Gli scaligeri Eris Nezha (Phoebus) e Mick Zeni (Frollo) hanno completato il quartetto dei protagonisti. Lo spettacolo è stato trasmesso sia nelle sale cinematografiche e, successivamente, su Rai 5: ancora un passo a favore della diffusione della danza, una volta tanto di quella italiana che, in almeno in questo frangente, si è dimostrata ottima.
La partitura di Roland Petit, creata nel 1965 per l’Opéra di Parigi con Petit stesso nei panni del gobbo Quasimodo su musica di Maurice Jarre, è d’impianto neoclassico “rimpolpata” da tutta una serie di stilemi tanto cari al coreografo francese, ravvisabili soprattutto nelle grandi scene corali. Le piccole camminate e le marce, il porre costantemente l’accento su movenze iterate di mani e piedi, il gusto per la parodia e l’esasperazione (come per i gongolanti cavalieri di Phoebus e le prostitute dai seni esorbitanti alla scena della taverna); accanto a tutto questo c’è grande spazio per la componente più emozionale del dramma dove il quartetto protagonista esce ben tratteggiato sia nelle singole caratterizzazioni che nelle interrelazioni.
Alla patina sixties dello spettacolo hanno contribuito in modo determinante i costumi di Yves Saint-Laurent (netti nei tagli e nello sgargiante cromatismo che connota, ad esempio, il popolo alla festa dei folli accentuato dal trucco nero intorno occhi) e le scene di René Allio, quasi solo abbozzate per linee nette e decise.
Ancora una volta incuriositi dalle nuove leve scaligere, abbiamo assistito alla pomeridiana del giorno 1 marzo, dove si è esibito per l’appunto il cast “giovane” già impegnato nella recita del giorno 23 febbraio. Sintetizzando, la qualità dello spettacolo è stata molto alta con una forse prevedibile mancanza di vis interpretativa. Aspetto quest’ultimo che potrà svilupparsi solo con ulteriori riprese del titolo. Lusymay Di Stefano è l’artista che ci ha colpito più favorevolmente: leggiamo che è al suo primo ruolo da protagonista, quindi complimenti doppi. L’ingresso di Esmeralda è tutt’altro che facile perché subito impegnata nella celebre variazione: ha difettato di mordente (cosa da rilevare anche alla scena della taverna) e sensualità, quella un po’ sfacciata ed esibita della gitana che irrompe letteralmente in mezzo al popolo, ma ha saputo farsi forte di un’espressività mediterranea, derivata dai tratti somatici bellissimi e molto marcati, e di una bella tecnica. Ha esibito giri veloci e sicuri così come ottima è stata l’esecuzione delle diagonali; più diffusamente, ha mostrato ricchezza d’aplomb e linee belle e armoniose derivate dal bel lavoro di gambe e braccia. Ha fatto emergere il lato più lirico del personaggio mettendosi così sulla stessa linea del Quasimodo di Claudio Coviello. Il neo-solista della Scala per interpretare il gobbo sceglie un trucco che ne enfatizza gli occhi e i capelli scompigliati. Trova una convincente chiave interpretativa nel gioco di proporzioni: un corpo non alto, magro, come dimidiato dal costume che sembra occhieggiare il dramma di questa creatura costretta alla posa ricurva del busto e dal braccio destro piegato ad angolo. Un Quasimodo fragile, quasi un bambino incredulo al duetto con Esmeralda alla seconda scena dell’atto secondo, realizzato in modo poeticissimo. Pur mancando della corda “più tragica”, di quello scarto che consente alla maschera di diventare completamente personaggio, è stato senz’altro un debutto molto felice. Meno convincente il Phoebus di Marco Agostino. Quello di Phoebus è un personaggio che deve essere valorizzato nell’aspetto e nell’atteggiamento con un che di superomismo (amplificato dallo stuolo di cavalieri al seguito) unito ad una –chiamiamola così- sorta di “piacioneria”. Pur riconoscendogli una tecnica adeguata, tutto è sembrato rimanere in superficie, in un gesto fine a se stesso. Antonino Sutera è stato un Frollo molto plausibile: quasi puntuto nella figura agile e guizzante, combattuto tra carne e spirito, bravo nell’enfatizzare tic e nevrosi di mani e viso.
Ottima la prova del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala guidato da Makhar Vaziev, veramente in grandissima forma. Altrettanto positiva la parte musicale: sul podio dell’Orchestra del Teatro alla Scala Paul Connelly. Foto Rudy Amisano © Teatro alla Scala di Milano