Venezia, Teatro La Fenice, Stagione sinfonica 2012-2013
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Diego Matheuz
Gianluca Cascioli:” Trasfigurazione” (composizione vincitrice del I° Concorso Francesco Agnello promosso dal CIDIM)
Pëtr Il’ič Čajkovskij: “Romeo e Giulietta” ouverture-fantasia in si bemolle minore dal dramma di Shakespeare (versione definitiva 1880)
Sinfonia n. 3 in re maggiore op. 29 Polacca
Venezia, 2 marzo 2013
Ancora il binomio Matheuz-Čajkovskij in questo concerto, che presentava in apertura di programma – cosa piuttosto rara in Italia – il lavoro di un giovane quanto ormai affermato musicista contemporaneo: Trasfigurazione di Gianluca Cascioli, composizione vincitrice del I° Concorso Francesco Agnello, svoltosi lo scorso anno su iniziativa del CIDIM. Diego Matheuz – che come abbiamo già notato su queste pagine, va temperando la sua veemenza giovanile a vantaggio di una lettura più meditata, più ricca di colori e sfumature, di sottigliezze dinamiche e agogiche – si è rivelato assolutamente all’altezza anche di fronte ad una partitura appartenente a tutt’altra temperie culturale rispetto al tardo romanticismo del musicista russo; una partitura che coniuga nuove forme d’espressione alla lezione dei grandi musicisti del passato. Nella direzione del lavoro di Cascioli Matheuz si è distinto per il gesto essenziale ed autorevole (forse retaggio ricevuto da Claudio Abbado) con cui ha guidato l’orchestra in questa prova non proprio di routine, che prevede un organico ricco e complesso, composto da archi e fiati, cui si aggiungono svariate percussioni, che conferiscono alla composizione un sapore al tempo stesso esotico e d’avanguardia, nonché timbricamente prezioso. Ne è risultata un’esecuzione in cui i vari strumenti, le varie sezioni dell’orchestra hanno brillato per precisione tecnica e sensibilità musicale nell’affrontare il raffinato eclettismo stilistico e tecnico della partitura: dai corni, che hanno intonato all’inizio il semplice tema su cui si basa tutta la composizione, alglockenspiel in lontananza, che lo ha ripresentato alla fine misterioso e trasfigurato (donde il titolo del brano), dopo essere stato sottoposto a continue trasformazioni in base ai procedimenti più disparati: eterofonia da canoni, sviluppo degli intervalli in forma melodica e armonica, aumentazioni e diminuzioni progressive di ritmi e intervalli, aumentazioni e diminuzioni contemporanee di incisi in maniera puntillistica, polistilismo, quadrati magici esacordali, tecnica dell’armonia orbitale gravitazionale di Roberto Lupi anche unita a un denso contrappunto dodecafonico.
Quanto a Čajkovskij, davvero indimenticabile il modo in cui Matheuz ha interpretato l’Introduzione, Andante non tanto – quasi Moderato, con cui si apre Romeo e Giulietta,ouverture-fantasia. Solenne e misteriosa come l’amore e la morte, prevalentemente caratterizzata da tonalità di colore scuro, è il ritratto musicale di Padre Lorenzo, che dell’amore e della morte dei due sventurati giovani è consapevole o inconsapevole complice. La pagina è stata eseguita dall’orchestra con grande compostezza e precisione, pur in una ricca gamma espressiva, con accordi tenuti di corni legni e archi nel registro grave, che per il loro nitore in chiaroscuro evocavano una delle più straordinarie immagini shakespeariane, quella delineata dalle parole di Romeo all’apparizione di Giulietta: “Sembrapendere sulla guancia della nottecome ricca gemma all’orecchio d’una Etiope”. Un perfetto affiatamento si è apprezzato anche nell’Esposizione – ci riferiamo, in particolare, al primo tema e alle sue elaborazioni – all’interno dei gruppi di strumenti, impegnati in contrapposizioni imitative ad esprimere l’odio tra i Capuleti e i Montecchi con un ritmo pulsante e una drammatica frammentazione del discorso. Dolci e struggenti le viole all’unisono con il corno inglese hanno poi intonato la melodia (secondo tema) che rappresenta la dolce e leggiadra Giulietta. Molto espressiva anche la Coda, che esprime la sublimazione dell’amore nella morte, rielaborando quest’ultimo tema.
Meno convincente l’esecuzione della Sinfonia n. 3, ma questo è da attribuire prevalentemente al fatto che si tratta di un lavoro sinfonico non del tutto riuscito, e non a caso poco eseguito. Anche nel primo movimento – per il quale lo stesso autore, in genere ipercritico verso le sue opere, non nascondeva un certo compiacimento – si colgono alcuni momenti tra i più scialbi di tutta la sua produzione. Forse la soddisfazione di Čajkovskij nasceva dalla consapevolezza di aver costruito un movimento in linea, dal punto di vista formale, con la grande tradizione sinfonica europea, guardando, in particolare, a Schumann e, più precisamente, alla Sinfonia Renana, anch’essa divisa in cinque tempi. Ma questo non basta a dare omogeneità al brano, nel quale, tuttavia, non mancano pagine di valore come l’Introduzione lenta e il secondo tema di carattere lirico, nella successiva Esposizione, ben più espressivo del primo, piuttosto inceppato nel ritmo e francamente artificioso. A questo proposito l’ottimo Matheuz – che pur ha cercato di valorizzare e rendere, se è possibile, più coerente l’intero lavoro ciaikovskiano – ha dato il meglio di sé proprio nelle pagine più riuscite del movimento iniziale, che abbiamo appena ricordato, come peraltro in quelle presenti nell’intera composizione. Citiamo, in particolare, tutto il secondo movimento Alla tedesca, un eccentrico valzerino nei tipici modi di Čajkovskij, dove hanno dominato i legni, reso con la dovuta sobrietà e leggerezza anche nel concitato trio, in cui si è sentita la trasparenza strumentale di certe pagine dello Schiaccianoci. Segnaliamo, inoltre,tutto il terzo, il più bello in questa sinfonia, Andante elegiaco, in cui come nel precedente i legni insieme ai corni hanno avuto un ruolo determinante, dimostrando tecnica e musicalità, guidati dall’altrettanto esperta e sensibile bacchetta del maestro venezuelano, in questa pagina di struggente mestizia. Prestante l’orchestra nello Scherzo, dove svettava il motto dei tromboni dal sapore popolare polacco al pari di altri temi della sinfonia. Nell’artificioso Finale, una polonaise in forma di rondò, tra le varie sezioni orchestrali si è messa in luce quella degli ottoni, cui era richiesta una performance davvero faticosa; precisa tutta l’orchestra nella fuga, seguita dal pirotecnico finale, reso in tutta la sua roboante sonorità. Non minore quella prodotta dagli scroscianti applausi che hanno siglato la fine dello spettacolo.