Roma, Auditorium parco della Musica, Equilibrio. Festival della nuova danza
“What the Body Does Not Remember”
Direzione,coreografia e scenografia Wim Vandekeybus
Compagnia di danza “Ultima Vez”
Danzatori: Ricardo Ambrozio, Damien Chapelle, Tanja Marín Friðjónsdóttir, Zebastián Méndez Marín, Aymara Parola, Maria Kolegova, Livia Bálazová, Eddie Oroyan, Pavel Mašek.
Musica originale Thierry De Mey e Peter Vermeersch
Roma, 20 febbraio 2013
È grande la danza ad “Equilibrio”. Grande quella di Wim Vandekeybus. What the Body Does Not Remember. È raro vedere opere del repertorio nel mondo della danza moderna. Tutto si consuma così velocemente. Era il 1987 quando Wim Wandekeybus e la sua giovane ed inesperta compagnia Ultima Ves esordirono con questo spettacolo, creato tra gli altri a Polverigi, nelle Marche, nel corso di tre mesi di residenza organizzati dal centro di produzione Inteatro. Vincitore del prestigioso Bessy Award, fece scalpore a New York e definito dal New York Times “.. duro, brutale, giocoso, ironico, e magnifico…”.Autore dall’eccezionale vitalità artistica, fotografo, regista, carriera caratterizzata da una miriade di collaborazioni, muove i suoi passi in quel periodo di sorprendente fermento culturale della danza fiamminga degli anni ’80, vicino ad altri straordinari autori come Anne Teresa de Keermaeker e Jean Fabre. Scardinarono il teatro tradizionale per sperimentare col corpo gli spazi del tempo, della forma e dello spazio stesso in un contesto di vera avanguardia. L’inizio è travolgente. Strisce di luce a terra con riflettori a vista disegnano una griglia. Due uomini entrano, indecisi, vanno in terra, una donna sul fondo muove le mani su un tavolino producendo un suono metallico, elettrico, dei rumori. In realtà muove i danzatori come burattini, e li muoverà in una danza dalla fisicità straordinaria rivoltandoli, sobbalzandoli, girandoli. Eseguono forse inconsapevoli, all’unisono ed ad una velocità impressionante. Quello che il corpo non ricorda, non sceglie, come intende Vandekeybus, altre cose decidono per te, come quando ci si innamora, o prima di un incidente. Straordinario, sembra uno studio, tipico di quei tempi, concettuale, cerebrale, formale. Non si indaga l’emozione, ma il concetto, emozionante è il risultato, poesia dell’ineluttabilità delle cose, tutto torna come un espressione matematica bel risolta. Danze costruite su brevi sequenze che si ripetono innumerevoli volte in forme sempre variate, tanto da diventare quasi estatiche. Passione vorace per il movimento fisico, grande tensione emotiva, l’estetica non è nella forma ma nell’energia, nell’adrenalina, nei continui impulsi, nel corpo sempre in bilico, nei riflessi sempre accesi, nell’aggressione perenne fisica e mentale. Come nel finale, quando alcuni schiacciano i piedi a terra con violenza in una sequenza maniacale, può capitare qualcuno sotto quei piedi, ma quei corpi sdraiati si salvano, non sanno neanche come, con movimenti meccanici, automatici. O nella magnifica sequenza con i mattoni, lanciati in aria, velocità impressionante, chiunque di loro potrebbe finirvi sotto, in un gioco perfetto in cui gli uni salvano gli altri, quasi per miracolo, scambiandosi freneticamente sull’ultimo istante, oltre non sarebbe possibile. Meccanismi perfetti, corpi come lancette di orologi, al posto giusto al momento giusto, il tutto in un atmosfera anche rilassata, ironica, divertente, giocosa. Non puoi prendertela col destino. Bellissima la musica di Thierry De Mey e Peter Vermeersch, che esprime e descrive alla perfezione gli stati d’animo e le situazioni. D’altronde la motivazione del Bessy Award parlava proprio di “.. scontro brutale tra danza e musica..”. Il Pubblico concentrato esplode sul finale in calorosi applausi, qualcuno anche in piedi a salutare i magnifici interpreti di Ultima Ves.