“Il Barbiere di Siviglia” al Comunale di Ferrara

Ferrara, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2013
IL  BARBIERE  DI  SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini dalla commedia “Le barber de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva
FILIPPO ADAMI
Don Bartolo 
ALFONSO ANTONIOZZI
Rosina
JOSE’ MARIA LO MONACO
Figaro
GEZIM MYSHKETA
Basilio
LORENZO REGAZZO
Berta
NOVELLA BASSANO
Fiorello
ALEX MARTINI
Un ufficiale
YANNIS VASSILAKI
Orchestra Città di Ferrara
Voxonus Choir
Direttore Sergio Alapont
Maestro del Coro Alessandro Toffolo
Regia Italo Nunziata
Scene e costumi Pasquale Grossi
Luci Patrick Latronica
Coproduzione Teatri e Umanesimo Latino S.p.A. – Treviso, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara.
Ferrara, 10 febbraio 2013

«Mi si è rotto un tacco!» «Don Alonso, avete comprato le scarpe dai cinesi?». Per capire la taratura attoriale del cast del Barbiere di Siviglia che ha aperto la nuova stagione del Teatro Comunale di Ferrara basterebbero queste poche battute. Siamo nel II atto, una scarpa di Filippo Adami, che impersona un esilarante e spassosamente effeminato Don Alonso, cede. Nel mentre Bartolo va rovistando le carte per rinvenire la parte della sua noiosissima caffariellata, Adami, con nonchalance, si toglie le scarpe, le poggia sotto il pianoforte, e prosegue la recita… scalzo. L’episodio motiva lo scambio di battute improvvisate di cui sopra, una risata divertita del pubblico, e il successivo ingresso di Basilio in vista del quintetto, con un regalo per il “suo allievo”: le scarpe riparate! Tanta scioltezza nella recitazione, e tanto divertimento del pubblico, si devono alla gradevolissima regia di Italo Nunziata, che si conferma fra i migliori talenti sulla scena italiana e internazionale.
Complice le asciutte e funzionali scenografie di Pasquale Grossi, Nunziata ambienta il “suo” Barbiere, in cui prevalgono i toni dell’azzurro e del blu, dentro la bottega di Figaro (ricordate? «mostra in azzurro, alla moderna»), qui deus ex machina al massimo grado, al punto che tutti i personaggi diventano di fatto clienti. L’allestimento che mantiene intatta tutta la sua freschezza e ilarità (era nato per il teatro Comunale di Treviso nel 2004), restringe anzitutto lo spazio del palcoscenico entro alte pareti e quinte in prospettiva centrale nelle quali continuamente a scomparsa si aprono finestre e porte (comprese quelle della casa di Rosina nel I atto) che lasciano intravedere luci dai colori decisi. Una cornice che potrà forse sembrare severa e claustrofobica, ma che in realtà appare ideale alla regia. In questo spazio, animati dall’intelligenza teatrale di Nunziata, che persegue con straordinaria coerenza la via di una comicità dai tratti surreali, si muovono in maniera piacevolmente disinvolta personaggi estremamente vanitosi spesso intenti ad ammirarsi in specchi fittizi. Ed è appunto lo specchio, elemento cardine di ogni buona bottega da barbiere, il motivo ricorrente di tutta la produzione. In questa casa-bottega si specchiano tutti: Rosina all’inizio della sua cavatina, Basilio nella calunnia, Bartolo prima della sua aria, figaro nel duetto con la pupilla, e perfino il Conte, prima di ogni serenata e prima di entrare travestito in casa di Bartolo sia nel primo che nel secondo atto. Se Nunziata è bravissimo nel far recitare i maniera disinvolta e spigliata non solo il cast ma perfino il coro (a proposito, davvero bravi le sezioni maschili del Voxonous Choir sapientemente istruite da Alessandro Toffolo) dal punto di vista vocale occorre fare dei distinguo.
La prestazione offerta dal Conte d’Almaviva di Filippo Adami è assai alterna. Nel primo atto, dove, per lo meno fino al Finale, le doti del vocalista dovrebbero prevalere su quelle dell’attore, la prova del tenore è nel complesso se non deludente per lo meno inadatta al cimento del ruolo. La sua esecuzione di Ecco ridente in cielo è assai disomogenea, non tanto nella prima, quanto nella seconda parte dove le agilità sono in larga parte spoggiate, anche perché il cantante testardamente insiste su sonorità nasaleggianti. Nel seguito il bagaglio tecnico si conferma spesso insufficiente, specie laddove il canto non sia sostenuto in maniera insistente dalla musica (è così ad esempio nel concertato di stupore del Finale I). Nel secondo atto, dove con la complicità di Rossini e Sterbini è l’attore a dover prevalere sul cantante, Adami, dopo esser stato soldato esilarante, interpreta uno spassosissimo e assolutamente convincente Don Alonso.
Alterno è anche il Figaro di Gezim Myshketa, piuttosto opaco nella cavatina quanto decisamente più spigliato nel seguito dell’opera. Se non gli mancano certo una piacevole familiarità con la lingua italiana, una rigorosa articolazione della parola rossiniana, doti interpretative di grande rilievo, il giovane baritono albanese (classe ‘82) dovrebbe approfondire l’arte di “girare” i suoni di modo da ottenere risultati più convincenti nel registro acuto. Così il suo Figaro da validissimo diventerà eccellente. Josè Maria Lo Monaco disegna una Rosina assai credibile scenicamente e stilisticamente. La voce è preziosamente brunita (forse anche troppo per il ruolo) e il bagaglio tecnico considerevole e amministrato con la saggezza della vocalista di rango. La cantante sciorina le agilità con precisione e facilità fin dalla sua cavatina, raggiungendo esiti assai convincenti nella scena della lezione di canto. Da approfondire ancora l’estremo acuto dove la voce, vuoi anche per una ragione prettamente fonatoria (l’artista tende sovente a coprire e scurire), perde la dovuta elasticità. Il Basilio di Lorenzo Regazzo è esilarante nella resa del personaggio, lussuoso nel tono, nelle intenzioni, nel fraseggio. Vocalmente ha perso però qualche colpo di “cannone”: ne hanno risentito, nella sua pur gradevolissima “calunnia”, sia l’altro “cannone” (quello rossiniano) che il “meschino calunniato”, che è andato “a crepar” piuttosto in sordina. Che dire poi di Alfonso Antoniozzi? Che è un artista completo, un cantante di razza superiore dotato di un timbro particolare e affascinante, un maestro del sillabato rossiniano (impressiona la facilità con cui sciorina quello della sua aria del primo atto), un interprete raffinato capace di piegare, come pochi altri, il canto alle ragioni della parola e della recitazione… insomma, Antoniozzi è Bartolo per antonomasia! Fra i comprimari spicca la bella prestazione di Alex Martini nel ruolo di Fiorello, mentre la Berta di Novella Bassano domina intelligentemente un vibrato diversamente troppo insistente, e l’Ufficiale di Yannis Vassilaki è assolutamente da rimettere a fuoco.
Sergio Alapontalla guida di una attenta Orchestra della città di Ferrara (in larga parte composta da volenterosissimi ragazzi), dirige con gesto così tanto misurato e composto da sembrare molto poco coinvolto dalla materia drammatica e musicale. Un’impressione che in parte si conferma, dopo una sinfonia corretta nei tempi ma non sempre pertinente nelle intenzioni (decisamente trattenute le esplosioni in fortissimo e alcuni squilibri sonori poco giustificabili con la disomogeneità dell’organico), nella lettura fin troppo parsimoniosa dell’esplosiva partitura rossiniana. Come intimorito dal pericolo di eventuali squilibri fa buca e cantanti, Alapont trattiene oltremodo il vitalistico entusiasmo timbrico dell’orchestra, ottenendo il più delle volte suoni velati, aridi di colori, e poco inclini al sostegno della briosa azione progettata dal regista. Di contro però non si può non notare come la scelta dei tempi sia sempre appropriata, specie per quei leggerissimi stacchi di tempo più rapidi nelle “cabalette” (termine, ce ne rendiamo conto, rossinianamente improprio) dei duetti, e come la musica accompagni le ragioni del canto con precisione. In sintesi, una lettura corretta, ma nulla di più (e di più pensiamo si potesse davvero fare), frenata dalla paura di strafare e inficiata da alcuni tagli fuori posto: ci riferiamo non tanto a quello del Rondò di Almaviva (giustificato dai limiti tecnici del tenore), quanto piuttosto a quelli all’interno della “cabaletta” del duetto fra Figaro e il Conte e a quelli della sezione in sillabato nell’aria di Bartolo.  Al termine della rappresentazione, applausi convinti da parte di un pubblico coinvolto, divertito e partecipe, che educatamente ha atteso che si riaccendessero le luci per lasciare la sala, una vera rarità in Italia… una grande prova di educazione e rispetto che non possiamo esimerci dal segnalare!
Foto Marco Casalli Nirmal ©  Teatro Comunale Ferrara