EPILOGO
«Voi direte, ma è successo tutto a lei? No, non tutto a me: a me è toccata la mia parte. Come me, di brave, ce n’erano tante altre che hanno dovuto subire la capricciosa egemonia di Callas e Tebaldi. Ad onor del vero farei un’eccezione per Maria che è stata una fuoriclasse; la Tebaldi era una voce molto bella e potente, ma non era la sola ad avere queste doti. Comunque, o per un motivo o per l’altro, si doveva subire, anche perché gli impresari, a loro volta, erano succubi di quella situazione. Mi sono battuta anche per le ingiustizie fatte ad altri, ma non ne valse la pena: l’artista è un debole, cerca di fare gli affari suoi e non è capace di lottare. Sì, cari amici, la mia carriera è stata spezzata da persone invidiose dei miei successi!».
Comprensibile lo sfogo carico di amarezza, ma in realtà osservando tutto l’arco della carriera artistica di Gigliola Frazzoni non si può certo parlare di “carriera spezzata”. Il carattere, la determinazione, l’onestà intellettuale della nostra Artista hanno sempre rappresentato uno scudo protettivo talmente forte da farle superare brillantemente i numerosi contrasti incontrati. Dai nostri lunghi colloqui, sempre molto interessanti, ci siamo accorti che la pulizia morale di Gigliola Frazzoni era per lei una sorgente di forza inesauribile, di gran lunga superiore agli ostacoli comunemente incontrati sulla propria strada. In altri termini si può certamente dire che la Frazzoni sia sempre stata vincente persino in quella strana connotazione esclusiva che fa di lei La Fanciulla… senza West.
«Ho fatto anche l’attrice di prosa: è stata una vera avventura, però piacevole. Ero diretta da Lina Wertmüller, regista intelligente, competente, bravissima. La commedia si chiamava “Amore e magia nella cucina di mamma” e si ispirava alle tragiche vicende della Cianciulli, la sponificatrice di Reggio Emilia. E’ stato nel ’79, l’anno in cui smisi di cantare».
Solo chi ha una certa età si può ricordare di questa persona che nell’immediato dopoguerra attirava tante donne, turbate da svariati problemi, con la scusa di aiutarle a risolverli. Le uccideva e con i cadaveri faceva il sapone. Ovviamente era pazza. Fu condannata e morì in carcere. Tra le sue vittime c’era una cantante lirica… illusa di cantare. La genialità di Lina Wertmüller fece nascere una commedia.
“Le prove si facevano a Roma, in casa di Lina, dove conobbi tante brave attrici di prosa. Debuttammo a Spoleto ottenendo un grande successo, quindi ritornammo a Roma, a Cinecittà, a girare il film per la televisione. Fu un’esperienza nuova, bella, interessante, ma faticosissima».
Ha cantato l’ultima opera all’Arena di Verona nel 1979: Cavalleria rusticana, con Carlo Bergonzi. Ha smesso non perché mancasse la voce, ma perché era priva di motivazioni, non c’era più nulla che la interessasse. Così dice Gigliola e aggiunge: «Troppe cattiverie, sotterfugi, sgambetti: e poi a un certo momento si deve smettere». E’ vero che alle Signore non si chiede l’età, e in verità non l’abbiamo chiesta, ma chi appartiene alla storia del melodramma è citato nelle enciclopedie specializzate dove, appunto, si legge: Gigliola Frazzoni, Bologna 22 febbraio 1927.
Così abbiamo svelato un segreto di Pulcinella, ma agli appassionati d’opera interessa sapere che la meravigliosa Frazzoni ha abbandonato le scene a cinquantadue anni. Tanti i riconoscimenti ricevuti: tra questi il più prestigioso e il più amato e indubbiamente il “Premio Puccini” conferito nel 1993 a Torre del Lago. «Oggi finalmente posso andare per strada come una persona qualunque, però confesso che mi fa piacere essere riconosciuta e salutata da persone che vogliono sapere tante cose. Molti vorrebbero che cantassi ancora, ma per carità!
Oggi ci sono tanti artisti che cantano ancora nonostante l’età avanzata: fanno i loro comodi. Noi non potevamo, ci avrebbero protestati. Il teatro di allora era esigente; se una sera cercavi di risparmiare la voce, perché non ti sentivi bene, dicevano subito che eri finito. Anch’io ho sentito il pubblico fare commenti sgradevoli durante l’opera, perciò è meglio ritirarsi in tempo e lasciare un bel ricordo. Conosco il dolore che si prova nell’abbandonare le scene, rinunciare al tuo pubblico che ti ama. Dopo quasi trent’anni di “pensionamento”, ricevo ancora lettere con la richiesta di foto autografate. Una Signora per strada mi ha fermato, mi ha preso la mano e mi ha detto “grazie”, poi se n’è andata. Un’altra volta, ero in drogheria, mi si avvicina un Signore che mi avevano detto essere un mio ammiratore e mi chiede:”Posso darle un bacio?”. Così ancora a distanza di anni i miei concittadini mi ricordano. Oggi è una giornata grigia, uggiosa, pioviggina e ne approfitto per ascoltare Fanciulla. Ogni volta che la sento mi commuovo pensando al passato, al m° Votto che mi conduceva con tanto amore: ogni parola di Minnie era una poesia!
Ogni volta che ascolto una mia registrazione mi si spezza il cuore. In quei momenti non esiste più nulla: c’è dentro la mia vita, la mia “sofferenza” per il teatro. Ho vissuto per la musica. Dentro al mio corpo c’era l’arte di esprimere: davo tutta me stessa. Io non cantavo, recitavo cantando. Davo poca importanza alla voce, perché mi interessava di più l’interpretazione: doveva venir fuori il personaggio. Ricordo un particolare durante una recita di Fanciulla: il tenore, durante una pausa mi venne incontro dicendomi: “Io credo che ci si possa veramente identificare in un personaggio quando lo si interpreta come fai tu”.
Un altro caro ricordo è legato a una Butterfly dove si piangeva tutti, anche il suggeritore e, dietro le quinte, i macchinisti avevano gli occhi lucidi». Concorde tutta la stampa sulla tensione che la Frazzoni riusciva a trasmettere al pubblico. Un filo sottile attraverso cui si riusciva a percepire la natura dell’Artista e il suo grado di coinvolgimento altamente trasmissibile. Possiamo dire che ci troviamo in presenza del tipico animale da palcoscenico.
I riscontri della stampa, nazionale ed estera, testimoniano che Gigliola Frazzoni non è mai stata contestata e che si è sempre espressa al meglio. Se ci si pensa non è poi una cosa così strana in quanto la nostra Artista, per lo studio severo e accurato cui si era sottoposta, aveva risolto i problemi tecnici e quindi doveva pensare esclusivamente ad interpretare il personaggio. Tutto ciò le dava una forza incredibile che la rendeva sicura del fatto suo e questa consapevolezza di sé, accoppiata alla totale mancanza di invidia, accresceva il suo carisma che insieme alla oggettiva bellezza si trasformava in fascino.
La cosa veramente incredibile è che tutto questo patrimonio di inestimabile valore sia stato represso seguendo una metodologia quasi scientifica. La Frazzoni doveva apparire il meno possibile; si doveva tenere lontano il clamore dei media; erano più che sufficienti le luci della ribalta.
Chiunque abbia architettato questa operazione non ha fatto soltanto un danno d’immagine all’Artista, ma ha privato anche i cultori del melodramma di documentazioni sonore dell’arte di Gigliola Frazzoni. Infatti le case discografiche perdevano interesse nei suoi confronti, perché il personaggio aveva poco seguito. Defilarsi metodicamente dai salotti e dagli incontri in cui si trovano gli addetti ai lavori non ha certamente giovato alla figura della grande interprete. Perché di grande interprete si tratta e non solo per Fanciulla del West dove è stata irripetibile. Senza timore di eccedere si può dire che Frazzoni sta a Fanciulla come Callas sta a Norma. Anche questa verità non si è affermata nel mondo dell’opera così come avrebbe dovuto. Restano incontrovertibili le tracce indelebili degli articoli di stampa e le lettere degli ammiratori.
Le famose 18 recite consecutive di Butterfly alla Scala lasciarono un segno profondo. Il pubblico che le ha richieste, non se le dimentica e allora nascono lettere come questa: “Milano 10 febbraio 1958. […]mi voglia perdonare, […]ma dopo averLa ascoltata nell’opera “Madama Butterfly” sono rimasto talmente colpito dalla sua dolce-soave voce che non ho saputo resistere alla tentazione di scriverLe[…]. Oppure questa più eloquente: “Milano 25 febbraio 1958. Le esprimo il mio più vivo grazie per il godimento provato sentendo la Sua appassionata interpretazione di “Madama Butterfly”. Le confesso sinceramente che il Suo canto così umano, così bello mi ha commossa tanto che mi si sono velati gli occhi di lacrime. E sì che il teatro d’opera lo frequento da vari anni, dall’infanzia quasi, e di belle interpretazioni posso dire di averne viste molte, ma come Le ripeto, è stata proprio Lei la prima a farmi provare un’emozione così viva. […]sarei veramente contenta se potessi ancora riprovare quelle sensazioni belle che la Sua voce, che la Sua arte, mi hanno procurato quella sera”.
Ad onta del scellerato disegno che voleva tenere basso, quasi represso, il clamore dei successi, soprattutto quelli ottenuti al di fuori di Fanciulla, diventa estremamente interessante un’ulteriore testimonianza di un ammiratore che cita tre spettacoli: La Fanciulla del 1956 alla Scala, Tosca del debutto areniano con Corelli nell’agosto 1956 e ancora Fanciulla alla Scala, la cui prima è stata il 21 marzo 1957, con Del Monaco. Scrive questo Signore da Chiasso il 18 marzo 1957: “Sono un[…]Suo fervente ammiratore. La vidi e la conobbi alla Scala in “La Fanciulla del West” e non mi accontentai di un solo spettacolo. A Verona poi, lo scorso anno, assistetti (anche lì due volte) al Suo personale trionfo in “Tosca” e d’ora in poi, per me, Tosca-Frazzoni, sono un’unica cosa, una persona sola; nessuna mai più riuscirà (per me e per tanti) ad impersonare ed interpretare tanto bene quel bellissimo tormentato personaggio, e qualsiasi “Tosca” che vedrò in futuro senza di Lei, sarà per me una “quasi-Tosca” […].Con somma gioia quest’anno La potrò riammirare ed applaudire nella “Fanciulla”, e mai notizia mi fu tanto gradita, anche perché sarà questa volta affiancata al Grande Del Monaco […]”.
Il Signore di Chiasso e i suoi amici non erano i soli ad avere avuto quelle sollecitazioni estetiche, infatti esistono tante altre lettere come questa: “Milano 8 aprile 1957. […]L’ho potuta ascoltare in diversi teatri e la Sua voce, così perfetta mi ha sempre commossa profondamente. […]Ho assistito alla “Tosca” a Verona e alla “Fanciulla del West” alla Scala, e come sempre, Lei, cara Gigliola, come una maga ammaliatrice, mi ha fatto piangere, e mi ha reso felice nello spazio di poche ore[…]”. E ancora sullo stesso tono da Venezia il 21 marzo 1957: “[…] Ho già avuto la fortuna di applaudirla alla Scala proprio nella “Fanciulla del West” e nella “Tosca” a Verona dove cantava con Corelli. Era veramente fantastica, le sue interpretazioni erano bellissime. Non dimenticherò mai il “Vissi d’arte”, come l’ha cantato bene! Perché cara Signora non viene a cantare anche alla Fenice? Anche noi veneziani abbiamo un po’ il diritto di sentire delle belle voci come la Sua, non le pare?”
In verità quest’ammiratrice aveva ragione a lamentare le rare presenze della Frazzoni nella città di San Marco dove andò soltanto due volte: la prima in agosto 1952, come è stato ricordato, per un insolito concerto su di una piattaforma galleggiante nei pressi di Rialto e la seconda alla “Fenice” nel dicembre del 1961 per una serie di Butterfly che si protrassero anche nel gennaio’62. Molto spontanea e genuina la lettera di questo melomane napoletano rimasto estasiato dall’interpretazione di Tosca trasmessa dalla Rai: “Napoli 26 novembre 1957. Illustre Artista, […] Ci tengo a dirLe che quanto più l’ascolto tanto più vado convincendomi di quali grandi doti e di quali grandi pregi artistici Ella è fornita. E confessiamolo pure, di quale voce soprannaturale. Mi creda non dico questo per convenienza o per farLe piacere, ma è la pura verità, quando Lei canta desta negli animi una certa commozione che nessun’altra artista lirica saprebbe far destare. Mesi addietro ho ascoltato alla radio la celebre “Tosca” […] non credo che la Darclée abbia potuto cantare in modo così divino quest’opera e lo stesso Puccini se potesse riascoltare la sua stessa musica cantata da “Gigliola Frazzoni” non credo che potrebbe nascondere una certa commozione. […] Permetta, gentile Signora, che Le baci la mano”.
Il pubblico, il suo pubblico non riusciva a comprendere come un’artista di quella caratura fosse così poco visibile. In verità non era facile capire questo atteggiamento di estrema riservatezza, insolita nei personaggi pubblici. I successi non mancavano. Il pubblico l’amava e cercava di comunicare con centinaia di lettere. Curiosa una missiva del 4 dicembre 1958 di “due fanatiche seguaci dell’opera lirica, due di quelle fanatiche che trascorrono ore ed ore sulle scale della galleria per occupare poi un buon posto a sedere e godere così lo spettacolo”. Così si definiscono due amiche di Trieste che hanno incrociato il “tornado” Gigliola Frazzoni e sono state travolte. Scrivono per ringraziare delle foto ricevute con particolare “sollecitudine” e ringraziare anche il Marito che si era fatto parte diligente nella spedizione degli autografi. Poi partono a tutto spiano analizzando acutamente alcuni aspetti interpretativi: “desideriamo[…]con questa nostra breve (?) missiva[…]esprimerle la nostra ammirazione per la Sua arte. Siamo rimaste molto soddisfatte della Sua interpretazione nella “Manon Lescaut” qui al Verdi ed ancora una volta abbiamo dovuto convincerci che la mirabile interprete di Minnie è una valente e straordinaria artista. Noi avevamo avuto l’occasione di sentirla e vederla, per la prima volta, appunto al Verdi, nella “Fanciulla del West” […]ed eravamo rimaste entusiaste della Sua interpretazione: poi l’abbiamo rivista ancora nella “Tosca” […]e la nostra opinione sul Suo conto si è ancora maggiormente migliorata. Infine l’abbiamo vista quest’anno, sempre al Verdi, appunto nella “Manon Lescaut” e ci siamo convinte che, decisamente, il repertorio pucciniano è quello che maggiormente Le si addice. Ci permetta però di farLe una precisazione: siamo dell’opinione che l’opera in cui maggiormente risaltano le Sue qualità artistiche ed interpretative, è la “Fanciulla del West” che consideriamo il Suo “cavallo di battaglia”. Noi, pensando a Minnie, pensiamo a Gigliola Frazzoni così come, pensando a Johnson, pensiamo a Franco Corelli che riteniamo il Suo “partner ideale” oltre che come valente interprete, anche come figura d’uomo. […] senza volercene per la nostra audacia, ancora mille ringraziamenti e scuse. Con devota ammirazione”.
Un’opera che viene spesso dimenticata, fra le grandi interpretazioni della Frazzoni è Cavalleria rusticana. Lo ricorda con vivo trasporto questo ammiratore in una lettera del 20 febbraio 1958: “Ho avuto l’onore di ascoltarla per la prima volta alla Scala come Santuzza, personaggio che richiede all’interprete non solo una sforzo vocale notevole, ma altresì grande temperamento, e la prova da Lei offertaci non poteva essere più soddisfacente ed entusiasmante. Il “Voi lo sapete, oh Mamma” fu detto poi con una verità d’accento e con un singhiozzo finale tanto reale da commuovere tutto l’uditorio e da fargli presentire di trovarsi di fronte ad una delle poche vere grandi artiste”.
Donna dai molteplici interessi, Gigliola, ancora quando era in carriera si dedicava alla pittura esponendo le sue opere in varie città, Milano, Verona, Bologna, con riscontri molto positivi. È una pittura descrittiva, accattivante, piena di luce e di colore: fiori, paesaggi, ritratti sono i temi preferiti dipinti a olio e a pastello. È una “pensionata” attiva che si è dedicata per un lungo periodo all’insegnamento del canto e a nobilissime azioni di volontariato per i bambini. Insolito e sorprendente per un soprano un hobby curato per anni: la pesca.
Gigliola Frazzoni oggi è una bella signora, piena di vita, dal forte temperamento. Una donna ricca di valori umani e saldi principi morali, senza essere bacchettona. È sufficiente un breve colloquio per sentire quanto sia radicato in lei il senso della realtà, della concretezza, della sicurezza senza ostentazione. Bella fuori e bella dentro, conserva quella sensibilità acutissima che, accomunata alle sue doti canore, hanno fatto della cantante una grande artista. La sua linea interpretativa non è datata, perché vera, spontanea, mai pacchiana. Sente e trasmette sentimenti comuni a tutti. Non gigioneggia mai: quando ama, ama; quando odia, odia; quando piange, piange davvero. (Fine)