Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli”, I Concerti del Lingotto 2012-2013
Kremerata Baltica
Direttore e violino Gidon Kremer
Vibrafono Andrei Pushkarev
Violoncello Giedre Dirvanauskaite
Vytautas Barkauskas: Avanti per archi
Philip Glass: Concerto n. 2 per violino, archi e sintetizzatore The American Four Seasons
Antonio Vivaldi: Concerto in sol minore RV 315 L’estate (Versione per vibrafono e archi di Andrei Pushkarev)
Leonid Desyatnikov: Lamento del cucù; Tolontnaya
Dobrinka Tabakova: Dawn da Sun tryptich per violino, violoncello e archi
Pëtr Il’ic Čajkovskij / Alexander Raskatov: Selezione da The Seasons Digest
Georgs Pelecis: Flowering jasmin per violino, vibrafono e archi
Astor Piazzolla / Leonid Desyatnikov: Verano Porteño da Le Quattro Stagioni a Buenos Aires
Torino, 18 febbraio 2013
Non è frequente, nelle grandi sale da concerto italiane, incontrare programmi “a tema”, centrati su un’unica suggestione musicale declinata in stili e forme anche molto diversi tra loro. Il concerto della Kremerata Baltica per la stagione del Lingotto è stato quindi una spassosa sorpresa, perché ha unito alla maestria dei musicisti e del loro carismatico direttore l’originalità dei brani scelti e della loro successione. Inoltre è stata occasione per riscoprire la straordinaria vitalità della musica italiana del Settecento non solo all’interno del Novecento storico, ma anche presso la riflessione e lo studio musicali di area baltica oggi; i musicisti che gravitano attorno a Kremer si confrontano infatti con il modello vivaldiano delle Quattro stagioni, lo reinterpretano, lo sottopongono a parafrasi (anche giocosa, ma mai impertinente), lo affiancano alla musica di soggetto naturalistico della tradizione russa, insomma propongono composizioni che sono visibilmente un atto d’amore nei confronti della natura; e quest’ultima diviene docilmente musica viva e solare.
Apre il concerto in un’atmosfera di pacatezza Avanti, per soli archi, di Vytautas Barkauskas (nato in Lituania nel 1931); Kremer non c’è ancora, e l’orchestra è coordinata dal violino di spalla, in un andirivieni di frasi ascendenti e discendenti (a volte un po’ scialbe); l’effetto complessivo è piuttosto statico, anche se fa risaltare la purezza del suono degli archi della Kremerata. Dopo tale hors d’oeuvre entra in scena Kremer, impeccabile in uno smoking di rara eleganza, e avvia il brano più complesso, articolato e interessante dell’intera serata: il concerto n. 2 per violino, archi e sintetizzatore di Philip Glass, eseguito per la prima volta nel 2009 a Toronto dal solista Robert McDuffie cui è dedicato. Il compositore ha voluto creare un parallelo delle Quattro stagioni vivaldiane, ma senza citazioni dirette o riprese strutturali riconoscibili. Certo, l’idea delle quattro stagioni si ritrova in una sorta di tetralogia, un Prologue e tre Songs guidati dal violino solo, e quattro Movements dell’orchestra intercalati alle sezioni violinistiche; non c’è però distinzione netta nella partecipazione musicale, perché la composita partitura non prevede soluzione di continuità, e gli assoli del violino di Kremer possono innestarsi su una sezione corale degli archi o dialogare con l’intera orchestra. Il Prologue e la prima parte delle American Four Seasons rispettano toni e ritmi rilassati, offrono sonorità struggenti; viceversa, il finale è un compendio di variazioni virtuosistiche che giunge al parossismo e mette alla prova le capacità tecniche sia del solista sia del complesso, con un pezzo di bravura dietro l’altro. Ascoltare Glass dal vivo – tanto più per merito di un grande musicista come Kremer – è un’esperienza davvero straordinaria, anche perché rivela quale possa essere la ricchezza espressiva di musica contemporanea semplicisticamente bollata come “minimalismo”. Le strutture ripetitive enunciate dal violino sono apparse sempre rinnovate da diversi gradi d’intensità con cui Kremer le porge sul suo Amati del 1641. E più che moduli ripetuti identici a se stessi, la vitalità pulsante dell’esecutore trasforma i periodi musicali in infinite variazioni: il testo resta uguale a se stesso, ma l’esecuzione lo rende di volta in volta unico, vibrante in misura sempre diversa.
Il secondo pezzo forte della serata è stato il concerto vivaldiano (L’estate) nella riscrittura per vibrafono e orchestra d’archi di Andrei Pushkarev (nato a Votkinsk – la stessa cittadina di Čajkovskij – nel 1981). Solista impegnato al vibrafono – in questo come in tutti gli altri brani che ne contemplavano la presenza – e alla guida del complesso era il musicista in persona; le risonanze dolcemente metalliche dello strumento hanno affascinato il pubblico con effetto ipnotico in una sorta di preludio al concerto (Allegro non molto), per poi armonizzarsi con il resto dell’orchestra d’archi e ripercorrere l’intero concerto vivaldiano. L’esito è stato di grande suggestione, anche perché Pushkarev ha lavorato sulle sonorità complessive della partitura settecentesca, modificandole e trasponendole in conformità delle peculiarità espressive del vibrafono. Il finale (Presto) è diventato così un altro banco di perizia tecnica in cui il compositore-esecutore ha offerto una parafrasi virtuosistica molto rispettosa della scrittura vivaldiana.
Ha concluso la serata un blocco di brani riuniti sotto la dicitura Gidon Sun Sounds, «Medley di brani legati all’estate, dedicati a Gidon Kremer e alla Kremerata Baltica», piccoli pezzi di compositori da molti anni in collaborazione con Kremer, oppure di giovani artisti di area baltica. A Leonid Desyatnikov (nato a Kharkiv in Ucraina nel 1955) si devono due miniature tratte dal pannello Estate, a sua volta inserito nelle Stagioni russe, composte attorno al 2000 (Lamento del cucù, tutto basato sulla mimesi del verso animale, e Tolontnaya, canto beneaugurante per la fertilità della terra). A Dobrinka Tabakova (nata nel 1980 a Plovdiz in Bulgaria) si deve la pagina molto garbata ed elegantemente decorativa di Dawn da Sun tryptich, in cui diventa protagonista l’espressività del violoncello (Giedre Dirvanauskaite). Ad Alexander Raskatov (nato a Mosca nel 1953) si deve invece l’amplificazione sinfonica, e anche vocalica, delle Stagioni di Čajkovskij (in origine per pianoforte) antologizzate nei tre brani riguardanti l’estate: Luglio. Canto dei falciatori; Agosto. La messe; Settembre. La caccia, tutto un fluttuare di ironiche fanfare, slanci festosi di contadini, impennate degli strumenti ad arco. A Georgs Pelecis (nato a Riga nel 1947) si deve il Flowering jasmin, delicatissimo quadretto degno di illustrare il pascoliano Gelsomino notturno, in cui Kremer regala le sue ultime prodezze di solista, prima di tornare alla direzione con il brano conclusivo, un’altra contaminazione tra Le Quattro Stagioni a Buenos Aires di Astor Piazzolla (ovviamente per il brano riguardante l’estate) e gli interventi di Leonid Desyatnikov.
Affascinato soprattutto dall’affiatamento tra i musicisti, dalla trasparenza del suono degli archi e dall’eccezionale bravura tecnica, il pubblico ha tributato al termine del Medley applausi entusiastici all’orchestra e al suo direttore-solista. Degna conclusione di un concerto originale nell’impostazione, ma sempre garbato e spiritoso nell’accostamento di generi e modelli (oltre che propiziatorio di una stagione dell’anno che tutti, dopo i rigori invernali, attendono al più presto).