Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Sinfonica 2012/2013
Orchestra dell’Arena di Verona
Direttore Paul Chiang
Sax Federico Mondelci
Carlo Boccadoro: Invisible Acropolis
Claude Debussy: Rapsodia per sax alto e orchestra
Roberto Molinelli: Four Pictures from New York
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Verona, 19 gennaio 2013
Il 6° concerto della stagione sinfonica della Fondazione Arena di Verona, ha offerto nella prima parte, un programma piuttosto desuete. Due partiture contemporanee e l’impiego di uno strumento solista moderno, il sassofono, che avuto il compito di immergere il concerto in un clima di impressionismo e modernismo. La serata è cominciata con Acropoli Invisibile composta da Carlo Boccadoro tra 2011-2012, ( prima esecuzione al Maggio Musicale Fiorentino nel 2012). Anche senza le note nel programma che descrivevano il pezzo e la sua genesis, per meglio preparare il pubblico all’ascolto, l’uso sapiente dell’orchestrazione allo scopo di evocare le sfumature di umori e impressioni, il ricamo delle voci strumentali individuali dentro e fuori il tappeto del tessuto orchestrale, le onde progressive di dinamiche, le sovrapposizioni fluttuanti di strumenti, e l’improvviso silenzio dell’orchestra che lasciava che un quintetto d’archi conversasse in un angoscioso dialogo, prima che tutto finisse con i sinistri e minacciosi tocci di gran cassa, contribuiscono a una creazione musicalmente ed esteticamente capaci di attrarre e coinvolgere l’ascoltatore. L’impatto che ha avuta la visita, citata come fonte d’ispirazione, al campo di concentramento Birkenau del compositore, colpito dal contrasto tra la desolazione di oggi con la eterna presenza dei fantasmi dei detenuti di ieri, con l’eco dei rumori ed l’immagine degl’edifici, sono espressi fedelmente e in modo commovente nella partitura.
Il programma è proseguito con la rapsodie pour orchestra et saxophone che Claude Debussy scrisse (pare con una certa riluttanza, data dalla modernità dello strumento) su commissione di una sassofonista americana. La partitura rimase incompleta alla morte del compositore e l’orchestrazione fu completata da Roger-Ducasse. Malgrado la sua sua diffidenza verso lo strumento, Debussy ha creato un lavoro raffinato in uno stile astratto e impressionistico, che rievoca, in certi momenti, il poema sinfonico La Mer, su cui stava lavorando in quel periodo. In ogni caso sembra meno interessato alle possibilità virtuosistiche dello strumento, preferendo piuttosto l’esplorazione del suo particolare carattere e timbro. Viene utilizzata un’ampia compagine orchestrale, inclusi 3 flauti, 2 oboi, un corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, e basso tuba, che spesso vengono impiegati in sequenze di onde sonore, sulle quali il sassofono “cavalca”. Si tratta di un unico movimento ma, come suggerisce il titolo, si dipana in rapidi cambiamenti espressivi. Dopo un’inizio tranquillo, con cadenze morbide per il solista, da una sorta di atmosfera sospesa, parte di scatto una sezione più rapida, che, caratterizato dalla propensione di Debussy per l’esotico, si sente chiaramente l’influenza Araba, specialmente nelle figure ritmiche dell’accompagnamento. Federico Mondelci ne è stato un eccellente interprete. Tecnicamente sicuro e a suo agio, completamente assorto nella musica, il suono libero e pulito, spaziava in modo morbido e uniforme dagli acuti brillanti e splendenti ai i gravi caldi e pieni. Non risultava mai sovrastato dall’orchestra ma allo stesso tempo il suono non era mai spinto o forzato.
La prima parte si è chiusa con Four Pieces from New York, composto nel 2001 da Roberto Molinelli, un brano che ha perfettamente messo in luce versatilità e la musicalità di Mondelci e ha confermato la sua maestria nel calibrare e giocare con timbri e agilità tecnica sul sassofono soprano, tenore e contralto suonati a turno. Quattro scene musicali che seguono una esatta descrizione data nella partitura, Dreamy Dawn, Tango Club, Sentimental Evening and Broadway Night, un chiaro ed eclettico omaggio alla musica popolare americana: dal jazz allo swing, alla musica da film e al blues. Un sussegguirsi di temi noti ma trasformati in modo originale e fantasioso. Mondelci, da vero mattatore, in Sentimental Evening, spostandosi nel mezzo dell’orchestra, ha voluto quasi creare una sorta trio jazz come se fosse in una sessione improvvisata (un eccellente pianoforte, basso e percussioni/tamburi dall’orchestra). Ha poi dominato il centro del proscenio, lanciandosi nel ritmico e sincopato Tango Club e cullati con la dolce cantabilità di Dreamy Dawn. Una esebizione nel segno della ricchezza coloristica, timbrica e di stili, sempre contrassegnata da grande rigore e sensibilità musicale. Il pubblico letteralmente entusiasta, dopo molte chiamate, ha portato al bis del Tango Club.
La seconda parte del concerto ci ha riportati a un repertorio più tradizionale, con l’esecuzione della quarta sinfonia di Čajovskij. Un’esecuzione in parte contrassegnata da molte incertezze di intonazione e articolazione, con una mancanza generale di coesione. Si è notato che i violoncelli e i primi violini non sempre erano sincronizzati. Il primo movimento in particolare è stato piuttosto piatto e pesante, forse a causa di un tempo particolarmente lento, così come le frasi che passavano fra gli strumentini risultavano frammentate. Solo al quarto movimento l’orchestra sembrava aver trovato una coesione e ingranato la marcia giusta. Nell’insieme, con l’eccezione della sezione dei tromboni compatti e precisi, la prova dell’orchestra non è stata al livello dei concerti più recenti. Il direttore d’orchestra taiwanes Paul Chiang del Taiwan, in Čajovskij non sembrava avere un sufficiente controllo sull’orchestra, a differenza della prima parte nella quale ha saputo evidenziare con sensibilità, le intrinseche voci in Boccadoro e gli umori atmosferici in Debussy, e ha mantenuto una linea fluida e un equilibrio perfettamente calibrato tra il solista e l’orchestra sia in Molinelli che Debussy. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona