Il mesto omaggio dei compositori: Berg e Bruckner

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2012-2013
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Juraj Valčuha
Violino Vadim Repin
Alban Berg: Concerto per violino e orchestra Alla memoria di un angelo
Anton Bruckner: Sinfonia n. 7 in mi maggiore
Torino, 25 gennaio 2013

Durante alcuni concerti accade che l’ascoltatore percepisca un legame forte, tutto affettivo, tra un brano e l’altro del programma
: fili di seta si annodano intorno al cuore, lo stringono, suscitano la commozione, a partire da musiche che si richiamano da sé, anche in modalità diversissime. Ed è la sensazione nata dall’accostamento del Concerto per violino e orchestra di Berg, scritto su commissione del violinista Louis Krasner, ma dedicato alla figlia di Walter Gropius e Alma Mahler, Manon, morta diciottenne il 22 aprile 1935, e la VII Sinfonia di Bruckner, il cui Adagio si conclude con una elegiaca marcia funebre, inserita in seguito alla morte di Richard Wagner (13 febbraio 1883). In entrambi i lavori i compositori modificano dunque assunti e struttura stilistica dell’opera per rendere omaggio a una persona cara, sia una tenera fanciulla sia il più rivoluzionario dei compositori europei; e in entrambi i casi la piega di mestizia, anche se localizzata all’interno del discorso musicale (come in Bruckner), finisce per imprimere un sigillo peculiare a tutto quanto.
Per il concerto bergiano interviene il talentuoso solista di origini siberiane Vadim Repin, con il suo violino Bonjour, un Guarneri del Gesù del 1743; pacatezza del suono e uso molto moderato del vibrato caratterizzano la prima sezione (Andante – Allegretto), mentre all’inizio della seconda sezione (Allegro – Adagio) spicca il controcanto tra violino e ottoni e percussioni. Valčuha mantiene terse le sonorità dell’orchestra, specie nei pezzi d’insieme, in una lievità espressiva compiuta e coerente, in modo tale che anche la citazione del corale bachiano (dalla cantata BWV 60), enunciata soprattutto dai legni, sembri sgorgare con grande discrezione da un tenue tessuto orchestrale: non crea alcun conflitto con la scrittura dodecafonica, anzi la rivitalizza nel nome della tradizione. Nella ricerca sonora del direttore l’obbiettivo parrebbe essere non tanto l’omogeneità, quanto la voce distinta delle singole famiglie strumentali; a esse si affianca poi il violino di Repin con la sua cristallina chiarezza. Di grande effetto, virtuosistico ed espressivo insieme, il suono scintillante eppure evanescente dello strumento solista che si spegne nel prolungato accordo conclusivo. Alle festose acclamazioni del pubblico il violinista risponde concedendo un bis del tutto in linea con la raccolta tristezza del concerto di Berg: l’Allemanda dalla Sonata n. 4 di Eugène Ysaÿe (già nel concerto dello scorso 6 dicembre Nemanja Radulović aveva proposto come fuori programma un movimento della sonata n. 3 di Ysaÿe: repertorio che coniuga in modo esemplare ricerca dell’espressività e virtuosismo tecnico).
Allorché Valčuha attacca il variegato I movimento della VII Sinfonia di Bruckner il volume appare subito eccessivamente forte (nell’Allegro moderato), anche se è apprezzabile l’intento di evidenziare l’intensità del suono (inevitabilmente segmentato a blocchi, proprio a causa dell’accentuata sonorità). Grazie alla precisione degli archi (capeggiati dal violino di Roberto Ranfaldi) il direttore riesce a differenziare bene i piani del discorso musicale, secondo un tempo piuttosto serrato, che rispetta poi le variazioni ritmiche previste da Bruckner per il complesso movimento d’apertura (Molto animato – A tempo – Molto solenne – Molto calmo; a poco a poco più veloce). Con la famiglia degli archi così rispondente al rigore del dettato musicale, è quasi un peccato che il direttore richieda un tono aggressivo agli ottoni (i cui attacchi non sono sempre nitidi e precisi, specie nella sezione intermedia). Buona omogeneità caratterizza invece i momenti pieni e solenni: gli ottoni spiccano, ma gli archi restano il gruppo più convincente per precisione di esecuzione, per ricchezza di colori, per dolcezza. Anche l’Adagio si avvia in modo plausibile, ma da subito un po’ troppo forte; ora la voce caratterizzante è quella del flauto (Dante Milozzi), le cui sobrie e rarefatte melodie si intrecciano con il modulo della ripetizione di base secondo un effetto molto bello. Al centro del movimento Valčuha individua un equilibrio nell’elaborazione della lenta progressione, per mezzo di un adeguato contrasto di piano e di forte, fino alla culminazione, scandita dall’unico intervento di triangolo e piatti (e a proposito di percussioni val bene ricordare l’apporto, sempre impeccabile, dei timpani di Carlo Romano). Al trionfo orchestrale segue il ripiegamento funebre, introdotto da evidenti allusioni wagneriane, alla fine di Siegfried e di Tristan: Valčuha rende in modo efficace la trasformazione dell’Adagio in do diesis minore in una breve marcia funebre, segnata solo da rimpianto e commozione. Se la VII Sinfonia è la più nota al pubblico italiano, certamente il suo ampio Adagio è il brano bruckneriano più conosciuto e presente alla memoria degli ascoltatori, soprattutto a causa della sua inserzione a commento dei momenti più languidi e morbosi in Senso di Luchino Visconti (era il 1954, e l’esecuzione dei primi due movimenti era già affidata a un’orchestra RAI, diretta dal grande Franco Ferrara). Basso tuba e tube wagneriane sovrastano le sonorità anche nello Scherzo, che però scorre molto fluido nelle simmetrie rispetto al Trio centrale, tutto tramato di danze popolari appena accennate: i contrasti sonori tra ottoni e archi raggiungono ora il vertice, ma si proiettano anche sul Finale (Mosso ma non presto), scandito per lo più da motivi eroici e solenni; la chiusa della sinfonia riprende parzialmente un’idea iniziale del I movimento, per suggellare l’opera con un accordo maestoso, eppure non trionfante.
Valčuha propone insomma un Bruckner molto tradizionale, dalla voce sempre corposa, dalle sonorità sempre marcate: beethoveniano nei ritmi, wagneriano (ma del Wagner di Rienzi, più che di Tristan o di Parsifal) negli squilli e nelle fanfare; magniloquente e rassicurante, è però un Bruckner declinato “all’italiana” grazie a una peculiarità del tutto positiva, come le più volte riscontrate accuratezza e gentilezza degli archi. Formula che convince appieno il pubblico torinese, a giudicare dai prolungati applausi per il direttore e per i professori dell’orchestra; apprezzamento più che opportuno, considerato che l’ultima esecuzione RAI a Torino della VII risale al giugno 2007. (Nelle foto, la prova generale del concerto)