Roma, Auditorium Parco della Musica – Sala Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore David Afkham
Pianoforte Saleem Abboud Ashkar
Ludwig van Beethoven: “Coriolano”, Ouverture in do minore op. 62; Concerto n. 1 in do maggiore per pianoforte e orchestra op. 15; Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60.
“Per motivi di salute il Maestro Radu Lupu non ha potuto mantenere il suo impegno”. Così echeggiava un avvviso nel foyer della Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica. Naturalmente siamo tutti rimasti delusi dall’assenza del Maestro Lupu e gli facciamo i nostri migliori in bocca al lupo; ma quale occasione migliore per ascoltare artisti, chiamati all’ultimo secondo, volti meno noti al pubblico e che possono riservare gradite sorprese. A sostituire Lupu, infatti, arriva Saleem Abboud Ashkar, pianista palestinese che sfoggia fin dalle prime note un portamento ed un fraseggio raffinato e nello stesso tempo granitico ed energico. Accanto a lui la bacchetta di David Afkham, uno dei giovani direttori emergenti, di formazione tedesca e assistente di Bernard Haitink.
Parleremo della direzione di Afkham: un gesto essenziale e comunicativo, forse troppo sintetico in alcune sue espressioni, che tende a creare una leggera discrepanza fra l’interpretazione brillante, piena di verve, del pianista e la presenza quasi in sordina dell’orchestra, in particolare nel primo e terzo movimento del concerto. Probabilmente la scelta di Afkham è quella di estrapolare in maniera esplicita la natura del primo concerto di Beethoven, in cui il pianoforte, come nel secondo concerto d’altronde, ha un ruolo decisamente prepoderante rispetto all’orchestra che va a costituire una vera e propria cornice armonica, soprattutto nel Largo, vellutato e soave. Questo però non giustifica la debolezza di carattere di alcuni interventi degli archi. Il talento del direttore si fa più graffiante nell’ouverture del Coriolano, dalla struttura compositiva semplice nella contrapposizione dialettica fra i due magnifici temi in Do e in Mi bemolle, e soprattutto nella sinfonia n. 4. In quest’ultima il gesto diventa più deciso e articolato, sia negli “Allegri” che nella cantabilità dell’Adagio, rivelando, pur nella formazione mitteleuropea di Afkham, un’interpretazione più sanguigna che si sposa perfettamente con l’essenza di una sinfonia composta dall’autore quasi di getto. Foto ©Musacchio & Ianniello