Venezia, Teatro La Fenice, Venezia, Stagione sinfonica 2012-2013
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Diego Matheuz
Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n. 1 in sol minore op. 13 Sogni d’inverno (versione definitiva 1874) Sogni di un viaggio d’inverno: Allegro tranquillo Terra desolata, terra di nebbia: Adagio cantabile ma non tanto Scherzo: Allegro scherzando giocoso Finale: Andante lugubre – Allegro moderato.
Sinfonia n. 2 in do minore op. 17 Piccola Russia (versione definitiva 1879-1880) – Andante sostenuto – Allegro vivo Andantino marziale, quasi moderato Scherzo: Allegro molto vivace Finale: Moderato assai – Allegro vivo.
Venezia, 7 dicembre 2012
Prosegue alla Fenice l’attività, direi, febbrile del direttore principale Diego Matheuz, che sta affrontando, con l’energia, la passione e, forse, l’inevitabile dose di ingenuità dei suoi ventott’anni, il grande repertorio lirico (dalla Traviata al Trovatore alla Bohème), oltre a quello sinfonico, con l’esecuzione, in particolare, dell’intero ciclo di sinfonie di Beethoven e di Čajkovskij. Proprio a quest’ultimo era dedicato il concerto di questa sera, che aveva in programma le prime due sinfonie del compositore russo.
Un luogo comune piuttosto diffuso è quello in base al quale si considera Čajkovskij un musicista che, in netta opposizione al Gruppo dei Cinque e, in particolare, a Musorgskij, scriveva “all’europea”. Non si può negare che l’autore della Dama di Picche e dell’Eugenio Oneghin si riallacci a quella grande temperie culturale, dall’idolatrato Mozart all’opera italiana, ai romantici tedeschi, alla nuova scuola francese. Tuttavia non è poi così provocatoria l’affermazione di Igor Stravinskij, che lo definì ”il più russo di tutti i musicisti del mio paese”, riferendosi probabilmente alla presenza in molte composizioni del maestro da lui tanto amato di temi desunti dalla tradizione popolare o liturgica nazionale, pur stemperati in una sensibilità occidentale. E proprio questa sera ne abbiamo avuto conferma.
Tipicamente russo è il carattere della Prima sinfonia, Sogni d’inverno, un’opera giovanile dalla genesi tormentata, ancora percorsa da un certo eclettismo, ma già largamente espressione della forte personalità dell’autore. Il tema principale del primo movimento è, ad esempio, una semplice canzone russa come del resto il secondo tema; ma anche l’ultimo tempo evoca il clima e la musica di una festa popolare. La Seconda sinfonia, come indica anche il sottotitolo, è addirittura considerata la più russa delle sinfonie čajkovskiane, essendo basata in gran parte su canti del folklore ucraino.
L’interpretazione di Diego Matheuz, assecondato da un’orchestra duttile e precisa in tutte le sue sezioni, non ha certamente indugiato in sospiri e languori tardo romantici. Anzi è risultata diffusamente improntata ad una lettura piuttosto oggettiva, talora energicamente appassionata e illuminata da una solarità, che francamente rischiava di snaturare il carattere di certe pagine, che avrebbero richiesto, a nostro avviso, un’interpretazione più nuancée, più meditativa e lirica, meno affermativa, per così dire, in senso beethoveniano. Un’eccessiva stringatezza del gesto direttoriale ha segnato il movimento iniziale della Prima sinfonia, certamente eseguito con nitidezza e pulizia di suono, ma sovreccitato da un giovanilismo che contrastava con il clima del brano indicato dal sottotitolo: Sogni di un viaggio d’inverno. Per quanto riguarda il movimento successivo, ugualmente ispirato a stilemi della tradizione russa (sottotitolato:Terra desolata, terra di nebbia), il clima incantato che lo pervade è stato ben evocato dall’intervento degli archi, con cui si apre e si chiude, e inoltre dal canto struggente dell’oboe e del fagotto, ripreso poi dai violoncelli fino all’esplosione dei corni. Ma poi nel terzo è mancato il tono grazioso che si sente in altre esecuzioni meno concitate o sbrigative. Ottimamente resi i passaggi contrappuntistici dell’ultimo movimento, caratterizzato nell’Andante lugubre dal registro grave degli archi e dei legni; come il clima di festa del successivo Andante maestoso, annunciato sonoramente dalla grancassa ed evocato poi dagli ottoni.
Intonata dal corno con giusto accento l’accorata melodia (corrispondente alla canzone ucraina “Lungo la madre Volga”) con cui si apre la Seconda sinfonia Piccola Russia, degnamente seguita dall’Allegro vivo ritmicamente marcato, che ne è lo sviluppo. Ben evidenziato anche il carattere surreale della marcia nuziale, che costituisce il secondo movimento. Ma i movimenti successivi hanno qua e là risentito della già rilevata stringatezza nei tempi e nell’espressione, imposta dal direttore. Da menzionare tuttavia il Trio nel terzo; così come i giochi ritmici e timbrici del mirabolante l’ultimo movimento, aperto da una breve fanfara di tono trionfale, che può far ricordare l’Ouverture 1812, e concluso da un gran finale teso e contrastato. Successo di pubblico per il maestro venezuelano (che ha, praticamente, diretto a memoria limitandosi a voltare le pagine della partitura sul leggio) e per l’impeccabile orchestra.