Bologna, Teatro Comunale:”L’Olimpiade”

Bologna, Teatro Comunale, Evento speciale
“L’OLIMPIADE”
Dramma musicale in tre atti di Pietro Metastasio
Musica di Josef Mysliveček 
(Edizione a cura di Marco Beghelli)
Megacle PERVIN CHAKAR
Clistene YASUSHI WATANABE
Aristea ERIKA TANAKA
Argene MARIA TERESA LEVA
Licida TATIA JIBLADZE
Alcandro SALTAN AKHMETOVA
Aminta PASQUALE SCIRCOLI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Oliver von Dohànyi
Regia Ludek Golàt
Scene Stefano Iannetta
Costumi Daniela Gilli
Luci Daniele Naldi
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 25 novembre 2012 

Il Teatro Comunale di Bologna non è nuovo alla pratica di impiegare il proprio coro, la propria orchestra, il proprio personale tecnico per organizzare spettacoli che poi fa di tutto per evitare di pubblicizzare. Ricordo ancora una eccellente rappresentazione di qualche anno fa del (brutto) musical-opera Jackie O con una sala praticamente vuota. Ma di rado si è assistito in un teatro importante a una desolazione quale quella che ha accolto L’Olimpiade di Mysliveček organizzata dalla Scuola dell’Opera. Credo che nella rappresentazione cui ho assistito il pubblico non arrivasse alle 60 persone, principalmente amici e parenti dei cantanti, mimi e ballerini coinvolti e musicologi (né – mi dicono – c’è stato più pubblico per la prima rappresentazione). Questo non per un particolare odio dei bolognesi verso il “Divino Boemo” o l’opera settecentesca, ma perché semplicemente pochissimi erano a conoscenza dell’evento. Perfino il sito del Teatro Comunale non ne faceva menzione fino ad una settimana prima e non si sono mai nemmeno presi la briga di riportarvi il cast. Se questo modo di operare sia un uso oculato dei fondi pubblici, è una questione che lascio risolvere al lettore.
Purtroppo bisogna riconoscere che i tanti assenti non si sono persi gran cosa. Le arie di quest’opera, andata in scena per la prima volta il 4 novembre 1778 al San Carlo di Napoli e già ripresa a Praga nel 2005, sono tutte ben scritte e gradevoli e possono fare una buona figura in recital (ricordiamo ad esempio l’innocua “Più non si trovano” proposta da Magdalena Kožená). Ma, nel suo complesso, non si può fare a meno di notare come quest’opera sia un perfetto esempio di quella degenerazione virtuosistica fine a sé stessa contro cui si batterono Gluck, Traetta, Jommelli e Mozart. Ogni numero dell’opera, se non è un’aria brillante in quattro quarti con le colorature e i tipici bassi ribattuti, è un elegante minuetto. Tutto è all’insegna della brillantezza (e del modo maggiore). Quanto era stato profetico fin dal lontano 1723 Pierfrancesco Tosi nel deplorare la rapida scomparsa del “patetico” nell’opera! Giova citare il passo delle Opinioni de’ cantori antichi e moderni nella sua interezza:
Giacchè ci sono tanti Compositori moderni (tra’ quali più d’ un ve n’ ha di mente eguale, e forse più aperta di quelle de’ migliori Antichi) per qual ragione, con qual motivo escludono sempre dalle rare invenzioni de’ loro bellissimi pensieri il sospirato Adagio? Che delitto può mai commettere il suo flemmatico temperamento? Se non può galoppare coll’Arie che corrono la posta, perchè non lasciarlo con quelle, che han bisogno di riposo, o almen almeno con una sola, che pietosa assista un infelice Eroe, allor che deve piagnere, e morire in Teatro? Signor nò, la gran Moda vuol che pianga, e crepi cantando presto, e allegramente. Ma chè! L’ ira del gusto moderno non si placa col sacrificio solo del Patetico, e dell’ Adagio amici indivisibilissimi, ma passa tant’ oltre, che se le Arie non hanno la terza maggiore sono anch’esse per confederazione proscritte. Si può sentir di peggio?”
Ed in effetti, più di 50 anni dopo, gli eroi di Mysliveček piangono e minacciano di crepare gorgheggiando lietamente come usignoli sotto l’effetto di stupefacenti. Basta confrontare l’incomprensibile allegria con cui il Boemo affronta il lacrimevolissimo duetto di Megacle e Aristea “Ne’ giorni tuoi felici” con l’intensità sublime dell’impareggiabile versione di Pergolesi (1735) (il duetto nacque con altre parole come duetto fra Guglielmo e l’eremita Arsenio nel dramma sacro San Guglielmo, ma non per questo è meno appropriato nell’Olimpiade).
Non mancano però alcuni momenti di pregnanza drammatica: la furiosa aria “Che non mi disse un dì” di Argene, in modo minore (anch’essa incisa dalla Kožená), la tenera “Non so donde viene” di Clistene e il grande recitativo obbligato di Megacle “Misero me, che veggo?” seguito dall’aria “Se cerca, se dice”, che, se non proprio commovente, è almeno piuttosto “sperimentale” nella sua struttura insolitamente libera.
La produzione della Scuola dell’Opera non è stata certamente in grado di riscattare le debolezze di quest’opera. In vista di una collaborazione con Praga (sfumata a causa della solita crisi economica), sono stati chiamati dalla Repubblica Ceca il direttore d’orchestra Oliver von Dohnànyi (della famosa famiglia del compositore e pianista Erno e del direttore Christoph), che, senza essere uno specialista del repertorio, ha diretto la performance con piacevole brio, e il regista Ludek Golàt, che ha confezionato uno spettacolo raffazzonato, noioso e brutto da vedere (ben coadiuvato in questo dalle scene di Stefano Iannetta e dai costumi di Patrizia Gilli), con pochissime idee ma tutte stupide e non pertinenti (comparse e cantanti che fanno jogging, una giostra di cavalli, marionette che aprono il sipario facendo a botte come Fagiolino e Sganapino…).
I giovani cantanti (due soli dei quali italiani) hanno fatto il possibile per cavarsela nella scrittura virtuosistica del Boemo, senza fare particolari disastri (se si eccettuano gli scempi di vocali e consonanti italiane del soprano giapponese nei panni di Aristea e del mezzosoprano georgiano nei panni di Licida e gli acuti maldestri – taluni dei quali peraltro aggiunti solo per farsi del male – del tenore Pasquale Scircoli) ma senza nemmeno avere i mezzi vocali o interpretativi per aggiungere alcunché. Si può segnalare però il piacevole sopranino Pervin Chakar, dai notevoli mezzi tecnici, che come Megacle era piuttosto fuori ruolo per le dimensioni tutt’altro che eroiche della figura e della voce (perfettamente proiettata e sonora ma molto piccola nel timbro) e che ha fatto notevoli macelli di memoria con le parole, ma che sicuramente può farsi molto onore in altri ruoli, tipo Oscar nel Ballo in maschera o Blondchen nel Ratto dal serraglio. P.V.Montanari