Torino, Auditorium “Giovanni Agnelli”, I Concerti del Lingotto 2012-2013
Orchestra “Accademia Bizantina”
Direttore al cembalo Ottavio Dantone
Violino Viktoria Mullova
Johann Sebastian Bach: Concerto per violino e archi in la minore BWV 1041; Concerto per violino, cembalo e archi in do minore (trascrizione di Ottavio Dantone del Concerto per due cembali BWV 1060); Concerto per violino e archi in re maggiore (trascrizione di Ottavio Dantone del Concerto per cembalo BWV 1053); Concerto per violino e archi in mi maggiore BWV 1042.
Torino, 26 novembre 2012
Ottavio Dantone e Viktoria Mullova hanno offerto al pubblico torinese una serata interamente bachiana, con quattro concerti per violino e archi (secondo la stesura originale di Bach, il primo e il quarto; trascrizioni dello stesso Dantone, gli altri due). Il complesso dell’Accademia Bizantina – tredici strumentisti tra violini, viole, violoncelli e violone – era disposto a semicerchio, al centro dell’enorme palcoscenico dell’Auditorium del Lingotto, e nel mezzo erano il maestro, al cembalo, e la violinista. Grazie a tale disposizione “a teatro” il suono complessivo dell’orchestra giungeva particolarmente morbido e omogeneo, mentre il violino solista appena si stagliava sul resto degli archi, con un effetto di grande coesione sonora; al contrario, erano rari (specie durante l’esecuzione dei primi due concerti) i momenti in cui si distinguesse nettamente il suono del cembalo, ovattato dagli archi tutti attorno; anche perché gli strumentisti erano in piedi (tranne i due violoncelli, e ovviamente il direttore seduto alla tastiera). Viktoria Mullova, molto amata dal pubblico torinese e assidua frequentatrice sia dei Concerti del Lingotto sia delle stagioni dell’OSN RAI, si è presentata in elegante abito lungo color prugna, attillato e affusolato, imbracciando lo Stradivari Julius Falk del 1723; ma lo charme di questa interprete non ha nulla di estetizzante, né insiste sulle agilità; anzi, è sempre giocato sulla sobrietà, del gesto come delle sonorità delle singole frasi. Il suo discorso musicale non è suddiviso in momenti ordinari e sezioni virtuosistiche, in cui trionfi l’abilità tecnica. Del resto, considerata l’esperienza esecutiva di concerti come quelli di Mendelssohn, Bruch, Shostakovich, Bartok, ci si poteva attendere che la Mullova declinasse il testo bachiano con quella tecnica che dà dignità espressiva a ciascuna frase, a ciascun suono. Il singolo concerto si configurava dunque nella sua unicità di complesso armonico e simmetrico, appena distinto da movimenti e indicazioni ritmiche.
Le trascrizioni di Dantone sembrano tese a differenziare i volumi sonori e a calibrare l’importanza dei vari archi, al punto che il violino solista diviene sì il protagonista della nuova partitura, ma non indiscusso: esso è piuttosto un primus inter pares della compagine degli strumenti a corda. Uno dei brani più felici nelle dinamiche sonore della trascrizione è stato il II movimento (Adagio) del Concerto BWV 1060, poiché il basso continuo è offerto dal cembalo, gli archi tutt’intorno sono impegnati in un continuo pizzicato, e il violino solista della Mullova può abbandonarsi alla modulazione, fluidissima e piana, di una musica orizzontale che sembra non finire mai nella sua ritornante perfezione di pacato moto perpetuo. Grazie al ridotto volume sonoro degli altri strumenti, anche le percussioni del cembalo in questa pagina di esatta calibratura si distinguono nitidamente. Ed è opportuno insistere sulla questione del suono, perché esso può costituire un problema in uno spazio immenso come l’Auditorium del Lingotto, certamente non progettato in primis per l’esecuzione di musica barocca; ma appunto in quanto fine, piccolo, perlaceo, tale suono sprigiona un fascino musicale singolare, che ha incantato il pubblico della grande sala sinfonica.
Nella seconda parte della serata, con i concerti BWV 1053 e 1042, tutto sembra mutare sensibilmente, a cominciare dal violino: lo Stradivari dalle sonorità chiare e trasparenti è sostituito da un Guadagnini dal timbro più brunito e più caldo. E poi cambiano, perché si accentuano, i rapporti di forte e di piano nella parte solistica (in particolare nel bellissimo Allegro del Concerto BWV 1053, grazie alla curata trascrizione di Dantone), in cui la Mullova continua a dar prova di una straordinaria bravura tecnica; è simpatica e convincente perfino nel modo in cui sa correggere immediatamente una piccolissima failure nel finale del terzo concerto: come se un gesto di insignificante scompostezza fosse subito riparato dalla movenza di una superba leonessa.
Le grandi acclamazioni di chiusura hanno indotto i due protagonisti della serata a rendere omaggio al pubblico con un bis di gusto decisamente bachiano, ma di confezione mediterranea: il I tempo di una sonata per violino e basso continuo di Domenico Scarlatti, che ha ulteriormente acceso l’entusiasmo dei presenti. Tutti hanno avuto modo di apprezzare la bellezza misurata, quasi trattenuta, dei suoni del violino e dell’intera Accademia Bizantina; e il virtuosismo della Mullova, mai appariscente in quanto celato dall’abilità tecnica profusa su ogni nota, con il suo effetto di apparente semplicità pareva confermare una delle più suggestive e antiche convinzioni: che la vera arte è quella capace di nascondere se stessa.