La Callas arrivò a Roma nel dicembre del 1969 per vedere le prove dei primi negativi. Rimase sgomenta nel vedere quante sequenze, in cui appariva e che pensava stupende, fossero finite sul pavimento della sala di montaggio. Troppo spesso, le sembrava, l’inquadratura le metteva in rilievo il naso; e i primi piani non erano troppo lusinghieri per i suoi quarantasei anni. Ma non disse nulla, tanto era riverente dell’arte di Pasolini e disposta a fidarsi di lui.[…] In qualche modo, almeno all’inizio, il film non fu un successo commerciale. Venne subito etichettato come qualcosa per cineforum o cinema d’essai; gli scenari che evocano dipinti del primo Rinascimento e i costumi ispirati a un consapevole pastiche apparirono a molti critici troppo decorativi, «troppo estetici». Il settimanale «Gente» definì Pasolini «ambiguo e cerebrale»; «Panorama» scrisse che la violenza di Callas ricordava «quella di Malcolm X»; al recensore di «Rinascita» venivano alla memoria «le sanguinarie epiche feudali di Kurosawa». Ma più che a uno stile di regia giapponese (Pasolini parlava con ammirazione di Mizoguchi, e non di Kurosawa), Medea era un tributo a quello di un europeo: l’eroe della giovinezza di Pasolini, il grande regista danese Carl Dreyer, morto l’anno prima di Medea. La sua stilizzata narrativa è qui presente a tutto diritto, così come il suo espressionismo visivo, come l’interesse per la mente conscia e inconscia. E, come il Dreyer dalla lunga e tempestosa carriera, Pasolini era noto per essere «difficile» nella sua attenzione per il particolare e per l’atmosfera, e per essere «poco redditizio». In retrospettiva, è anche strano che Pasolini venisse accusato (da molti) di «decadenza» lo stesso anno in cui Visconti girava La caduta degli Dei, con Helmut Berger nei panni di un travestito. Al regista milanese Pasolini indirizzò una delle sue «lettere aperte», sotto forma di recensione, nel «Caos» del 22 novembre 1969, offrendo consigli non richiesti da regista a regista:Il tuo film cade nella seconda parte: dal momento in cui per una strada buia, appena illuminata da un’aurora atroce, lampeggia opaco il faro di una motocicletta (che è un momento sublime, come direbbe un po’ fatuamente un ragazzo dei «Cahiers» e come dico, sul serio, io). Da quel momento la tua ispirazione è venuta meno: la strage è fatta «cinematograficamente», senza mistero […]. Mentre i critici accettavano l’«estetismo» di Visconti come necessario ad una storia sui decadenti nazisti, Medea veniva accusata di imporre una fin troppo raffinata sensibilità moderna su un passato antico. Anni prima un critico aveva scritto che Pasolini aveva «letto tutto» e non aveva «dimenticato nulla»; sembrava ora averne la dimostrazione. In marzo Rossellini organizzò una proiezione del film in Argentina, al festival di Mar del Plata. Pasolini aveva quarantotto anni; «ci sono dei vecchietti allegri», faceva osservare, «io sarò uno di quelli». Venne fotografato in compagnia di Callas all’aeroporto di Roma: un primo piano dei due mentre si baciano sulle labbra. Quotidiani e settimanali annunciarono il loro imminente fidanzamento ufficiale. L’intera produzione di Medea aveva a volte assunto le sembianze di un circo degli organi d’informazione. In Turchia, un inviato aveva cercato di introdursi nella camera d’albergo di Maria Callas; arrampicatosi su un cornicione esterno, venne poi scoperto mentre pendeva disperatamente a mezz’aria. A Roma, la giornalista Adele Cambria aveva talmente assediato la diva per ottenere un’intervista, che Callas cercò per ingannarla di farsi sostituire da Stancioff. La Rai, l’americana Nbc, i settimanali «Time» e «Look» inviarono i propri reporter per avere un servizio sul debutto cinematografico della grande Callas. La BBC girò un’intervista sul set, tre minuti in tutto, trasmessi il 18 giugno 1969 nel programma «Omnibus». Nessuno voleva mancare le succose notizie dell’insolita partnership Callas-Pasolini. Pier Paolo trascorse il Natale e il Capodanno del 1971 in compagnia di Callas, Moravia e la Maraini, in un viaggio che li portò a Dakar, Abidjan e Bamako, in Mali. Alcune foto mostrano la soprano come la più normale delle turiste benestanti, completa di cappello locale di paglia. Laura Betti prese tutto seriamente: «Ero gelosissima. Avrebbe dovuto farmi un grosso, grosso regalo; proprio come un marito, qualcosa che gli costasse molti soldi». L’attenzione dedicata dalla stampa di massa alla «storia» non conosceva soste. I nemici di Pasolini gracchiarono. I cabaret satirici della capitale (protagonisti di un revival sull’onda del ‘68) non persero la ghiotta occasione; quegli artisti e intellettuali – Pasolini tra di loro – che si erano messi alla luce dei riflettori e avevano brandito il microfono, dovevano ora prendere qualche bastonata. […] Medea aprì a Milano nel dicembre 1969; un mese dopo, il 28 gennaio 1970, si tenne una prima di gran gala all’Opéra di Parigi, con la partecipazione di una folta rappresentanza del beau monde: l’Aga Khan, Maurice Chevalier, la moglie dell’ambasciatore degli Stati Uniti, vari Rotschild e ambasciatori di undici paesi. Ma nessun Onassis. I fotografi immortalarono Pasolini in smoking, seduto con Susanna e Callas
in abito da sera, di fianco all’amica della «divina» che faceva gli onori di casa: Mme Pompidou, moglie del presidente francese. Tra Callas e Pasolini non c’era né più né meno che una giocosa reciprocità di sentimenti. Il loro rapporto era cominciato in modo platonico e sarebbe rimasto tale durante la lavorazione del film e durante i diversi anni in cui continuarono a frequentarsi. Callas capiva quali fossero i limiti, eppure sembrava intenzionata a oltrepassarli. Pare che Pasolini le avesse detto che, a parte la madre, era l’unica donna che avesse mai amato. […] Nell’aprile del 1970 Garzanti pubblicò la sceneggiatura di Medea, assieme al trattamento di Pasolini, a un’intervista con Callas e a una manciata di poesie «scritte durante la lavorazione». Queste ultime sono datate marzo-settembre 1969; alcune, come A un’ora e cinquanta da New York, partecipano della sua più profonda vena autobiografica: […] tutto è dovuto al non essere stato abbandonato da bambino dai miei genitori nel deserto. Altre – poesie in prosa – evocano gli esterni del film in Turchia: Se volete proprio saperlo Cézanne ha dipinto i giocatori di carte nell’osteria di un benzinaio, tra Kayseri e Adana. Quattro per ogni tavolino, mangiano grandi terrine di riso e ceci. E c’erano naturalmente composizioni per lei. Sul set Pier Paolo le aveva regalato un anello, un’antica moneta bronzea montata m argento: da una parte i profili consumati di un uomo e di una donna, dall’altra un guerriero vittorioso. La poesia dedicatale suggerisce quasi pruriginosamente un amore eterosessuale; il poeta scriveva che Callas era entrata nella sua vita […] portando teco quell’odor d’oltretomba, canti arie composte da Verdi e divenute rosse del sangue la cui esperienza (che non ne pronuncia la parola) insegna la dolcezza, la vera dolcezza. La sua era un’attenzione di cui Maria aveva in quel momento bisogno. Non molto tempo dopo che Onassis aveva paragonato i suoi talenti a un «uccello che le era morto» in gola, Pasolini scriveva che la soprano era «uccellino con potente voce d’aquila / […] aquila tremante». Aveva capito che uno degli amori insostituibili della vita di Callas era stato per il padre, e usò quell’immagine di Giorgio Kalogeropoulos per spiegare che non poteva amarla come avrebbe voluto: ciò che conta è lui, il Padre, sì, lui: lo dice uno che non Io conosce non ne sa nulla, non lo ha mai visto, non gli ha mai parlato, non l’ha mai ascoltato, non l’ha mai amato, non sa chi è, non sa se c’è –Tu sorridendo a me sorridi a lui! La situazione si colorava di un leggero imbarazzo, con lei che voleva più di quanto lui potesse darle: io fingo di ricevere; ti ringrazio, sinceramente grato; Ma il debole sorriso sfuggente non è di timidezza; è lo sgomento, più terribile, ben più terribile di avere un corpo separato, nel regno dell’essere – se è una colpa se non è che un incidente: ma al posto dell’Altro per me c’è un vuoto nel cosmo un vuoto nel cosmo e da là tu canti. La loro amicizia sopravvisse, superando le ideologie. Callas smise di fargli la predica sull’appartenenza al Partito comunista, cosa che ufficialmente non corrispondeva a verità. Una volta completato il film, rimase a Roma, uscendo spesso a pranzo con Pasolini, magari all’«Escargot» sull’Appia Antica, uno dei ristoranti che preferiva. A un inviato di «Le Monde», Pier Paolo disse che Callas aveva letto qualcuna delle poesie che la riguardavano su «Nuovi Argomenti»: «Si è un po’ risentita; non sa se essere contenta o scontenta di quello che scrivo di lei. E questo ha provocato un conflitto in lei, di cui non parliamo molto». […] Nell’estate del 1970 Pasolini raggiunse Callas a Tragonisi, un’isola dell’Egeo di proprietà di Perry Emiricos, grande amante della musica ed erede di una delle più grosse fortune della marina commerciale greca. Dapprima Pier Paolo aveva declinato l’invito, adducendo che la propria posizione politica e i propri gusti gli impedivano di accettare; venne tuttavia convinto. Il gruppo di vacanzieri si componeva, oltre a Callas e alla sua assistente Stancioff, di un ex partner di Onassis dai vecchi tempi del commercio di balene, di sua moglie – e di Pasolini: un gruppo insolito davvero. Forse la conversazione finì sulle curiose lussuosità dello yacht «Cristina», il cui bar era dotato di sgabelli ricoperti con l’epidermide scrotale di balene adulte. Nessuno avrebbe dovuto sorprendersi più di tanto di trovarlo in tale compagnia; in Frammento alla morte – datato aprile 1960, quasi esattamente dieci anni prima, aveva scritto: Sono stato razionale e sono stato irrazionale: fino in fondo. Mentre discorreva con Callas sulla spiaggia, Pasolini le fece alcuni disegni, continuando la serie di ritratti che aveva iniziato l’anno prima durante la lavorazione di Medea. Piegato un foglio in quadranti, disegnò su ognuno di essi il profilo dell’attrice, usando colla trasparente e colori da petali. Nadia Stancioff ricorda di averlo sentito esclamare: «Questo è fare arte. Ora deve asciugare al sole per ventiquattr’ore. Ne farò tre soltanto, e uno sarà per te». […] Un foglio senza data – ma attribuito alla serie di disegni del 1969-70 – ripete l’astratta immagine di un profilo, o di una montagna, tratteggiata appena dalla sinistra in basso alla destra in alto in ognuno dei sedici quadranti della superficie piegata. È un’immagine ripetitiva, automatica. In calce al foglio, Pasolini scrisse: «Il mondo non mi vuole più e non lo sa». […] Tra il 1969 e il 1971 Pasolini fece in tutto quattordici disegni di Callas: un primo gruppo a Cervignano del Friuli, e cinque in Grecia. In Italia lavorava sul tavolo da pranzo, combinando il vino, rosso o bianco, che era a portata di mano, frammenti di cera dalle candele, petali schiacciati. Sulla spiaggia prese i materiali che vi trovava, estraendo da essi la propria alchimia. (Fine)