Novara, Teatro Coccia – Stagione lirica 2012-2013
“IL MATRIMONIO SEGRETO”
Opera buffa in due atti su libretto di Giovanni Bertati
Musica di Domenico Cimarosa
Carolina STEFANIA BONFADELLI
Geronimo BRUNO PRATICÒ
Paolino EDGARDO ROCHA
Elisetta MARIA COSTANZA NOCENTINI
Fidalma IRENE MOLINARI
Il conte Robinson FILIPPO FONTANA
Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore Carlo Goldstein
Regia Marco Castoldi, in arte Morgan
Scene Patrizia Bocconi
Costumi Giuseppe Magistro
Luci Marcello Jazzetti
Produzione Fondazione Teatro Coccia di Novara – Nuovo allestimento
Novara, 7 ottobre 2012
Recarsi a Novara per Il matrimonio segreto fa rivivere suggestioni degne d’altri tempi, se è vero che un appassionato come Stendhal vide una rappresentazione dell’opera di Cimarosa proprio in quella città nel 1809, sulla via di ritorno per Parigi. Del resto, se anche si trattasse soltanto di un aneddoto, sarebbe davvero ben trovato; quale altro melodramma di fine Settecento potrebbe meglio rappresentare il congedo dal mondo italiano? E quale potrebbe alternare in maniera più commovente episodi comici ad altri di crisi, di angoscia, di disperazione di anime amanti? Appunto sulla compresenza del comico e del serio si è basato il nuovo allestimento proposto dal Teatro Coccia, tra l’altro con il debutto alla regia operistica dell’artista Marco Castoldi, in arte Morgan (volto assai conosciuto dal pubblico televisivo, forse un po’ meno dai frequentatori del melodramma). Lo spettacolo è stato di alto livello, molto curato e di felice riuscita sia nella parte più propriamente musicale sia in quella registica. In particolare il direttore, Carlo Goldstein, ha guidato orchestra e cantanti con grande padronanza della partitura; e l’Orchestra Filarmonica Italiana ha presentato al pubblico i frutti di uno studio preciso e serrato: felice l’idea di evidenziare il ruolo dei fiati fin dall’ouverture, e poi nei pezzi d’insieme drammaticamente più importanti. Goldstein si è rivelato molto equilibrato anche nel lasciare ai cantanti il giusto spazio, di volta in volta imponendo il ritmo orchestrale oppure accompagnando i virtuosismi richiesti agli interpreti. Forse, in un teatro così piccolo come il Coccia, le sonorità dell’orchestra avrebbero potuto essere modulate anche sulle mezze tinte e sull’attenuazione dei volumi; il direttore ha invece preferito offrire una lettura di tutta evidenza, per certi aspetti “didascalica”, da cui ogni pagina dell’opera riuscisse perfettamente chiara. Anche nello stacco dei tempi, Goldstein non ha mai ecceduto né in velocità né in lentezza; e si sono ascoltati alcuni momenti di buon brio, indispensabili in qualunque opera buffa.
La compagine vocale era composta da artisti molto amati dal pubblico internazionale, in particolare Stefania Bonfadelli e Bruno Praticò. Ma va detto subito che tutti i cantanti della locandina erano perfettamente a loro agio nei rispettivi ruoli, e hanno senz’altro conseguito risultati apprezzabili, nella costante coniugazione di canto e arte attoriale. La voce della Bonfadelli ha molti caratteri positivi: ampia, vibrante, dotata di armonici; e alla bellezza si unisce una grande musicalità. Ma soprattutto essa risuona “in avanti”, sicura e bene appoggiata. Uniti alla bravura scenica, i mezzi vocali della Bonfadelli hanno confezionato una Carolina perfettamente adeguata, efficace soprattutto nei momenti elegiaci e di disperazione. Anche Maria Costanza Nocentini ha una voce molto bella, e correttamente impostata; grazie alla diversità nel colore rispetto a quella della Bonfadelli, essa risaltava ancora meglio nei vivaci dialoghi e nei duettini dei soprani. Forse in taluni passaggi di agilità qualche tratto della coloratura di Elisetta è stato un poco semplificato, ma nel complesso la Nocentini ha offerto una prova più che buona. Giudizio positivo anche per la Fidalma di Irene Molinari, dalla voce più leggera rispetto alle precedenti. Sul fronte maschile si contrapponevano alte tre voci interessanti: Bruno Praticò ha interpretato Geronimo con scaltrita esperienza – originando l’immediata simpatia del pubblico – ma soprattutto con grande rispetto per tutti i dati musicali. Anziché aggiungere ingredienti comici, che in un’opera buffa si possono comunque apprezzare (se di buon gusto), l’artista ha preferito fare emergere l’innata comicità del personaggio o con l’espressività vocale o con una gestualità muta (abilissimo nel mimare i movimenti labiali degli altri cantanti per fingere la sordità di Geronimo). Edgardo Rocha è tenore di grande eleganza e correttezza vocale; la sua prestazione è stata in crescendo nel corso dell’opera, perché dopo un avvio leggermente freddo nel I atto è giunto all’aria del II pienamente padrone dei suoi mezzi. Filippo Fontana è stato un ottimo conte Robinson sulla scena, sebbene la sua voce di baritono chiaro, dalle risonanze tenorili, non sia propriamente adeguata alle richieste della partitura: per questo il cantante, e non per difetti di tecnica vocale, ha dovuto ricorrere a volte ad inflessioni di parlato. Ma la prestazione complessiva di Fontana introduce alla congiunzione di canto e di recitazione, che ha contraddistinto la recita; e questo si deve certamente al regista. Morgan, al secolo Castoldi, ha allestito uno spettacolo vivace, coerente nell’impostazione dall’inizio alla fine, rispettoso del libretto e della musica. Oggi è raro che un regista resista alla tentazione di avviare i movimenti scenici durante la sinfonia; Morgan, al contrario, ha avuto l’umiltà di lasciare la musica in primo piano, con il sipario chiuso per tutto il tempo dell’ouverture (non ha invece resistito alla tentazione di comparire personalmente all’interno dell’esecuzione musicale, enunciando parte del recitativo di Fidalma nella terza scena del II atto, dal palco di proscenio; ma con garbo discreto, senza interpolare nulla).
La scena si è aperta con un’impalcatura di scale in simmetria sullo sfondo in ombra (la componente elegiaca dell’opera), mentre nel primo piano illuminato trovavano spazio pochi oggetti scenici funzionali all’interlocuzione dei personaggi (poltrone variopinte, un mobile bar). Unitamente alla gestualità dei personaggi (minuziosa per Praticò; sempre nervosa e scossa da esasperanti tic e scatti per Fontana) vanno menzionati i costumi di Giuseppe Magistro, di rara funzionalità e coerenza. Se Fidalma, il conte, Elisetta erano accomunati da un sobrio motivo a scacchi, Paolino, Carolina e Geronimo si distinguevano per il nero; abiti moderni, s’intende, ma con qualche svolazzo settecentesco quale Leitmotiv (sbuffi alle camicie, merletti ai polsini). Su tutti erano imposte trionfanti parrucche di color perlaceo, venate di tinte sgargianti; a ognuno la sua, più o meno vaporosa, con treccia o codino, a seconda del personaggio: un modo semplice ed efficace di riassumere il Settecento, che ricorda il capitolo d’apertura dei Cento anni di Rovani, appunto dedicato alle forme più stravaganti di parrucca da esibire a teatro. Del resto, ci si poteva attendere che un regista come Morgan curasse in particolare, con meticolosa estrosità, le pettinature dei suoi interpreti …Foto Finotti © Teatro Coccia di Novara