Milano, Teatro alla Scala: “Raymonda”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione di Balletto 2011/2012
“RAYMONDA”
Balletto in tre atti (quattro scene)
Libretto di Lidia Pashkova e Marius Petipa basato su una leggenda medievale
Coreografia Marius Petipa (1898)
Ricostruzione della coreografia e messa in scena Sergej Vikharev
Musica Aleksandr Glazunov
Raymonda, contessa de Doris PETRA CONTI
Cavaliere Jean de Brienne, fidanzato di Raymonda ERIS NEZHA
Abdérâhman, cavaliere saraceno ANDREA VOLPINTESTA
Henriette, amica di Raymonda ALESSANDRA VASSALLO
Clémence, amica di Raymonda SOFIA ROSOLINI
Béranger, troubadour d’Aquitania CHRISTIAN FAGETTI
Bernard de Ventodour, troubadour Provenzale MARCO AGOSTINO
Contessa Sybille, canonichessa, zia di Raymonda SABINA GALASSO
Andrea II, re d’Ungheria LUIGI SARUGGIA
La Dama Bianca, protettrice della stirpe dei de Doris SARA BARBIERI
Siniscalco, che governa il castello dei de Doris GIUSEPPE CONTE
Ufficiale Verlé MATTHEW ENDICOTT
Soliste (Atto I, secondo quadro) VITTORIA VALERIO, VIRNA TOPPI
Danza saracena (Atto II) STEFANIA BALLONE, FEDERICO FRESI
Danza spagnola EMANUELA MONTANARI, FABIO SAGLIBENE
Mazurka (Atto III) BEATRICE CARBONE, RICCARDO MASSIMI
Palotás LARA MONTANARO, MICK ZENI
Solista Pas classique hongrois (Atto III) DENISE GAZZO
Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala
Orchestra del Teatro Alla Scala
Direttore Alexander Titov
Scene originali Orest Allegri, Pëtr Lambin, Konstantin Ivanov (1898)
ricreate da Elena Kinkulskaya e Boris Kaminsky
Costumi originali di Ivan Vsevoložskij (1898)
ricreati da Irene Monti
Luci Marco Filibeck
Ricerche storiche d’archivio e coordinamento Pavel Gershenzon
Milano, 5 ottobre 2012, recita pomeridiana
Il Teatro alla Scala riprende come ultimo spettacolo della Stagione di Balletto 2011/2012 l’ormai celebre ricostruzione di Raymonda curata da Sergej Vikharev, che prosegue così la fortuna serie di ricostruzioni coreografiche iniziata nel 1999 con La bella addormentata nel bosco di Marius Petipa per il Teatro Kirov-Mariinskij. Il Massimo milanese ha così fatto entrare nel proprio repertorio un titolo paradigmatico per un Corpo di Ballo, basato questa volta su una ricostruzione molto attesa da appassionati e stampa mondiale, che non tardò l’anno trascorso a suscitare reazioni divergenti: o lodata incondizionatamente o variamente censurata in merito al metodo utilizzato e agli esiti artistici ritenuti obsoleti per il pubblico odierno. Diremo subito che a noi questo spettacolo è piaciuto molto: quantomeno, ciò che può risultare estraneo ad uno spettacolo odierno o allo spirito di una danza che ormai si distanzia dal balletto romantico, non ha minimamente intaccato la buona fruizione e la riuscita della messa in scena. Partiamo da ciò che esula dalla danza. È una grande tela dipinta che funge da sipario, rappresentante una classica scena cavalleresca, ad introdurre lo spettatore sulla scena: il nome dei due teatri che videro la nascita e la ripresa dello spettacolo – il Teatro Mariinsky, dove nel 1898 venne rappresentata per la prima volta Raymonda su musiche di Aleksandr Glazunov e coreografia di Marius Petipa, e il Teatro alla Scala – viene riportato in basso alla tela, a sancirne un legame ideale. Le scene create da Orest Allegri, Pëtr Lambin, Konstantin Ivanov vengono ricostruite da Elena Kinkulskaya e Boris Kaminsky mentre i costumi di Ivan Vsevoložskij vengono affidati alla cura di Irene Monti. L’intero allestimento è ovviamente permeato da un’estetica liberty, con tutti i pregi i difetti: risultano senz’altro improbabili (e non solo oggi) parrucche e fondali dipinti, soprattutto laddove viene recuperata la pantomima – come nelle prime scene de La fête de Raymonde, il primo quadro del balletto – ma non si può rimanere colpiti dalla bellezza di altri quadri. Ci riferiamo soprattutto a Visions, vero e proprio tableau vivant, dove il medioevo fittizio e zuccheroso viene messo da parte a favore di un’estetica molto più genuina: possiamo riscoprire una grande cura per la simbologia – i fiori, nello specifico la rosa, così cara alle poetiche al limitare del ‘900, già anticipata dall’entrée di Raymonda al quadro precedente – e la danza, giacché l’intera coreografia vuole comprendere tutti gradi di un Corpo di Ballo. E qui veniamo alla parte strettamente coreutica. La partitura viene recuperata da Vikharev attraverso i manoscritti redatti da Nikolaj Sergeev secondo il metodo ideato da Vladimir Ivanovič Stepanov, ballerino del Teatro Mariinskij che mise a punto un particolare sistema di trascrizione della danza ispirato alla notazione musicale; càpita che, per certi numeri, questa coreografia coincida con quella revisionata da Konstantin Sergeev per il Kirov-Mariinskij nel 1948. Diversi sono i fattori che sembrerebbero rincanalare il balletto in un’ottica drammaturgica, più di tutti il ruolo pantomimico del Saraceno Abdérâhman, affidato in origine a Pavel Gerdt, già cinquantaquattrenne all’epoca della creazione del personaggio. È però interessante notare che il topos del “nemico esotico”, del straniero o, più semplicemente, del cattivo permette di inquadrare ancora meglio la contrapposizione tra un modo di danzare “vecchio” (il Saraceno è l’unico solista che con la sua pantomima retorica e tronfia “sporca” il Grand adagio dell’atto secondo, un numero che, nella sua perfetta armonia e nelle arcate impalpabili, ricorda già la danza astratta del ‘900) e uno nuovo, quello di Jean De Brienne, la cui unica variazione viene qui collocata all’ultimo atto, quello epurato dalla presenza del “nemico”. Quindi, non solo una contrapposizione tra amore sacro e profano, lecito e illecito, a livello puramente narrativo, ma ben oltre, una vera e propria contrapposizione estetica. Il ruolo di Raymonda, che fu concepito per Pierina Legnani, parte del grande repertorio onerosissima per tecnica e varietà di stili richiesti, alla nostra recita è stato interpretato da Petra Conti, prima ballerina del Teatro alla Scala. Da subito emergono la bellezza di linee, port de bras e aplomb; non altrettanto positiva la prova strettamente par terre, non troppo rifinita nel lavoro di punta e, cosa più importante considerato il titolo, in musicalità. Un’esibizione complessivamente in fieri e che non potrà che migliorare mediante ulteriori riprese. Al suo fianco, Eris Nezha, anch’egli Primo Ballerino di recente nomina, è stato un convincente Jean De Brienne. Da segnalare le prove fornite da Vittoria Valerio (Henriette e solista nel secondo quadro del primo atto), Virna Toppi (Solista nel secondo quadro del primo atto) e Claudio Coviello, solista nella Danse pour quatre danseurs. Molto buono il risultato conseguito dal Corpo di Ballo nel rutilante susseguirsi di numeri di complessissima esecuzione – con l’unica eccezione, a voler essere pignoli, del Grand pas Espagnol– e dai bravi allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala. L’aspetto strettamente musicale è stato affidato alla bacchetta di Alexander Titov, a capo dell’Orchestra del Teatro alla Scala: un esito complessivamente positivo benché non privo di certi clangori. Tantissimi gli applausi a coronare una bella serata di danza. Foto Brescia e Amisano © Teatro alla Scala.