Venezia, Teatro Malibran:”L’Occasione fa il ladro”

Venezia, Teatro Malibran, Atelier Malibran, Stagione Lirica del Teatro La Fenice, 2012
“L’OCCASIONE FA IL LADRO”
Burletta per musica in un atto, libretto di Luigi Prividali dalla commedia Le pretendu par hasard di Eugene Scribe.
Musica di Gioachino Rossini
Don Eusebio ENRICO IVIGLIA
Berenice IRINA DUBROVSKAYA
Conte Alberto  GIORGIO MISSERI
Don Parmenione OMAR MONTANARI
Ernestina PAOLA GARDINA
Martino GIOVANNI ROMEO
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Stefano Rabaglia
Regia Elisabetta Brusa
Maestro al fortepiano Alberto Boischio
Scene e costumi a cura  del Laboratorio Accademia di Belle Arti di Venezia
Scene Alberto Galeazzo
Costumi Laura Palumbo
Luci  Andrea Sanson
Costruzioni Sara Martinelli 
direzione laboratorio scene direzione laboratorio costumi direzione laboratorio luci
Giuseppe Ranchetti, Giovanna,  Fiorentini Fabio,  Barettin
Venezia, 12 ottobre 2012
Quarta delle cinque farse composte dal ventenne Rossini per il Teatro Giustiniani in San Moisè tra il 1810 e il 1813, L’occasione fa il ladro costituisce il secondo appuntamento del progetto “Atelier della Fenice al Teatro Malibran”, con cui la Fondazione veneziana ha inteso assegnare al Malibran la funzione di centro di produzione sperimentale, coinvolgendo tutti i principali istituti veneziani di formazione artistica:  la Facoltà di Design e Arti dello IUAV, il Conservatorio Benedetto Marcello, Ca’ Foscari,  l’Accademia di Belle Arti. Il progetto, partito nel febbraio 2012 con l’Inganno felice, sotto l’occhio vigile del nume tutelare Bepi Morassi, prevede, dopo L’Occasione fa il ladro, La Cambiale di matrimonio, La Scala di seta e Il Signor Bruschino. Si tratta di un’iniziativa meritoria sotto molti punti di vista, che cerca di smuovere nuove energie nel tentativo di rianimare il non sempre esaltante panorama degli allestimenti lirico-teatrali contemporanei.
In effetti lo spettacolo cui abbiamo assistito presentava alcuni aspetti interessanti, coniugando l’apporto multimediale a soluzioni più o meno sperimentali, tra cui quella di allargare lo spazio scenico a tutto il teatro. Così nel foyer campeggiavano due enormi valigie, di cui una aperta e straripante di scartoffie varie. Inoltre dal lato della platea sottostante al proscenio dei mimi in costumi d’epoca immaginari, stilizzati e rigorosamente bianchi (come peraltro anche quelli dell’intero cast), guardavano con ostentato stupore verso la galleria recando in mano a turno una grande lanterna.
Durante la breve (ma deliziosa) Sinfonia, che sfocia nella tempestosa Introduzione, un video mostrava la mano del grande pesarese nell’atto di scrivere una lettera all’impresario del San Moisè per … l’Occasione appunto, mentre il temporale veniva reso con effetti realizzati, ancora da mimi, direttamente sulla scena: dalla macchina del vento alla lamiera per il tuono, a un lungo ondeggiante velo bianco (il mare in burrasca). Altri video sono stati proiettati nel cambio tra la terza e la quarta scena (il girar  pagina della partitura) e nel finale (ancora la lettera che viene suggellata dalla firma del Maestro). Le scene, piuttosto tradizionali seppur stilizzate, mostravano tenui colori pastello e, largamente, il bianco. Di quest’ultimo colore erano anche gli inamidati costumi e le oblunghe rigide acconciature degli interpreti principali.
Il cast è apparso veramente adeguato a questa “burletta”: voci fresche e buona tecnica vocale. La direzione, invece, ci è sembrata per la verità un po’ seriosa, priva di quella dose di verve richiesta dal lavoro del giovane Rossini, anche a causa di tempi generalmente troppo riposati. Tornando ai cantanti, Omar Montanari (Don Parmenione), una bella voce baritonale dal timbro brillante alla Bruscantini, si è messo in luce fin dal duetto del primo atto (“Frema in cielo il nembo irato”), insieme al valente Giovanni Romeo nei panni del servo Martino: una situazione scenica che ricorda da vicino la cena di Don Giovanni nell’ultimo quadro del capolavoro mozartiano. Analogamente in “Quel gentil, quel vago oggetto” (spacciandosi per il Conte agli occhi di Ernestina, falsa Marchesa) si è rivelato preciso nel sillabato finale, assecondato da una Paola Gardina dalla voce  corposa, agile ed estesa. Ragguardevole tenore di grazia, Giorgio Misseri nei panni del Conte Alberto, ha fatto sentire una voce chiara e omogenea, oltre che potente negli acuti come ne “Il tuo rigore insano”, al suo apparire sulla scena, e nel successivo  dialogo con Don Parmenione e Martino, culminante in un dongiovannesco inno a Bacco e al sesso femminino, che dovrebbe risuonare pieno di temperamento, e invece è risultato (complice il direttore) un po’ spento (così dicasi, a questo proposito, per il dialogo tra Don Parmenione e Martino dopo l’uscita di scena del Conte e l’avvenuto scambio dei bagagli, dove non era proprio incontenibile l’allegria per la partenza alla ricerca della fanciulla del ritratto trovato nella valigia sbagliata).  Le doti vocali del Misseri si sono confermate pienamente nella scena in cui incontra Berenice travestita da serva (“Se non m’inganna il core”), un delicato duettino, che si avvale di un accompagnamento minimalista (come avverrà spesso anche in Bellini) e, in modo strepitoso, nella successiva aria “Voi dunque in mio danno-D’ogni più sacro impegno”, tra l’altro preceduta da una nobile introduzione orchestrale, che la dice lunga su quanto il ventenne Rossini superasse compositori ben più famosi all’epoca, per inventiva e uso sapiente dell’orchestra.
Straordinaria la Berenice di Irina Dubrovskaya, che si presenta con l’ombrellino (ovviamente bianco come il vestito) anch’ella dopo uno splendido interludio orchestrale. Con bella voce chiara, appena vibrata e dagli  acuti sfavillanti, ha affrontato con giusto accento e padronanza tecnica l’aria “Vicino è il momento” (poco prima di scambiare la propria identità con quella di Ernestina) e poi  con pari autorevolezza “Se l’intrigo mi sciogliete”, “Deh, non tradirmi, amore”, Io non soffro quest’oltraggio”  e altre pagine. Nel salotto della Marchesa giunge spossato dal viaggio anche il servo Martino, che per la voce e il gesto di Giovanni Romeo,  ha interpretato egregiamente l’aria piuttosto faticosa in cui, nuovo Leporello, delinea il ritratto, ancora una volta dongiovannesco, del padrone. Spigliato l’ Eusebio di Enrico Iviglia. Particolarmente affiatati gli interpreti nei pezzi d’insieme (e questo è certamente  un merito anche del direttore) come nell’irresistibile “Di tanto equivoco, di tal disordine” , dove finalmente si è colta un po’ di verve. Scroscianti applausi hanno salutato, alla fine, interpreti, direttore e responsabili dello spettacolo.