Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2012
“LA BATTAGLIA DI LEGNANO”
Tragedia lirica in quattro atti su libretto di Salvadore Cammarano dal dramma La bataille de Toulouse (1828) di Françoise Joseph Méry
Musica di Giuseppe Verdi
Federico Barbarossa WILLIAM CORRÒ
Rolando, duce milanese GEZIM MYSHKETA
Lida, sua moglie AURELIA FLORIAN
Arrigo, guerriero veronese ALEJANDRO ROY
Marcovaldo, prigioniero alemanno VALERIU CARADJA
Imelda, ancella di Lida ERIKA BERETTI
Primo Console di Milano WILLIAM CORRÒ
Secondo Console di Milano EMANUELE CORDARO
Il Podestà di Como EMANUELE CORDARO
Un araldo COSIMO VASSALLO
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Boris Brott
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Movimenti scenici Roberto Maria Pizzuto
Luci Vincenzo Raponi
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 9 ottobre 2012
Ci ha provato anche Parma, addirittura col Festival Verdi, ma La battaglia di Legnano di Giuseppe Verdi sembra ancora una volta non trovare una produzione che giustifichi la ripresa di questo titolo. Pier Luigi Pizzi viene chiamato a firmare l’intero allestimento, offrendo la solita variazione su tema, sicché per l’intera durata dello spettacolo si è oppressi da un costante senso di déjà vu. A fugare da subito ogni dubbio, Arrigo compare in scena e canta O magnanima e prima completamente immobile al proscenio. Occorre riconoscere la bellezza innegabile di certi quadri. L’arrivo di Lida, ad esempio, viene giocato su quelle che saranno le costanti dell’intera scenografia: muri di mattoni a vista che, scomposti, daranno vita ai diversi ambienti e pannelli bianchi fiocamente illuminati in controluce, in modo da far intendere allo spettatore solo la silhouette di alcune scene, perlopiù pantomimiche, o oggetti di scena. Manca un lavoro sistematico sulle masse che vengono gestite in modo goffo o fiaccamente; ancora di più, in un lavoro in cui i personaggi vengono tratteggiati in modo così esile, si avverte la mancanza di un disegno registico sui solisti, disegno che non va oltre una Lida la cui condizione viene sottolineata dal solo colore dei costumi (prima bianco, poi viola e infine nero) e che rimane con la testa inclinata per la durata di un intero atto. Belli, ma semplici nei tagli e nelle scelte cromatiche, i costumi e suggestive le luci di Vincenzo Raponi.
A seguito del forfait di Andrea Battistoni a pochi giorni dall’inizio della produzione, viene chiamato Boris Brott, sul podio già alla recente ripresa triestina del titolo, che a capo della Filarmonica Arturo Toscanini, offre una prova di semplice correttezza. Se apprezzabili sono apparsi alcuni momenti lirici e una buona considerazione delle ragioni del canto, passione e impeto vengono però messi in secondo piano: il tutto sembra conformarsi alla blandizia dell’impianto registico. Eccellente, invece, la prova del Coro del Teatro Regio guidato da Martino Faggiani, senz’altro fra le migliori fornite negli ultimi anni. E col Coro, le note positive (l’unica…) si esauriscono. L’anno scorso, sempre in occasione del Festival Verdi, venne promosso un progetto che prevedeva l’impiego –a posteriori rivelatosi maldestro e utilizzato a sproposito- di alcuni giovani artisti, sconosciuti o quasi, all’interno delle produzioni del Teatro Regio. Anche questo progetto sembra finito. Ora la produzione “giovane” viene affidata ad artisti che, ad esclusione del soprano Florian, si stanno affermando o già si sono affermati sulle scene italiane ed estere. Alejandro Roy veste i panni di Arrigo. Da subito colpisce il registro centrale che offre risonanze ampie e ben proiettate. Di contro, i frequenti portamenti comportano una certa innaturalezza nel fraseggio mentre la zona acuta risulta piccola e schiacciata. Gezim Myshketa (Rolando) ha dalla sua un bel colore vocale e un modo di porgere piuttosto elegante; molto problematica invece è la zona di passaggio che non trova sfogo. William Corrò si trova qui in ruolo completamente inadatto alla sua natura per peso e colore: oltretutto, fra i solisti, è quello più inficiato dalla regia che vede Federico Barbarossa non come il temibile imperatore ma come un personaggio uscito dallo Studio 54, con tanto di tunica di lustrini, capelli ossigenati e impomatati. Meglio nella parte del Primo Console di Milano. Il soprano Aurelia Florian, Lida, viene eletta dal pubblico presente (o meglio, da una “parte” di pubblico che la osanna con tanto di lancio di fiori mentre l’altra “parte” si guarda perplessa o applaude mestamente) come la migliore della serata. La voce è senz’altro interessante, di tempra lirica, senza particolari attrattive timbriche. Resta una tecnica molto deficitaria, soprattutto nella zona grave che suona sorda e negli acuti che non girano (emblematico il “puntare sui piedi” durante l’esecuzione della cabaletta). Sempre alla cabaletta viene abbozzato qualche tentativo di stemperare il suono, suoni che purtroppo appaiono fragili e stimbrati alla preghiera. Del successo, comunque tiepido e cortese, della produzione abbiamo in parte già riferito; qualche vuoto di troppo, sia in platea che nei palchi, per una serata di Festival. Foto Roberto Ricci Teatro Regio di Parma.