Concordia sulla Secchia (Modena), spazio antistante al Teatro del Popolo
“Spira Mirabilis” e Beethoven
Orchestra “Spira Mirabilis”
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 5 in Do minore
Concordia sulla Secchia, 7 settembre 2012
Probabilmente sono ancora in troppi ad ignorare che l’innovazione musicale in Europa passa da un piccolo paese a pochi kilometri da Modena, Formigine, dove da 5 anni i migliori giovani strumentisti europei (attivi anche in orchestre come la Chamber Orchestra of Europe, la Mozart, la Mahler…) si riuniscono periodicamente per partecipare al progetto Spira mirabilis, una piccola rivoluzione nel mondo della musica “colta”, una concreta speranza per la sopravvivenza della tradizione musicale occidentale, che, absit inuria verbis, pare spesso in prognosi riservata.
Quando, quattro anni fa, scrivevo queste cose sul quotidiano L’Informazione (ora defunto), forse potevo passare per un originale o semplicemente per il solito giornalista che abusa di aggettivi sensazionali. Ora gli stessi concetti cominciano ad essere espressi anche dalla BBC o dal Guardian… I tanti italiani – perfino i tanti emiliani! – che ancora non conoscono questo progetto non hanno, comunque, tutti i torti. A pubblicizzare Spira mirabilis, infatti, non c’è nessuna potente casa discografica e, anzi, i partecipanti al progetto sono molto scettici riguardo all’eventualità di realizzare incisioni discografiche, le quali sono d’altronde fra i principali responsabili delle distorsioni dell’ascolto che l’ensemble vuole combattere. Poiché nessuno legge le recensioni (e soprattutto le mie), il foltissimo e sempre crescente pubblico dei concerti della Spira si basa sul passaparola. Sono pochi ad ascoltare un solo concerto della Spira: chi li ascolta torna e torna portando gli amici.
Andiamo per ordine. Ci sono tante possibili definizioni per la Spira ma un buon riassunto potrebbe essere questo: alcune personalità eccellenti tra i giovani musicisti europei si sono resi conto che le attuali condizioni di lavoro e di performance delle orchestre rischiano facilmente di alienare dalla musica sia gli esecutori (cui viene richiesto di lasciare il pensiero al direttore di turno, e spesso sono anche fin troppo contenti di farlo) sia gli ascoltatori (generalmente privi di un’istruzione musicale, a cui vengono ammanniti intramontabili capolavori con la solennità e il mistero di una messa cattolica). Hanno deciso perciò di ritrovarsi per approfondire insieme un solo lavoro sinfonico per volta, senza direttore, armati di rigore filologico, perfezione strumentale, passione e tempi di prova più lunghi di quelli che le grandi orchestre si possono permettere. Al termine della settimana di studio, propongono i risultati della ricerca ad un pubblico spesso un po’ diverso da quello della routinaria vita concertistica, con il quale sono felici di dialogare su questioni che vanno dalla filosofia estetica ai dettagli della strumentazione, della filologia musicale, ecc….
Ormai la Spira, pur rispettando le condizioni ideali del progetto e mantenendosi quindi ai bordi dello show business classico, è un ensemble richiesto anche in Gran Bretagna, Francia e Germania. Ma per toccare con mano la piccola rivoluzione in atto non si può fare cosa migliore che recarsi a Formigine, dove i ragazzi sono stati adottati come figli semidivini da tutto il paese e dove la locale polisportiva (e presto l’auditorium, costruito – di questi tempi! – sull’onda del fenomeno Spira straborda di un pubblico entusiasta, sia che in programma ci sia Beethoven o Mendelssohn, Haydn, Schubert, sia che ci sia Bartók o Tomasi.
Si vedano i punti cardinali del progetto. Chi vede il canale televisivo franco-tedesco ARTE può avere l’occasione di approfondire ulteriormente la conoscenza con questo ensemble attraverso il documentario La Spira, girato l’anno scorso dal francese Gérald Caillat, vincitore come miglior film nella sezione “educational” al Festival Internazionale del Film d’Arte di Montreal 2012. Si tratta di una visione appassionante, illuminante e oltre modo piacevole, forte anche della fotogenia dei giovani musicisti.
Oltre al rapporto innovativo con il pubblico, ciò che colpisce generalmente i commentatori è l’assenza di un direttore d’orchestra, figura carismatica sorta insieme alla rivoluzione industriale ottocentesca, assai cara al pubblico e alla stampa, i quali, ignorando il più delle volte in che cosa consista effettivamente questo mestiere, sfogano magari i propri istinti masochisti nell’immaginarsi in lui una presenza magnetica in grado di sollevare, possibilmente con il solo gesto o lo sguardo, una materia vile come gli orchestrali alle altezze sublimi del suo pensiero. Gli orchestrali di Spira mirabilis, materia tutt’altro che vile e che generalmente vanta una preparazione culturale a tutto tondo, non rifiutano la figura del direttore da un punto di vista ideologico (e riconoscono il debito verso tanti illustri Maestri quali ad esempio Abbado o Harnoncourt), ma vogliono esplorare una via diversa, rendendo ai musicisti un ruolo più consapevole nell’esecuzione, trasportando il principio “democratico” di un quartetto d’archi a tutta l’orchestra. Come si intuisce, non si tratta di un percorso pratico. Alcuni forse si immaginano che senza direttore sia difficile andare a tempo, ma questo è vero solo per gruppi amatoriali. (E’ molto più difficile andare a tempo con un direttore scadente!) Il vero vantaggio che porta un direttore d’orchestra è la sua volontà unificatrice, maturata (possibilmente!) in mesi di studio solitario, che è in grado di ridurre drasticamente i tempi di prova.
Gli Spira arrivano a questa volontà unica per una strada più lunga e tortuosa, fatta di giorni di prove e discussioni collettive, ma i risultati sono palpabili. Le letture che propongono sono – sia su strumenti moderni che su strumenti “antichi” – rigorose, innovative e straordinariamente personali. Spira infatti ha ormai un suo distintissimo carattere che deriva dalla consapevolezza di ogni strumentista dell’intera partitura. Nulla è lasciato senza un perché e le esecuzioni respirano e vivono di un palpabile dialogo teatrale fra gli strumenti, rifuggendo ugualmente dalla meccanicità e dalle superflue gigionerie. In nessun autore si può sentire l’impronta della Spira come nello scrittura classica-romantica di Beethoven, che porta la conversazione strumentale raffinata e giocosa di Haydn a punte parossistiche di isteria, sarcasmo o lirismo. E nessuna sinfonia più della Quinta mostra la distanza che passa tra la loro esecuzione, fresca, ardente e asciutta e le umide pesantezze di una tradizione tardoromantica che ancora molti direttori si sentono in dovere di ripetere spesso in quest’opera.
Lo spazio in cui la Spira ha scelto di “debuttare” in questa partitura (prima di altre repliche nella “casa” di Formigine e quindi in Germania e Belgio) è di per sé significativo: il piccolo paese di Concordia sulla Secchia, fra Modena e Mantova, per metà crollato o reso inagibile nel recente terremoto, davanti al Teatro del Popolo gravemente lesionato, dove è stata sistemata una sorta di camera acustica di plexiglass prestata della banda locale. Il concerto in uno dei comuni più colpiti dal sisma dello scorso 29 maggio – spiega il comunicato stampa – “è per scrollarci di dosso la presunta eccezionalità di tutto questo. Esserci tutti in prima persona di modo che ciò che accada sia l’intera Quinta di Beethoven (non solo i primi famosi 8 secondi) e che il suo dipanarsi sia inno ad una nuova, virtuosa normalità in cui si costruiscano velocemente scuole e sale da concerto, in cui dopo una disgrazia si riparta -anche- dal teatro cittadino ed in cui si faccia tutto questo semplicemente perché è giusto, e questo ha un valore in sé e per sé”. La piccola folla assiepata nello spiazzo fra il Teatro e l’alto argine erboso del Fiume Secchia è del genere che applaude fra i movimenti, con grande orrore del frequentatore di concerti e con grande piacere dei musicisti, lieti di portare Beethoven a chi forse un’intera sinfonia dal vivo non l’ha mai ascoltata e felici di fare a meno delle ritualità imposte dalla museificazione novecentesca della “musica classica”. Eppure raramente si può sentire un grado così alto di attenzione in una “normale” sala da concerto come nei concerti della Spira. L’entusiasmo del pubblico raggiunge le stelle durante il bis: il secondo movimento, eseguito (a memoria) con i musicisti sparsi in mezzo al pubblico, che si trovano coinvolti in quel gioco di sguardi fra gli strumentisti che rende immediatamente palpabile ed intenso il gioco di strumentazione, di ritmo, di contrappunto scritto da Beethoven.
Con questa partitura Spira conclude il ciclo delle sinfonie beethoveniane, che d’altronde rivisita periodicamente per nuovi approfondimenti (talora con strumenti originali). Manca la Nona, che offre naturalmente complicazioni logistiche maggiori. Ma sarebbe un sogno vedere questo spirito applicato anche al coro e ai solisti vocali.
Il prossimo appuntamento è il 9 ottobre a Formigine con la Settima Sinfonia di Dvořák. (vedi sito di Spira). Se qualcuno dei venticinque lettori di questo articolo si sarà convinto che un concerto della Spira mirabilis è un occasione in qualche modo storica che, anche senza signore ingioiellate e costosi biglietti d’ingresso, vale bene un pellegrinaggio in questo paesino del modenese, crederò di essermi reso in qualche modo utile alla musica. P.V.Montanari