Arena Sferisterio, Macerata Opera Festival 2012
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica dal romanzo Scènes de la vie de Bohème di Henri Murger
Musica di Giacomo Puccini
Mimì CARMEN GIANNATTASIO
Musetta SERENA GAMBERONI
Rodolfo FRANCESCO MELI
Marcello DAMIANO SALERNO
Colline ANDREA CONCETTI
Schaunard ANDREA PORTA
Benoît ANTONIO STRAGAPERDE
Alcindoro LUCIO MAUTI
Parpignol ALESSANDRO PUCCI
Sergente dei doganieri ROBERTO GATTEI
Doganiere GIOVANNI PACI
Un venditore GIOVANNI DI DEO
Fondazione Orchestra Regionale delle Marche
Coro “Vincenzo Bellini”
Coro di voci bianche Pueri Cantores “D.Zamberletti”
Banda “Salvadei” Città di Macerata
Ensemble di Teatro Fisico Balletto Civile
Direttore Paolo Arrivabeni
Maestro del Coro David Crescenzi
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Movimenti coreografici Michela Lucenti
Luci Alessandro Verazzi
Macerata, 23 luglio 2012
Potremmo citare il meraviglioso libro di Lawrence Ferlinghetti “Parigi, 1968: L’amore nei giorni della rabbia” per poter presentare il secondo allestimento del Macerata Opera Festival con “La Bohème” di G.Puccini. Un allestimento questo si dice alquanto discusso e contestato (e poi da chi?), ma che è stato in verità la vera rivelazione di quest’anno per freschezza di idee e non solo. Intorno ai personaggi di Mimì e Rodolfo tutto si muove continuamente, mentre le febbrili passioni e le manifestazioni di piazza cambiano tutto e nulla. L’eternità sembra essere rappresentata solo da una fresca e lunare soffitta, una luce sicura tra ponti infiniti, tra passaggi di forma e di essenza. Tra i labirinti delle apparenze. Parigi è la vera protagonista della scena, il Quartiere latino con un caffè Momus che si trasforma in una discoteca con cubi zebrati su cui si esibisce il Coro in un ballo di gruppo durante i festeggiamenti natalizi, la barriera d’Enfer all’occasione trasformata nelle Fonderie d’Enfer con la lunga cancellata reticolata presidiata da picchetti di scioperanti, e nel finale la soffitta tra i tetti di Parigi ormai svuotata dei colori e dei disincanti diventa una stanza di ospedale con tanto di medici, infermieri nell’atto di assistere la povera Mimì morente a causa proprio delle esalazioni tossiche della fonderia. Su questa scena sporadici dissensi del pubblico hanno tentato di farsi largo tra i fragorosi applausi. E’ chiaro che ci troviamo molto spesso di fronte ad una forzatura del libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa ed in diversi punti è più che evidente, ma che importa? L’allestimento è sempre credibile, coerente con se stesso e non offusca mai la vicenda.
Le scene di Federica Parolini sono assolutamente di grande impatto visivo, lo sfondo perfetto alla regia di Leo Muscato che ha saputo lavorare con i cantanti/attori come nella più alta tradizione di prosa. I costumi di Silvia Aymonino sono coloratissimi: materiali e stile in pieno “Hippy style” ma con un gusto tutto squisitamente francese. I movimenti coreografici di Michela Lucenti affidati all’Ensemble di teatro fisico Balletto Civile e le luci di Alessandro Verazzi hanno poi creato la cornice perfetta a questa macchina assolutamente travolgente. All’altezza dell’allestimento anche la parte musicale e vocale con punte di vera eccellenza.
Paolo Arrivabeni che dirigeva la Fondazione Orchestra Regionale delle Marche ha dominato a dovere gli interventi delle diverse sezioni orchestrali risultando in sintonia con un palcoscenico spesso assai movimentato e nel contempo nei momenti più intimi ha saputo evidenziare la preziosa tavolozza orchestrale di questo capolavoro.
Carmen Giannattasio è stata una Mimì che ha brillato per virtù vocali ed espressive. Il giovane soprano campano è stata ineccepibile nell’applicare con attenzione i segni d’espressione che Puccini ha profuso a larghe mani in tutta la parte, così come, sul piano vocale ha saputo sfoggiare soavi pianissimi e suoni pieni in una linea di canto sempre omogenea.
Al suo fianco, Francesco Meli debuttava nel ruolo di Rodolfo e lo faceva con determinazione, energia. Parliamo di un tenore dalla voce ricca di colori e che sa gestire sempre con gusto e una riconosciuta abilità tecnica gli ha permesso di plasmare il ruolo e di piegarlo alle sue caratteristiche vocali. Il peso vocale non sarebbe quello ideale per per un Rodolfo veramente completo, ma la brillantezza del registro acuto, l’intonazione sicura e un fraseeggio sempre ben articolato gli hanno regalato una larga fetta del successo della serata. Serena Gamberoni dalla vocalità morbida, corposa e omogenea, ci ha offerto una Musetta squisatamente lontana da certi stereotopi di “soubrette” collegati a questo ruolo. Assolutamente in parte il baritono Damiano Salerno, un Marcello dalla voce naturalmente bella e sempre elegantemente espressiva. Un Colline di lusso quello di Andrea Concetti, che quest’anno compie proprio con questo stesso ruolo i suoi vent’anni di carriera. Ha eseguito il celebre “inciso” della zimarra con accenti commoventi e una inappuntabile linea di canto. Validi Alessandro Pucci (Parpignol), Antonio Stragapede (Benoit) e Lucio Mauti (Alcindoro) ed a questi Roberto Gattei (Sergente dei doganieri), Gianni Paci (doganiere), Giovanni Di Deo (Venditore). Assolutamente divertente il Coro Lirico “V.Bellini” preparato da David Crescenzi che ha saputo con ironia ed entusiasmo, senza però turbare la resa vocale, piegarsi alle vivaci scelte registiche. Un pubblico veramente entusiasta che ha regalato applausi e consensi con generosità e travolgente trasporto come da tempo non si vedeva allo Sferisterio. Foto Tabocchini