Cagliari, Teatro Lirico, Stagione Lirca 2012
“DON QUICHOTTE”
comédie héroïque in cinque atti
libretto Henri Cain, dal dramma in versi Le chévalier de la longue figure di Jacques Le Lorrain e dal romanzo El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes.
Musica di Jules Massenet
Dulcinée ANITA RACHVELISHVILI / VIKTORIA VIZIN
Don Quichotte ORLIN ANASTASSOV / ARUTJUN KOTCHINIAN
Sancho NICOLA ALAIMO / PAOLO RUMETZ
Pedro MARINA BUCCIARELLI
Garcias ESTHER ANDALORO
Rodriguez NICOLA PAMIO
Juan DANIELE ZANFARDINO
Servi CRISTIANO BARROVECCHIO, GIAMPAOLO LEDDA
Il capo dei banditi SIMEONE LATINI
Banditi CRISTIANO BARROVECCHIO, ALESSANDRO FRABOTTA, GIAMPAOLO LEDDA, ALESSANDRO PERUCCA
Orchestra e Coro del Teatro Lirico
Direttore Daniel Cohen
Maestro del Coro Marco Faelli
Regia Federico Tiezzi
Scene Pier Paolo Bisleri
Costumi Giovanna Buzzi
Luci Giovanni Pollini
Coreografia Virgilio Sieni, ripresa da Chelo Zoppi
Allestimento del Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Prima esecuzione in Sardegna
Cagliari, 26 e 27 aprile 2012
Non è facile poter godere delle bellezze della stessa opera, rappresentata con due compagnie differenti di cantanti, almeno fra i protagonisti, in due serate consecutive. Parliamo dello splendido, irreale e sognante Don Quichotte di Jules Massenet, comédie héroique, come la definisce l’autore, in cinque atti, allestita dal Teatro Lirico di Cagliari. Il regista Federico Tiezzi introduce al primo atto dell’opera con una scena scarna che richiama l’ormai vecchia ed usata idea del teatro nel teatro: la scenografia di Pier Paolo Bislieri è ideata con una serie di pedane da coro da oratorio parrocchiale in proscenio, con due assi di legno verticali agli angoli, sovrastate da una orizzontale, rivestite di nastri e nastrini, che vorrebbero dare luogo ad un palcoscenico all’aperto da “fiera di paese”. Il tutto viene proposto con luci di scena completamente, e forse, troppo dominanti, come in una delle tante prove di palcoscenico, senza una ricerca, almeno apparente, di colori ed effetti. La bella Dulcinea viene calata dall’alto mentre canta e si dondola su di una grande altalena che ci richiama alla mente le scene delle parodie d’opera televisive degli anni ’60/70 del celeberrimo Quartetto Cetra.
Il Coro, con toni di Bizetiana memoria della Carmen, e direi anche, di qualche zarzuela spagnola, di cui sicuramente Massenet era attento conoscitore, vorrebbe accedere in scena con la gioia, lo slancio e la sorridente serenità, tipica dei popolani dei piccoli paesi spagnoli, di “gente umile in festa”. Abbiamo visto entrare in scena, invece, un coro poco convinto e distratto, non attento a curare nel dettaglio il suo “particolare e fondamentale” ruolo dell’insieme, dando spesso la parvenza di una superficiale partecipazione di ogni singolo artista alla scena teatrale.
Per altro, musicalmente e vocalmente, il Coro ha dato prova di altissimo spessore esecutivo, omogeneo, mai aggressivo, con toni e sfumature di altissimo lirismo e nitidezza vocale, caratteristiche un po’ mancanti negli ultimi lustri, e ricomparse grazie anche alla recente nomina a Direttore del Coro di Marco Faelli, già direttore del Coro del Teatro Regio di Parma e dell’Arena di Verona.
Già nel secondo atto, la regia, le scenografie utilizzate e la coreografia si sono fatte sempre più convincenti e finalmente hanno trovato consenso ed applausi nella scena “dell’eroica battaglia” contro i mulini a vento, semplice ma efficace negli effetti, per proseguire nel terzo, presso il covo dei banditi, fino al quarto e quinto atto. Ci è parsa un po’ troppo scarna o almeno fuori luogo l’idea di far morire il protagonista davanti ad un garage chiuso, anziché in un bosco, come voluto dagli autori, ambiente ricco di piccoli rumori, di sorprese, di interrogativi e magie, di occulto ed universale ricerca. La scena che ci è stata offerta, invece, sembrava attinta da un film americano degli anni trenta, scevra da qualunque possibilità di incidere sull’immaginario dello spettatore con i giusti toni che potessero accompagnare l’uscita dalla vita del personaggio Don Quichotte. La desolazione e la solitudine profonda che accompagna fino alla morte Don Quichotte, interrotta soltanto dal presente ed emozionante amore del fedele Sancho, viene resa efficacemente ed in maniera eccelsa solo grazie alla musica del grande Massenet.
In generale, è parso che la regia non sempre abbia curato i particolari di tutti gli interpreti, come si farebbe ormai in un set televisivo e cinematografico. E, se diamo ormai fondamentale rilevanza alle scelte registiche, dando al Titolo il nome del regista ( La Traviata di Zeffirelli, ad esempio) allora è necessario che tutti i dettagli siano in ordine, nessuno trascurato.
L’Orchestra del Teatro Lirico, diretta Daniel Cohen, ci è parsa in ottima forma, anzi, a dirla tutta, anche un po’ troppo! Spesso venivano troppo esaltati i volumi, non favorendo certamente la vocalità dei cantanti. Questo era l’effetto per chi ascoltava in platea. Probabilmente questa esuberanza sonora la si può anche collegare a una collocazione dell’organico troppo in alto rispetto al livello del palcoscenico. Un piccolo aggiustamento dell’altezza del golfo mistico non avrebbe guastato. Il M° Cohen, nonostante la giovane età, ha dato prova di grande maturità artistica, chiarezza e precisione. La lettura attenta ed incisiva ci ha fatto godere delle sfumature più elevate della musica di Massenet. Si sono ascoltati momenti di alto lirismo e di grande emozione che hanno suscitato applausi a scena aperta in entrambi gli spettacoli.
La protagonista in assoluto, comunque, si è rivelata il mezzosoprano Anita Rachvelishvili. Grande interprete dalla voce bella, calda e duttile, ricca di colori e sfumature, suadente nel fraseggio e convincente nelle scelte tecniche ed interpretative. Disinvolta e persuasiva nelle movenze, ha dato al pubblico una testimonianza di bel canto, estrinsecando una personalità di generoso ed alto spessore artistico. Il mezzosoprano Viktoria Vizin, l’altra bella Dulcinea, ha dato prova di essere una valente artista, scenicamente a suo agio, ma con qualche problema nella zona medio acuta della voce, non sempre rigorosamente controllata nell’uso corretto del canto ben appoggiato, rivelando qualche perdita di controllo dell’intonazione. Ha comunque regalare al pubblico momenti intensi ed emozionanti.
Orlin Anastassov, il Don Quichotte del primo cast, non ci è parso sempre all’altezza della situazione, probabilmente per il fatto che la voce non sembrava in perfetta forma. L’artista ha saputo, comunque, destreggiarsi nell’impervia tessitura vocale di Massenet, risolvendo le difficoltà sempre con buoni esiti, dando prova di una solida professionalità. Assai più convincente il protagonista del secondo cast, Arutjun Kotchinian, che ha sfoggiato una voce calda e sognante, sommessamente malinconica, struggente e rassegnata, dai toni pacati, mai esagerati, in sintonia perfetta con l’idea interpretativa del personaggio, nel quale si perfettamente e totalmente immedesimato. Come Sancho abbiamo ascoltato Nicola Alaimo e Paolo Rumetz. Entrambi hanno evidenziato una sicura professionalità e maturità esecutiva. Prova positiva anche per Marina Bucciarelli (Pedro), Esther Andaloro ( Garcia), Nicola Pamio ( Rodriguez) e Daniele Zanfardino (Juan). Valido l’apporto di Simeone Latini (il capo dei banditi) e di Gianpaolo Ledda, Cristiano Barrovecchio, Alessando Frabotta e Alessandro Perucca ( i Banditi). Per tutti vi sono stati applausi e consensi a scena aperta.