Salerno, Teatro Verdi, Stagione Lirica 2012
“ROBERT LE DIABLE”
Opera su libretto di Eugène Scribe e Casimir Delavigne, dalla leggenda medioevale di Roberto il diavolo.
Musica di Giacomo Meyerbeer
Robert BRYAN HYMEL
Raimbaut MARTIAL DEFONTAINE
Alice CARMEN GIANNATTASIO
Isabelle PATRIZIA CIOFI
Bertran ALASTAIR MILES
Alberti CARLO STRIULI
Un Chevalier ANGELO NARDINOCCHI
Un heraut – le maitre de cerimonie FRANCESCO PITTARI
Un Chevalier PAOLO GLORIANTE
Une dame d’honneur ELENA MEMOLI
Orchestra Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi
Coro del Teatro dell’Opera di Salerno
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Luigi Petrozziello
Esecuzione in forma di concerto
Salerno, 23 maggio 2012
Robert le Diable di Giacomo Meyerbeer, libretto di Eugène Scribe e Casimir Delvigne, in scena mercoledì 23 maggio, al Teatro Giuseppe Verdi di Salerno, in un allestimento in forma di concerto, si preannuncia interessante già ‘sulla carta’. Colpisce immediatamente, infatti, il libretto presente in sala, assolutamente scevro da trama e altri contenuti didascalici. Solo una pagina ad indicare nomi di personaggi ed interpreti e poi due pagine nere: una scelta forse legata alla lunga e intricata trama dell’opera che distrarrebbe dall’ascolto comunque supportato da sovratitoli.
Una mise- en-scène non in scena dunque, ma in forma di concerto che se da un lato potrebbe favorire la fruizione della splendida orchestrazione dell’opera, dall’altro snatura il senso stesso di Robert le Diable che è, e resta, un Grand Opera e, in quanto tale, ha nello sfarzo della realizzazione scenica e nelle danze il suo stesso essere. C’è da aggiungere però che il Gran Opera, genere che si sviluppa in Francia tra gli anni venti e gli anni ottanta dell’Ottocento e trova proprio in Meyerbeer e Scribe la sua più alta forma di realizzazione, altro non è che lo sbocco naturale della Tragédie Lyrique degli anni precedenti: i legami sentimentali sono enfatizzati, gli argomenti storici, ricercati con minuzia di dettagli e ricchi di intrecci, si sotituiscono a quelli ‘classici’, la macchina scenotecnica ampliata e diversificata, le masse corali e orchestrali ampliate, le danze inserite con suggestive evocazioni.
Potremmo pensare che Daniel Oren in qualità di Direttore Artistico del Teatro salernitano, con questa versione ‘intima’, voglia far emergere forse l’aspetto pìù propriamente tragico-lirico su quello denso di coups de théâtre tanto amato dalla società parigina dell’epoca o/e, magari abbia operato una scelta di questo tipo per risolvere questioni meramente logistiche: elucubrazioni mentali che lasciano il tempo che trovano, probabilmente, meglio ascoltare e osservare….vediamo il pubblico salernitano se approva e… gradisce.
Il pubblico, partiamo proprio dal pubblico, saltiamo i cinque atti, oltre quattro ore di musica, siamo al termine dell’esecuzione. I presenti in sala applaudono, molti sono andati via…..non sono i ‘reduci’, quelli che restano, sono i curiosi, gli interessati, quelli che non amano gli spettacoli soliti…loro, quelli che restano, gradiscono e per tutto il tempo…. solo uno squillo, uno soltanto, di celluare, prontamente zittito, in oltre quattro ore e mezzo di musica: permettetemi di dire che è un Grand Publique, a Salerno, quello che applaude calorosamente premiando tutti gli interpreti!
Bryan Hymel nel ruolo del titolo, sin dalle prime battute, mostra voce morbida e fraseggio pulito. Hymel, supera con buon controllo, i passaggi vocali più impervi della sua difficile e lunghissima parte e anche se ‘un’ suono, non è perfettamente tenuto, una delle puntature estreme, ciò non inficia una prova che resta vocalmente più che buona e musicalmente affascinante. Non è assolutamente da meno Carmen Giannattasio, Alice, che ha voce bella e liricamente piena sontuosa e omogenea in tutta la gamma, con piacevoli nuances anche nel canto in ‘piano’: decisamente brava vocalmente e precisa musicalmente. Patrizia Ciofi, Isabelle, ha un’indubbia forza interpretativa e espressiva che utilizza come può per celare le difficoltà vocali della sua prima ottava, sempre afona o sporca, svettando poi in zona acuta con maggiore facilità e con discreto controllo. Il menestrello Raimbaut di Martial Defontaine, l’unico francese del cast, spicca per una perfetta dizione e una certa facilità vocale pur non avendo un timbro di pregevole qualità. Alastair Miles come Bertram è sicuramente, tra i personaggi principali, quello più in difficoltà, fa fatica a seguire il gesto di Daniel Oren che sceglie tempi, devo dire, piuttosto comodi e se associamo questo fatto alla quasi incomprensibilità assoluta del suo canto, nel fraseggio come nella dizione, deduco che il suo ‘suono’ non riesce a ‘correre’ via dalla gola.
Corretto Carlo Striuli come Alberti, predilige il canto stentoreo, tanta voce e poca parola. Le parti di fianco non sono valutabili: alquanto flebili, nononstante la mia posizione in teatro, Elena Memoli e Paolo Gloriante, coperti completamente nei loro brevi interventi, mentre avrei preferito non sentire Angelo Nardinocchi che ha voce decisamente brutta e Francesco Pittari fuori tempo, tanto da spingere Oren al suo famoso gesto per allertare i Maestri dell’orchestra a stare particolarmente attenti…….(indice sotto l’occhio).
Il Coro guidato da Luigi Petrozziello è parso anonimo, con suono quasi sempre interamente ‘succhiato’ dal fondo del palcoscenico dove era posizionato, decisamente poco incisivo, non ha eseguito nessun passaggio degno di rilievo, pur intervenendo continuamente nelle arie e nei pezzi d’insieme, secondo gli schemi tipici di questa forma teatrale.
Bene invece la prova dell’Orchestra Filarmonica Salernitana anche nei momenti ‘a sezioni’, fiati in particolare, attenta alla direzione piuttosto pulita di Oren alquanto contenuto, forse per evocare atmosfere parigine, rispetto alle usuali performances (pronuncia in francese per restare in tema…) che ormai sono un siparietto ludico all’interno delle opere che dirige. Piacevolissimi i momenti orchestrali relativi alle danze resi, come dicevamo, solo musicalmente che hanno comunque sicuramente alleggerito l’ascolto dei cinque atti. Una prova interessante, concludendo, per impegno e ardimento, accolta con il rispetto e la partecipazione che senza dubbio le si doveva.
Immagine di Rafal Olbinski realizzata appositamente per l’opera ed utilizzata per il manifesto.