Nativa di Boston, il soprano June Anderson è fra le cantanti liriche internazionali più importanti nell’attuale panorama operistico e concertistico: un timbro che non perde di smalto nelle note alte, un’estensione notevole e che fa sembrare l’esecuzione di passaggi acuti e di agilità facile, una voce che è costantemente cristallina. Ha cominciato a prendere lezioni all’età di 11 anni. Diciassettenne, divenne la più giovane finalista delle Metropolitan Opera National Auditions. Dopo frequentò la Yale University specializzandosi in Francese, laureandosi cum laude. Fu dopo Yale che cominciò davvero a pensare seriamente di diventare una cantante e a studiare con Robert Leonard. Ha esordito alla New York City Opera al 1978 nel ruolo della Regina della Notte nel Flauto Magico di Mozart. Nel 1982, venne invitata a cantare Semiramide al Teatro dell’Opera di Roma che ha segnato l’avvio della sua grande carriera che l’ha portata in ogni grande teatro europeo e statunitense, collaborando coi più importanti direttori d’orchestra. E’ stata la prima cantante straniera a vincere il prestigioso premio Bellini d’Oro. Ha anche cantato l’aria della Regina della Notte nel film Amadeus di Milos Forman. L’abbiamo incontrata durante la sua trionfale partecipazione nel ruolo di Pat Nixon, nella nuova produzione del Nixon in China di John Adams allo Chatelet di Parigi.
June Anderson, lei si è descritta come un “animale da palcoscenico”…
Wow, fu molto tempo fa… ma ciò che intendevo era che preferivo le opere ai concerti. Mi piace mettermi nei panni, nella capigliatura di qualcun altro, non esco sul palco come June, non lo faccio mai.
Come ha approcciato la caratterizzazione di Pat Nixon?
Per una divertente coincidenza, quando Pat Nixon andò in Cina aveva la mia stessa età attuale. È stata fortunata perché ha vissuto in un’epoca in cui la stampa era meno invadente, quindi non sappiamo molto di lei. In questa “opera”, non c’è un vero e proprio “personaggio” a cui attaccarsi. Vediamo la moglie con i piedi per terra, di sostegno, la turista americana e una donna indignata quando si trova di fronte a ciò che percepisce come brutalità. Ma in quanto personaggio? Non nel modo in cui troviamo i personaggi nell’opera. Non è nemmeno un personaggio storico, in un certo senso. Pat Nixon è l’ombra del presidente Nixon. Si è trovata sotto i riflettori in un periodo in cui si poteva ancora avere una vita privata. andò all’università, divenne un’insegnante, ma non aveva un ruolo professionale tutto suo, come Hilary Clinton o Michelle Obama. Non era una politica. Pat era una moglie e una madre. Se si guardano dei filmati su di lei, la si vede sorridente, attenta, ma forse in realtà pensava a Trisha o Julie, le sue figlie, piuttosto che ascoltare davvero un discorso, o a cose tipo: “Ho lasciato le luci accese?”. Il lavoro principale di ciascuna attrice è ascoltare. E questo è ciò che faccio in questo ruolo… mi limito a reagire a ciò che mi circonda. La ritraggo un po’ mal à l’aise, leggermente a disagio. Ma si può parlare di caratterizzazione? Lei è l’unico personaggio che non era un soggetto politico e quindi finisce per incarnare l’”umanità” in quest’opera. Ma non c’è nessun personaggio con una reale caratterizzazione tridimensionale, fatto di carne e ossa. Ci sono dei piccoli sottotesti che Franco Pomponi ed io abbiamo creato sul palco. Cose tipo: “Oh caro, devo proprio lasciarti ora ed essere me stessa. Devo andare e schierarmi con quelle donne. Come sto? Sto bene?”. Naturalmente, queste sfumature devono essere aggiunte in momenti non cruciali! La question è che, se ti lasci andare e cerchi di provare qualcosa, sei persa. Un bizzarro passaggio di coloratura nel primo atto è estremamente anti-vocale, per così dire. Ad un certo punto, durante le prove, mi sono persa e non riuscivo a rientrare nel personaggio, proprio non ci riuscivo… (ride)
È un ruolo difficile da cantare?
Non sembra difficile come in realtà è. In una delle sezioni più belle e melodiche, la scansione del tempo cambia in ogni singola misura. Imparandone la partitura, devi memorizzare che questa misura è in 3/2, la seguente in 3/4, poi 4/4, di nuovo 3/4, 4/4…5/4 e dopo ancora 3/4, 4/4 e dopo ancora tre barre di 3/4… Mentre sono sul palco e fingo di ballare, di fatto sto contando sulla punta delle dita tutto il tempo! È difficile anche per l’orchestra e i maestri non devono nemmeno memorizzarla. Non che non abbia dovuto già contare in passato… ce ne sono di momenti in Salome e Capriccio… ma qui è eccessivo. Ogni singola parte è molto difficile per ogni tipologia vocale in quest’opera prima di John Adams. Pat Nixon è scritta in ciò che chiamiamo passaggio. Non ho mai cantato coì tanti Sol acuti per un ruolo nella mia intera carriera! Non si cantano cos’ tanti Sol nel bel canto. I compositori del “belcanto” sapevano che il Sol va cantato solo ogni tanto. Il Sol è la nota che da avvio alle note alte, ma è una nota difficile perché quando si canta mi-fa-sol la voce cambia registro e bisogna fare molta, molta attenzione. È come cantare con la voce che scricchiola. La maggior parte del ruolo è scritta in quella fascia di note. L’aria si poggia su quelle note, anche se è uno dei passaggi più lirici dell’opera.
Quando Nixon in China fu composto nel 1987, lei era già un’importante star internazionale. Che cosa ne sapeva allora?
Non molto. Lo conoscevo appena. Sembravano un titolo e un argomento decisamente bizzarri per un’opera, come penso ancora che siano (ride)… Mi ci sono riferita chiamandola CNN Opera o DocuOpera, pensando che bisognasse trovare una categoria in cui inserirla perché non è un’opera nel senso classico del termine. Tuttavia, in queste esibizioni allo Châtelet, è stato messo in scena più come un’opera come mai era stato fatto prima. È la prima volta in cui sono stati ingaggiati cantanti lirici. Nixon in China è stato prodotto con cantanti che non facevano necessariamente parte del circuito operistico, o se lo hanno fatto, erano specialisti di lirica contemporanea, Barocco o di una specie di mix fra la commedia musicale e l’opera. Adams ha sempre insistito che Nixon in China venisse amplificato, che tutti i cantanti usassero il microfono. Questa è la prima volta in cui i cantanti non sono amplificati, grazie a voci più ampie del normale e ad un direttore d’orchestra e un’orchestra che, dimostrando un atteggiamento cooperativo, sono stati d’accordo nel suonare in maniera molto più soft. Per fortuna, amano i cantanti. Sono un gruppo di brave persone. Danno sfogo alla loro bravura mentre suonano per le scene in cui si balla. Ci sono momenti in cui possono suonare forte ed altri dove devono abbassare di molto il tono. Non so cosa avrei fatto se mi avessero chiesto di fare Nixon in China anni fa. È arrivato al momento giusto.
Nel 1989, lei disse di essere una zingara. Si vede ancora come tale?
Certamente. Non so se ci sono nata o se ci sono diventata a causa del mio lavoro. Vorrei sentirmi un po’ meno nomade a questo punto. Mi precipiterò nella mia piccola casa in Connecticut dopodomani perché è il periodo in cui bisogna seminare. Mi sono appassionata al giardinaggio e ora mi rimangono tre settimane e mezza.
Preferisce il giorno o la notte?
Quando sono in campagna, mi piace svegliarmi molto presto, probabilmente alle 6.30, a volte alle 5. A volte mi dedico un po’ all’enigmistica, gioco a Scarabeo o a cose che mi manda mia sorella che sta a Washington, la quale si alza presto anche lei. Spesso mi manda qualcosa attorno alle 5.30 e io sono già sveglia a riceverla. Di norma, sono una Cenerentola. Anche alla vigilia di Capodanno spesso non arrivo fino alla mezzanotte!
Cosa ne pensa della tecnologia in generale?
Alla fine del 1998, vidi una scritta sul muro: eravamo sul punto di entrare in un nuovo secolo e non appartenevamo nemmeno a quello vecchio. Quindi diedi la mia American Express al figlio di un amico e gli dissi di andare a comprare ciò di cui pensava avessi bisogno. Mi comprò il mio primo computer. Però dovetti volare a Parigi prima che qualcuno potesse dirmi cosa farci. Sapevo come accenderlo come controllare la mia posta elettronica, ma non sapevo come spegnerlo! Ora, naturalmente, vorrei averne avuto uno fin dall’inizio. Sarei milionaria ora con tutti i soldi che ho speso in telefonate. Essere in contatto con le persone che sono importanti per te è meraviglioso.
E forse cambia le cose anche dal punto di vista della carriera?
Certamente mi rende più felice…
Preferisce ancora le prove alle esibizioni?
Sì, è una cosa che non è mai cambiata. Sono una che ama le quinte. Non sono un’estroversa, preferisco il rapporto uno a uno. Chi mi intervista dice spesso che non sono affatto timida. Mi piace parlare in presenza del mio interlocutore. Ma mi metta in una stanza piena di persone e probabilmente non dirò una parola.
Ha mai sognato di trovarsi nell’opera sbagliata?
No. Ma una cosa simile mè effettivamente capitata una volta. Non avevo bisogno di sognarla: mi è successa! Stavo cantando un’aria della Traviata e in qualche modo una cadenza di qualche altra cosa ci è finita dentro (ride). Per un momento, mi impaurii. Fortunatamente, non fu con un’orchestra. Questo è il problema… lasciare semplicemente che i tuoi sentimenti vadano e vengano con la musica non è il fulcro della questione. È una finzione… questa è arte, non è la realtà.
Qual è uno dei suoi ricordi più cari?
Di certo, uno dei momenti più felici per me è stato quando ho lavorato con Leonard Bernstein. Per Candide, avrebbe voluto la Callas, che naturalmente era impossibile nel 1989! Non so chi mi ha proposta a lui, ma dopo aver ascoltato alcune mie registrazioni, fu d’accordo che io cantassi Cunegonde.
E per quanto riguarda l’opera di Hans Werner Henze Les Bassarids?
Quella fu una sfida per me, è stata la prima opera realmente moderna che ho mai fatto da quando ero bambina… la mia prima opera fu una composizione in un atto di Ernst Toch, scritta nel 1929, intitolata The princess and the pea. Visto che stiamo facendo i conti, fu quando iniziai, all’età di 14 anni! La New Haven Symphony la fece all’interno della loro serie di concerti per bambini.
Lei ha iniziato a prendere lezioni di canto a 11 anni?
Cominciai come ballerina e poi ebbi un tumore al ginocchio e dovetti smettere di ballare dopo l’operazione, Quindi mia madre, che aveva un po’ questa inclinazione per lo spettacolo, disse: “be’, non può ballare, allora la farò cantare!”
Cos’ha studiato a Yale?
Mi sono specializzata in letteratura francese.
Di quale secolo?
Per lo più il XIX°…
Dopo Yale andò a New York e seguì delle lezioni private di canto con Robert Leonard?
Era come un fratello maggiore… era il mio mentore, non solo il mio insegnante di canto. A 21 anni, avevo una voce molto naturale perfettamente impostata. Non avevo grandi problemi quando sono andata da lui, ma non avevo mai imparato a respirare e a sostenere la voce correttamente. Lui me l’ha insegnato. Ecco perché canto ancora e affronto tutta questa musica basata sul passaggio tutto il tempo! (ride) Grazie Robert! Lui mi ha fatto ascoltare tutte le registrazioni non in commercio della Callas e mi ha convinto a cominciare a lavorare su Norma. Da quando avevo 20 anni, ho lavorato su certe cose solo per la tecnica, non perché le avrei fatte al momento, ma semplicemente perché mi sarebbero servite dal punto di vista tecnico. Roberto mi ha guidato sempre nella direzione giusta.
Mi parli delle scelte che ha fatto in carriera…
Be’, sono sempre stata molto prudente, molto cauta, anche troppo direi. Non sono una che rischia, lo farei solo se andassi sul sicuro ed il modo in cui affronto le cose. E sono stata molto attenta. Ho sempre considerato la mia gola come fatta di vetro e se avessi fatto qualcosa di sbagliato, l’avrei mandata in frantumi.
Colleziona qualcosa?
Sì, sono sempre stata una collezionista. Ma nel corso degli anni le mie collezioni e i miei gusti sono cambiati. Ma detto ciò, non ho problemi a gettar via la roba. Quando mia madre morì, la maggior parte delle mie cose era a casa sua. Dovevo vendere la casa e quindi mi dovevo sbarazzare delle cose che c’erano dentro. Ho buttato via la maggior parte dei miei archivi…
Come mai?
Oh, cosa ci avrei fatto? Non avevo spazio… e dopo ho deciso di tenere la casa, ma avevo già buttato via della roba. Ma più ancora dei miei archivi, mi liberai di molti dei miei tessuti!
I suoi tessuti?
Una collezione di tessuti, di tutti i tipi. Ovviamente, non ho dato via i migliori, ma ero un’acquirente compulsiva di tessuti.
Che mi dice dei suoi ritratti di famosi soprani del passato?
Sono nascosti in una credenza.
Le piace andare avanti, voltar pagina?
Oh, sì, posso buttar via la roba! Decisamente, quando ho venduto il mio meraviglioso appartamento di New York nel 2005, tutti dissero: “Come puoi farlo? Quell’appartamento ti rappresenta, è il tuo appartamento, ci hai vissuto quindici anni ed è una tua espressione in tutto” e io risposi: “Be’, è il momento, è arrivato il momento.” Quindi l’ho venduto. Ma sfortunatamente ho fatto l’errore di comprarne un altro subito dopo di cui mi sono immediatamente pentita!
A cosa pensa quando si guarda nello specchio?
Tu, da dove vieni? Che ne hai fatto dell’altra?
C’è una musica, qualcosa che lei considera come il suo tema musicale?
Molta gente trova difficile comprenderlo, ma quando non sto preparando qualcosa, la musica non è affatto parte della mia vita. Una volta lo era, ma ora lo trovo molto faticoso. Se non sto preparando nulla, non canto affatto. Nella mia casa di campagna, a volte accendo la radio al mattino, ma se iniziano a passare la lirica la spengo immediatamente.
C’è una qualche musica che lei associa a delle circostanze precise?
Sono molto nervosa quando viaggio in aereo. Quando ho iniziato a volare e a sentirmi nervosa, Ah non credea tratta da Sonnambula era un’aria molto lirica e sostenuta che conoscevo molto bene. Non ho mai fatto meditazione o yoga, ma la respirazione per il canto è molto Zen. Se cominciavo ad agitarmi, cominciavo a cantare a me stessa: Ah non credea… Aveva un effetto calmante. Finché un giorno pensai a che diavolo stavo cantando, Ah non credea mirarti, “Non ho mai pensato di vederti morire così velocemente”, in un aereo!
Cosa avrebbe voluto diventare da grande, quand’era bambina?
Una star del cinema degli anni ’30… è ancora il mio sogno.
C’è un compositore con cui si identifica più di altri?
Benché Rossini sia stato la mia “fata madrina”, sento che Bellini mi rappresenta di più in quanto artista. Bellini a suo meglio va dritto al sodo. Per essere stato conosciuto come un donnaiolo, conosceva davvero le sue donne. I suoi personaggi femminili sono straordinari. La sua scrittura punta dritta all’emozione. Nel belcanto, ogni puntino è importante. Quel puntino significa qualcosa che si accompagna alle parole e alla musica. Norma rappresenta il culmine. Quello era il mio obiettivo da quando avevo vent’anni. Tutto ciò che facevo era in vista di Norma. Norma rappresenta la perfezione, perché le parole e la musica vanno assieme come un paio di mani, come fossero fatte le une per l’altra. In Verdi ci sono momenti in cui il ritmo del linguaggio è in contrasto con ciò che è effettivamente scritto, invece penso che in Norma non ce ne siano di quei momenti. Bellini parla all’intimità dei cantanti. Sembra che mi conosca. Bellini conosce tutte le donne.
C’è un posto in cui vorrebbe andare in vacanza?
Sono stata solo in posti dove ci sono teatri lirici o orchestre. Ho viaggiato solo per lavoro, alla fine. Una vacanza era restare a casa, quale fosse la mia casa al tempo. Amo andare in posti nuovi, ma solo se c’è qualcuno che mi porti in giro. Non sono brava a fare la turista per conto mio… Penso che non ci sia nulla di più triste. Preferisco restare coi miei libri e le mie letture…
Cosa legge?
Leggo molte cose, per lo più romanzi, ma viaggiando costantemente la cosa più facile da leggere sono i romanzi del mistero. Leggo tutte le nuove uscite, sul mio iPad, sul mio Kindle, su carta… Mi paice avere un libro cartaceo perché non si può usare l’iPad o il Kindle durante i decolli e gli atterraggi… che smanettona che sono!
Lei di solito aveva molti gattini portafortuna che era solita toccare prima di andare in scena… è superstiziosa?
Uhm… sì. Ma non ho più quei portafortuna. Cominciò tutto con Jamil, il gatto di peluche che avevo a Yale. Quando mi recai in Europa, una mia amica lo prese. Doveva essere pettinato, era un Colourpoint Himalayano… ne pettinò il pelo e lo tesse fino a crearne un filato finché non ne ebbe abbastanza da lavorare all’uncinetto questo gattino che era il pilastro di quella collezione. Tutti cominciarono a regalarmi dei gattini. Alla fine, viaggiavo con questa piccola borsa piena di gattini portafortuna… ma Jamil era quello che toccavo ogni volta che dovevo andare sul palco. Quando Jamil scomparve un giorno… fu a Barcellona e non ho mai saputo com’è successo… ho smesso di viaggiare portandomi dietro i gattini perché Jamil era il pezzo forte.
Lei tiene master-class?
Sì. E mi piace anche. Non ho mai pensato di poter insegnare. Ma circa quindici anni fa, una malattia della tiroide quasi distrusse la mia voce. In effetti, la distrusse… e dovetti imparare di nuovo a cantare. Robert era già morto allora. La tiroide è collegata a due piccoli muscoli collegati alla faringe e quei muscoli si erano atrofizzati. Tutt’ad un tratto, dovetti trovare degli altri muscoli che facessero il lavoro dei due atrofizzati. Fu strano, stavo perdendo il volume, il colore e la mia voce stava diventando molto dura. Stavo perdendo quella che pensavo fosse la mia migliore qualità ovvero il mio fraseggio, la mia capacità di scolpire le frasi. Non ci riuscivo più… Voglio dire, non è qualcosa che semplicemente perdi se hai musicalità e sei capace di frseggiare, per cui c’era qualcosa che non andava. È una malattia molto banale finché non capita ad un cantante lirico…. ma è capitata a me. Ero sul punto di mollare tutto, ma sono una persona a cui piacciono le sfide. Benché in più di un’occasione abbia desiderato smettere di cantare ed abbia sempre avuto una strana relazione con la mia carriera.
È sempre stata devota alla sua arte?
Be’, sì e no. Avevo bisogno di dedicarmi a qualcosa… ma ci avrei rinunciato in un attimo se avessi trovato il Principe Azzurro!
Se dovesse rifare tutto da capo?
Sono assolutamente certa che se dovessi ricominciare, probabilmente non avrei mai una carriera perché il mondo è cambiato moltissimo. Pensavo fosse sufficiente avere talento e fare il proprio lavoro. Ora è un’industria. Quando sono entrata nel music business negli anni ’70, esso stava già cambiando, ma ora, ti formano sull’autopromozione nelle università e nei conservatori! Sono cordiale con la gente, ma non sto al gioco. Non è il mio modo di essere, la mia personalità. Ho molto i piedi per terra e sono pessima nel promuovermi, la peggiore di tutte nella storia… ecco perché sono convinta che se cominciassi ora non avrei una carriera.
Qual è il suo motto?
Per tutta la mia carriera, la gente mi ha chiesto di essere diversa da come sono, più aggressiva, più ambiziosa. Certe cose sono accadute e se non fossero accadute non sarei rimasta delusa. I miei amici ci rimanevano più male di quanto facessi io. “Se solo avessi avuto più chutzpah [parola ebraica che significa ‘insolenza’, ndt], avresti potuto far questo, quello e quell’altro”, mi dicevano. Ma anche se può suonare banale, non posso cambiare, questa sono io. È la mia personalità. Non mi vendo, non gioco con le persone, sono onesta fino ad essere quasi patologica. Se qualcosa non mi piace, cerco duramente di trattenermi dal dire qualcosa, ma si vede che sto fingendo. La gente mi ha detto spesso che ciò che penso si riflette sul mio volto. Questo è il mio modo di vivere la vita. Posso dormire tranquilla perché so di non aver fatto del male a nessuno di proposito. Se l’ho fatto involontariamente non posso dirlo perché per essere onesti a volte si dicono cose che non andrebbero dette, ma riesco a dormire di notte… il mio motto sarebbe qualcosa di simile a : “Al tuo io sii fedele”.