Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Concertistica 2011-2012
Concerto Sinfonico diretto da Michel Tabachnik
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Michel Tabachnik
Michel Tabachnik: Prélude à la Légende – Preludio orchestrale per l’opera La légende de Haïsh’ (versione 2011)
prima esecuzione italiana,
Johann Sebastian Bach: Ciaccona dalla Partita per violino solo n. 2 in re minore BWV 1004, trascrizione per orchestra di Joachim Raff.
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 Pastorale – Angenehme, heitere Empfindungen, welche bei der Ankunft auf dem Lande im Menschen erwachen: Allegro ma non troppo (Piacevoli, serene sensazioni che si risvegliano nell’essere umano all’arrivo in campagna: Allegro ma non troppo) Szene am Bach: Andante molto mosso (Scena sulle rive del ruscello: Andante molto mosso) – Lustiges Zusammensein der Landleute: Allegro (Allegra riunione di contadini: Allegro) – Donner. Sturm: Allegro (Tuoni. Tempesta: Allegro) Hirtengesang. Wohltätige, mit Dank an die Gottheit verbundene Gefühle nach dem Sturm: Allegretto (Canto pastorale. Pii sentimenti di ringraziamento alla divinità dopo la tempesta: Allegretto).
Venezia, 31 marzo 2012
Dalle Quattro stagioni di Vivaldi alle Biblische Sonaten di Kuhnau, dai Quadri di un’esposizione di Musorgskij a La Mer di Debussy la cosiddetta ‘musica a programma’ ha conosciuto, dal Settecento ad oggi, importanti sviluppi attraverso una varietà di stili e mezzi espressivi: ancora modellate su una struttura formale classica le composizioni di questo genere tra Sette e Ottocento, sempre più libere di aderire a suggestioni letterarie o comunque extramusicali quelle successive. Musica a programma, in un certo senso, ma, in tutti i casi, prima di tutto musica, almeno nei lavori più riusciti, poiché, per citare Dahlaus, che a sua colta ricalca il formalismo del vecchio Hanslick, «la logica musicale è nei pezzi di buona musica un nesso interno compiuto in sé, che non ha bisogno di sostegni esterni» (La musica dell’Ottocento, 1990).
Il programma della serata vedeva la trascrizione ottocentesca di un brano di Bach basato sul puro piacere di fare musica, inserita tra due composizioni legate ad elementi extramusicali. Ebbene, a nostro avviso, esso lanciava indirettamente una nobile sfida, vale a dire dimostrare nel concreto la validità dell’assunto dahlausiano che abbiamo appena citato. E la sfida ha raggiunto pienamente il suo obiettivo. Il Prélude à la Légende, con cui si apre l’opera La Légende de Haïsh’, pubblicato nel 2011 come pezzo da concerto, è un grandioso affresco tripartito, che rappresenta alcuni momenti della simbolica ancestrale vicenda, attraverso una scrittura di una forza primigenia, caratterizzata da pesanti ostinati, dall’uso massiccio di campane, gong e crotali, nonché altri tipi di percussioni. Il tutto si dipana, a tratti, su uno sfondo elettronico di pari potenza evocativa e sonora, tributo alla frequentazione da parte del compositore-direttore delle opere di Iannis Xenakis. Si tratta di una partitura di prim’ordine, che guarda in diverse direzioni e si regge perfettamente anche da sola. L’esecuzione dell’orchestra della Fenice, adeguatamente rimpinguata sul versante percussivo, è stata veramente all’altezza di questa ciclopica partitura. In particolare, ricordiamo il ruolo solistico della tromba, l’insieme degli ottoni e degli archi che producevano a volte sonorità violente e figurazioni ritmiche incalzanti, oltre al clarinetto impegnato, nel finale, in un’impervia parte acuta. Su tutti ovviamente si celebrava il trionfo degli strumenti a percussione che hanno percorso la composizione con i loro ritmi estranianti.
Quanto alla trascrizione della Ciaccona, fin dalle battute iniziali si è notato un buon affiatamento dei legni e di tutta l’orchestra. Nel disegnare le ventinove variazioni che costituiscono questo brano di intensa espressività quanto di sublime perizia tecnico-formale e, insieme, indomita fantasia, il suono dell’orchestra era morbido, precisi gli interventi delle sue varie sezioni. Ne è risultato un Bach ricco di pathos sebbene, com’era da aspettarsi, romanticamente trasfigurato. Misurato il gesto di Tabachnik, che nondimeno ha saputo estrarre da questa trascrizione, garbatamente ridondante, una certa essenza bachiana. Emerge in questo rifacimento la grande abilità di Joseph Joachim Raff orchestratore, non a caso assistente a Weimar del grande Liszt, di cui rielaborò varie partiture sinfoniche. Si è persa ovviamente l’adorabile ‘non finito’ dell’originale per violino solo con le voci contrappuntistiche spesso appena suggerite …
Passando alla Sesta Sinfonia, che – per ribadire la fondatezza dell’assunto da cui siamo partiti – Beethoven stesso ha definito «più espressione di sentimento che pittura», l’esecuzione si è caratterizzata fin dall’iniziale Allegro ma non troppo per la coesione dell’orchestra e il risultante bel suono. Oltre a proporre efficaci sottolineature dinamiche, Tabachnik mette in rilievo la grande cantabilità tematica e, globalmente, punta su una lettura che privilegia la sintesi per non perdere di vista la profonda coerenza di quest’opera, di cui altri, con un approccio più analitico, hanno evidenziato le eccezioni rispetto alla tradizione sonatistica. Una tale interpretazione, si può dire, evoca la musica a programma settecentesca piuttosto che guardare al Beethoven preromantico. Anche nel secondo movimento, Andante molto mosso, di cui sono protagonisti i legni a rendere le voci della campagna, si sono notate grande cantabilità, precisa intonazione e morbidezza di suono, in particolare nel conclusivo episodio dell’usignolo, della quaglia e del cuculo. Allegria di corni e contrabbassi nella successiva riunione di contadini, con un insieme dinamico e scattante nello scandire le rustiche danze. Fragore di timpani, guizzare d’ottavino e un’orchestra che manteneva compostezza stilistica anche nelle strappate più ruvide degli archi nel celeberrimo temporale, divenuto un topos nella musica del primo Ottocento. Purtroppo il corno è risultato in po’ difficoltà nella modulazione di indicibile grazia che porta alla melodia con variazioni contenuta nell’ultimo movimento. Qui davvero i tempi ci sono sembrati troppo veloci così come abbiamo notato un eccesso di sonorità e una certa asprezza di timbri, assolutamente dissonanti rispetto all’arcadica serenità che dovrebbe avvolgere questa pagina. Applausi soprattutto alla fine, ma (purtroppo) anche tra un movimento e l’altro della sinfonia …