Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2011/2012
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva ANTONINO SIRAGUSA
Don Bartolo PAOLO BORDOGNA
Rosina MARINA COMPARATO
Figaro ROBERTO DE CANDIA
Don Basilio NICOLA ULIVIERI
Fiorello CLAUDIO OTTINO
Berta GIOVANNA DONADINI
Un ufficiale FRANCO RIZZO
Ambrogio ANTONIO SARASSO
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Alessandro Galoppini
Maestro al clavicembalo Giulio Laguzzi
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Vittorio Borrelli
Scene Claudia Boasso
Costumi Luisa Spinatelli
Luci Andrea Anfossi
Allestimento Teatro Regio
Torino, 26 febbraio 2012
Da alcuni anni il Teatro Regio sta perseguendo l’obiettivo di individuare e praticare una “via italiana al repertorio” che permetta di introdurre nelle programmazioni alcuni spettacoli di agile allestimento e di forte presa sul pubblico, come accade nei maggiori teatri dell’Europa centrale, da riproporre con frequenza riducendo i costi di produzione e garantendo il tutto esaurito, cose che, si sa, non guastano mai e tanto meno in tempi di crisi. Tuttavia, e qui si inserisce la “via italiana”, la condizione posta allo sviluppo di un teatro di repertorio è che questo non venga a danneggiare la qualità delle produzioni, e il repertorio non scada nella routine. Troppo spesso, infatti, all’estero, anche in grandissimi teatri come la Staatsoper di Vienna, capita di ascoltare esecuzioni un po’ abborracciate e vergognosi tagli di tradizione reiterati perché l’orchestra così conosce le parti; per non parlare dei teatri minori con compagnie stabili in cui ad alcuni solisti vengono assegnati ruoli totalmente avulsi dalle loro caratteristiche vocali. Se le intenzioni dunque sono buone, vediamo come sono state tradotte in pratica.
Il barbiere di Siviglia, nella regia di Vittorio Borrelli, è stato pensato, fin dal suo concepimento nel 2007 per il circuito «Regione in tour», nella prospettiva di entrare a far parte del repertorio del Regio, dove è già stato proposto nel 2010. È uno spettacolo agile e trasportabile, adatto ad essere allestito anche nei teatri di provincia e su palcoscenici all’aperto. Borrelli, che è direttore di scena al Regio (ben si può parlare di allestimento “made in Regio”), ha pensato a uno spettacolo di impianto tradizionale che si affidi anche all’abilità d’improvvisazione degli interpreti coinvolti – che sicuramente non è mancata in questa occasione, come si è visto dalla varietà di sketch proposti alla prova generale e all’ultima recita – per restituire la vis comica rossiniana nella sua forma più genuina. Non sono mancati né l’effetto né il successo di pubblico, anche se alcune gag un po’ esagerate, scatenando l’ilarità degli spettatori, finiscono per danneggiare l’ascolto della musica. Altre scene più contenute e misurate, viceversa, hanno rivelato un’intelligente lettura dell’opera anche in dettagli inaspettati (si pensi al Conte che si pulisce le scarpe davanti agli occhi dell’ufficiale nel finale I). Sempre per la politica del fare in casa, direttore d’orchestra è stato Alessandro Galoppini, Direttore dell’Area Artistica al Regio, che ha diretto con la grande professionalità dell’esperto preparatore di voci, mostrata limpidamente nella perfetta sincronia dei tempi dei numeri d’assieme; nel corso delle rappresentazioni ha anche approfondito l’approccio ai brani puramente sinfonici: l’ouverture, che alla prova generale suonava stranamente piatta, all’ultima recita era sempre contenuta ma non priva di verve e significato, ed importanti dettagli come le brillanti quartine ascendenti dei fiati sono stati messi in luce a dovere. I tagli nei recitativi erano impercettibili per buona parte dell’opera, ma un po’ pesanti nelle scene finali, dalle quali è stato eliminato l’intero recitativo accompagnato che precede l’aria finale di Almaviva; da bravo filologo non posso poi non criticare l’eliminazione delle ripetizioni dalle cabalette «Numero quindici» e «Cara immagine ridente»; per il resto l’esecuzione è stata integrale.
La compagnia di canto, come nei migliori teatri di repertorio, era costituita da grandi interpreti rossiniani scritturati per l’occasione. La parte del leone l’han fatta, in tutti i sensi, le voci maschili, a partire dal protagonista, il baritono Roberto de Candia, dalla formidabile presenza scenica e capacità di caratterizzazione buffa, che non trascura importanti dettagli come la spazializzazione dei richiami «Figaro… Figaro» nell’aria del factotum, che sembravano davvero provenire da una molteplicità di voci collocate a diversa distanza dalla scena. Il basso Nicola Ulivieri ha sapientemente evitato di cadere in interpretazioni caricaturali da cliché del ruolo di Basilio, specie nel quintetto del II atto, nel quale ha sempre mantenuto un autorevole aplomb, evidenziato a dovere nel «non son sordo!»; ammirevole, poi, la sicurezza con cui ha cantato «La calunnia» mentre doveva armeggiare con una tazzina di caffè. Suo degno pari il Bartolo del basso Paolo Bordogna. Il tenore Antonino Siragusa, benché non abbia raggiunto le vette di purezza del suo Almaviva torinese di due anni or sono, mantiene un limpido timbro chiaro rossiniano e un ottimo controllo della mezza voce, sfoggiato nella canzone «Se il mio nome saper voi bramate» (da lui stesso accompagnata alla chitarra); e, anche se il canto di coloratura non è sempre ben sgranato e la puntatura conclusiva inopportuna, l’aria finale ha ben tratteggiato i molteplici sentimenti che agitano l’animo del Conte. Più ordinaria l’interpretazione dei due mezzosoprani: una certa instabilità della voce, che può essere rappresentativa dell’età avanzata della serva, per Giovanna Donadini nel ruolo di Berta; una viva caratterizzazione del personaggio, ma realizzata più con la recitazione che col canto, per Marina Comparato nel ruolo di Rosina. Insomma, dopo l’esperienza un po’ deludente della Traviata dell’anno scorso, il “repertorio all’italiana” del Regio sembra essersi messo sui giusti binari… attendiamo le prove dei prossimi titoli.